McBain, il poliziesco al ritmo del rock’n’roll
di Luca Briasco
Correva l’anno 1954 quando la pacifica America di Eisenhower, della Guerra Fredda, del maccartismo dilagante e del rifugio nel lindo mondo suburbano e nel mito della famiglia nucleare venne colta di sorpresa (e a tradimento) da un romanzo di grande successo, dal quale, un anno dopo, il regista Richard Brooks avrebbe tratto un film memorabile. A firmare il libro era stato, con lo pseudonimo di Evan Hunter, un ventottenne di talento che già da diversi anni cercava di ritagliarsi uno spazio personale nel mondo dell’editoria di massa e dei tascabili pulp da edicola (lo stesso mondo dal quale, per fare solo qualche esempio, sarebbero emersi in quegli stessi anni mostri sacri come Jim Thompson, David Goodis, Ross McDonald per il noir e Philip K. Dick per la fantascienza): il suo vero nome era Salvatore Lombino, e come Evan Hunter, ma anche come Hunt Collins e Richard Marsten, aveva pubblicato diversi racconti, tra poliziesco e fantascienza. Il romanzo, The Blackboard Jungle (da noi tradotto, per le librerie come per il cinema, con il titolo Il seme della violenza) raccontava di un reduce di guerra che, assunto come insegnante in una scuola della periferia newyorchese più degradata, finiva per guadagnarsi il rispetto di una gang studentesca turbolenta e multietnica (neri, irlandesi, italiani, ebrei, portoricani). La celebrità del romanzo deriva in parte significativa dall’irruzione, nella versione filmica, del rock’n’roll di Bill Haley and the Comets, e in particolare di quel Rock Around the Clock che avrebbe dato il via a una vera e propria rivoluzione di costume, introducendo il conflitto generazionale come una spina nel cuore del familismo americano. E non c’è dubbio che romanzo e film alimentassero entrambi, con l’immediatezza espressiva della grande letteratura popolare, un messaggio etico profondamente ambiguo. Se da un lato l’onnipresenza delle pulsioni violente e l’atmosfera di degrado e ribellione di un gruppo di «ribelli senza causa» (per parafrasare il titolo originale di Gioventù bruciata, altro grande film dell’inquietudine giovanile, di quello stesso, fatidico 1955) smantellavano senza pietà il mito dei «tranquilli anni Cinquanta», svelandone l’ipocrisia e gli esercizi di calcolata rimozione, dall’altro l’ambientazione urbana e la dimensione multietnica e stratificata del mondo studentesco consolidavano e ribadivano, come necessità irrinunciabile, la fuga dalle grandi città e il rifugio in un mondo di villette e viali alberati nel quale, già da qualche anno, batteva il cuore «sano» dell’America.
Forte di un successo così clamoroso e di un immediato interesse da parte della macchina produttiva hollywoodiana, Lombino-Hunter avrebbe impiegato un solo anno per inventare un ulteriore pseudonimo, Ed McBain, ma soprattutto un nuovo modo di scrivere e di organizzare la materia del romanzo poliziesco. Davanti alla richiesta, da parte di un editore specializzato, di un’idea per una serie poliziesca innovativa, Lombino propose una serie di romanzi concatenati il cui eroe non doveva più essere una «suola», un detective alla Sam Spade o alla Philip Marlowe, né un singolo poliziotto o una coppia di superagenti, come nei film polizieschi «di strada», tutti girati in esterni metropolitani, che avevano goduto di un notevole successo alla fine degli anni Quaranta (un esempio tra i migliori: T-Men contro i fuorilegge, di Anthony Mann), bensì un