Laici sotto scacco,
di David Bidussa
Che cosa rimarrà dopo questo referendum, qualunque sia l'affluenza finale? Rimarranno divisioni politiche e conflitti culturali. Consideriamo velocemente le prime.
Nella battaglia sulla autonomia e la libertà di scelta si è giocata non solo una partita specifica, ma anche la possibilità che qualcuno avesse domani (tra un anno, dopo le elezioni politiche del 2006?) una nuova possibilità (forse questa è la partita di Fini) o si accreditasse come alternativa affidabile (Questa sembra la scommessa di Rutelli). In ogni caso per entrambi una partita da giocare in opposizione a una parte del proprio schieramento: movimenti tattici di truppe. Non è che l'inizio. Da qui all'anno prossimo ne vedremo ancora. Lo scenario degli schieramenti politici non è definito, è ancora dal 1993 che cerca una fisionomia stabile.
Consideriamo ora il clima culturale. In parte è cambiato. In queste settimane sono state confermate convinzioni profonde; sono tornati scenari rimasti sottotraccia e nuove questioni hanno preso corpo.
Si è discusso di scienza, anche comne disciplina "pericolosa", dell'importanza della conoscenza scientifica e dell'opportunità di fidarsi degli scienziati.
Si potrebbe dire che è proprio delle società spaventate, in preda al panico, forse più timorate che timorose, produrre un immagine orrifica della scienza e degli scienziati. Quando nei giorni scorsi Oriana Fallaci ha proposto l'immagine dello scienziato Frankestein ha solo evocato un vecchio mito della paura degli umanisti rispetto alla scienza e alle sue possibili degenerazioni, secondo un paradigma consumato: quello delle società tradizionali che vivono con terrore l'affacciarsi sull'ignoto.
E' un vecchio vizio. Non ci salva esorcizzarlo, così come non ci salva riempire di cartelli stradali "Comune denuclearizzato" gli ingressi dei nostri paesi e delle nostre città. Ma tant'è. Forse serve a consolarsi. In ogni caso richiama una convinzione profonda nella storia italiana: l'Italia come "nazione proletaria", come paese vessato dalle potenze straniere magari da qualche lobby, oppure da un potere lontano e nemico. Dopo le varie internazionali (giudaica, demo-plutocratica,…) si è concretizzata l'internazionale degli scienziati, sorta di esercito di individui senza fede. Il risultato comunque è che il futuro può anche fare a meno di noi. Noi nel frattempo abbiamo dichiarato che non è un problema.
Poi si è affacciata di nuovo un'Italia che pensavamo sepolta dalla modernizzazione, quella di Peppone e Don Camillo. E' sempre la stessa Italia di allora.
La realtà del paese di Guareschi, del "mondo piccolo della Bassa" era quella del rapporto tra una autenticità del popolo - rappresentata dal popolo di Don Camillo - e una dimensione artificiale della massa un po' maramaldesca e un po' posticcia dell'esercito di Peppone. L'Italia del villaggio era comunque esistente ed era sufficiente che qualcuno si mettesse ala sua testa per risvegliarla, guidarla e farla trionfare. In queste settimane non abbiamo visto Don Camillo all'opera (ma non è detto che non sia accaduto). In ogni caso si è risvegliata una attività che ha come fine la mobilitazione delle forze cattoliche. Nasce sulla consapevolezza, che l'Italia deve tornare ad essere territorio di evangelizzazione, di recupero, comunque di mobilitazione e di ritrovata motivazione. La chiesa italiana di Benedetto XVI è azione in "terra di infedeli".
In queste settimane non abbiamo assistito tanto a una battaglia contro il laicismo, quanto piuttosto al alancio di una nuova stagione:: quella della riappropriazione di un territorio percepito come perduto.
Qui si colloca la questione della laicità. Nel confronto di queste settimane nel linguaggio la Chiesa ha dipinto la laicità come territorio dell'immoralità, dell'assenza di domande etiche. Una dim,ensione tutta protesa alla difesa dell'oggi, dell'immediato, comunque dell'esistente. La laicità così non solo viene accreditata come dimensione "miope", ma anche egoistica. Ovvero: "male".
E' cominciata la campagna per la riappropriazione dello spazio interiore degli individui, sui margini del loro privato, sulla discrezionalità dello loro scelte e sul possesso dei loro corpi (la legge sulla privacy sembra al più avere la stessa funzione della foglia di fico). Non è detto che questa battaglia separi verticalmente credenti e non credenti (l'appello per non astenersi lanciato da protestanti, ebrei e islamici italiani, testimonia che non c'è una dimensione tutta religiosa del confronto), tuttavia ciò non toglie che dobbiamo chiederci: c'è ancora uno spazio per la politica come scelta motivata e libera? Oppure ormai lo spazio è solo per le appartenenze dichiarate? Per gli affiliati e i timorati?