Forza Laici!
di Bruno Gravagnuolo
La sinistra la smetta di baloccarsi con l’irenismo. Non resti in bilico tra compromesso con la cultura religiosa e difesa subalterna dei valori laici. Deve dotarsi di una sua cultura della vita. Attenta ai limiti della manipolabiltà dell’umano, ma rispettosa della libertà di ricerca, e del diritto alla cura». È preoccupato ma deciso Massimo Salvadori, storico delle dottrine politiche a Torino, dopo l’esito fallimentare del referendum sulla procreazione assistita. «Non si poteva non dare questa battaglia - sostiene convinto - perché erano in gioco questioni di principio: la laicità dello stato e il diritto di non subire intrusioni metafisiche nella libertà di coscienza». E tuttavia Salvadori, autore nel 2003 di un libro ad hoc (Le inquietudini dell’uomo onnipotente, Laterza) va al di là della sconfitta contingente. E ne indaga i presupposti su uno sfondo più vasto: la debole identità dei laici e della sinistra. Che hanno rinunciato da tempo ai loro valori, lasciando campo libero alla difesa ecclesiastica della vita. Anche sull’onda di una tendenza internazionale, che vede sinistra e laici sovrastati da un mix di liberismo e fondamentalismo necon. «Negli Usa - dice Salvadori - quell’ondata ha saldi presupposti culturali nel tratto puritano delle origini americane. Noi per fortuna siamo in Europa. E tuttavia l’Italia, con la Questione Vaticana e Pera e Casini che invitano a non votare, è ancora un’altra storia e con meno anticorpi...». Insomma, sveglia laici! Occorre reagire. Ma come?
Professor Salvadori, nell’astensione massiccia all’ultimo referendum c’è un contenuto positivo di «valori» sulla cosiddetta difesa della vita, o viceversa si è trattato solo di indifferenza, riluttanza e furberia?
«Ce lo chiediamo tutti. In un fronte così vasto come quello astensionista non è agevole distinguere tra le varie motivazioni che hanno spinto la gente a non votare. Il fenomeno è complesso e non facile da interpretare. L’astensionismo è stato il risultato di non scelte e di scelte diverse. Indifferenza e disinteresse sono stati innegabili, e hanno pesato. Ma gli altri? Ebbene c’è stato un assenteismo attivo e determinato. Quello di coloro che hanno seguito le indicazioni della Chiesa, intervenuta in maniera pesante. Tuttavia c’è anche un’altra componente. Coloro che non hanno seguito tanto la Chiesa, ma assecondato una sensazione. La sensazione che la vittoria o il successo del sì avrebbero premiato lo schieramento avversario. Dunque una componente politica, moderata. Che ha inteso prendersi una rivincita e lanciare un segnale dopo i rovesci recenti della destra».
V’è stato un errore di giacobinismo nei promotori del sì? La pretesa di voler imporre dall’alto una tematica giusta ma poco sentita?
«Non credo che ci sia stato questo errore. La battaglia era estremamente difficile, perché incentrata su questioni delicate e difficili, per quanto ben spiegate. Molti hanno ritenuto di non avere strumenti adeguati per decidere. E hanno scelto la reticenza. Nondimeno i quesiti erano cruciali e non pergerini. Non erano cose da intellettuali, ma problemi che investono frontalmente la vita della gente. Tentare di modificare una legge sbagliata e retriva era un imperativo doveroso».
Come si spiega allora l’incapacità dei laici e del fonte del sì di essere persuasiviì?
«Provo a suggerire delle ipotesi. Una in particolare. E cioè, da molto tempo il mondo laico e di sinistra ha messo sottotono certe battaglie civili di principio: le questioni di etica pubblica legate alla laicità. Prova ne sia che tantissimi a sinistra non sono andati a votare, reputando il tema inessenziale. Evidentemente ha prevalso un largo sentimento di deresponsabilizzazione. Questi quesiti erano distanti da quelli di altri referendum. E richiedevano un’azione culturale battagliera e costante a difesa di una visione laica della vita. Questo referendum ha messo in luce una carenza ideale di fondo»
Una forte visione laica della vita dovrebbe improntare a suo avviso l’identità di una sinistra moderna, nelle sue articolazioni sociali e nei suoi partiti?
«Non c’è il minimo dubbio. Del resto, da Machiavelli in poi e da molto prima, abbiamo a che fare in Italia con Santa Madre Chiesa. E la Chiesa fa il suo mestiere. Ha sempre esercitato un’influenza importante, non senza subire contraccolpi. I quali peraltro non le hanno impedito di rilanciare costantemente il suo influsso e la sua egemonia. La Chiesa non ha mai rinunciato al suo magistero, a difendere strenuamente i suoi valori in modo capillare. Sicché è giusto protestare contro le interferenze ecclesiastiche. Specie laddove, come nel caso della procreazione, essa pretende di dettare i criteri legislativi. Però si deve prendere atto che la Chiesa non può rinunciare al suo punto di vista, quando sono in gioco certi valori. Invece si replica una scena ben nota.
E la sinistra continua a oscillare tra compromesso e difesa dei suoi valori. Una vicenda già vista al tempo di Togliatti e dell’art. 7, quando socialisti e comunisti si divisero. E anche oggi torna spesso il doppio binario. Tra accordi tattici, e ribellioni inevitabili in nome della laicità, ma solo quando non se ne può fare a meno. In realtà una sinistra ormai liberata dalle ipoteche ideologiche - quelle che la costringevano a cercare accordi per legittimarsi durante la guerra fredda - dovrebbe dotarsi di una “sua” proposta culturale. Non condizionata dall’urgenza di trovare a tutti i costi intese con la Chiesa e i cattolici. E quando le diversità appaiono incomponibili, allora si deve accettare il confronto aperto. Non è possibile mettere la sordina a questioni di principio. Salvo poi combattere in ritardo e in posizione difensiva».
Si deve prendere atto che esistono identità politico-culturali difformi che possono allearsi ma non fondersi nel medesimo contenitore riformista?
«Qui arriviamo al nodo della questione. Se i partiti sono delle mere creature elettorali, dei contenitori appunto, allora il tema dell’identità diventa puramente residuale e trascurabile. Se viceversa, come nel caso del Pse di Zapatero, assumono personalità storica e culturale, essi sono qualcosa di più. Raggruppamenti di massa, che nel rispetto del pluralismo si aggregano attorno a principi non facilmente negoziabili con forze che hanno altri valori. Un partito deve avere un progetto culturale di lunga durata, altrimenti non esiste. E la laicità è decisiva per la sinistra. Oltretutto essa diventerà sempre più una questione cruciale in futuro. Proprio in ragione degli intrecci sempre più stretti tra etica, scienza e tecnologia che è dato intravedere».
Un’intera agenda etica da scrivere, incentrata sui limiti laici alla manipolabilità, ma rispettosa della ricerca e della vita personale concreta. È a questo che allude?
«Appunto, agenda laica. Costruita su principi coerenti. Di qui la mia riserva, mai celata, sulla possibilità di andare nella direzione di un raggruppamento politico unico, con forze ispirate a tutt’altri principi. Tentativo unitario, che tra l’altro sta generando ulteriori scomposizioni e scissioni nella Margherita. Non si tratta di pensare a ideologie dure di leniniana memoria. E tuttavia occorre stabilire dei confini. Quelli della Margherita sono valori inconciliabili con i valori della tradizione laica e socialista. Dobbiamo prenderne atto. Quando sento parlare di “incontro tra i riformismi” senza porre problemi di sorta a riguardo, non posso fare a meno di pensare al malinconico esito di questo referendum. Insomma, si sono date per risolte questioni che non lo sono affatto».
Stante la specificità della questione cattolica è giocoforza convivere e competere con i cattolici democratici a sinistra, senza forzature onnicomprensive sui valori?
«Sì. E non posso che ribadire ciò che da tempo penso e vado sostenendo. L’idea di poter unire in prospettiva la sinistra e la Margherita porta non a una maggiore unità, ma a una maggiore divisione. Ad un’ulteriore esplosione dei conflitti. Ritengo perciò essenziale che i Ds si dedichino a salvaguardare la loro autonomia, e che la Margherita a sua volta preservi la sua di autonomia. E che infine tra questi due soggetti distinti si instauri un’alleanza finalizzata a battere la destra, ma rispettosa delle rispettive identità culturali. Penso inoltre che la costruzione di una cultura di massa, con al centro idee sulla vita e progetti di vita - una cultura laica della vita insomma - sia imprescindibile per la politica moderna. E non già un ammennicolo ideologico o intellettualistico. È arrivato il momento di pensarci seriamente, se non vogliamo finire travolti dal neointegralismo e dal neoconservatorismo».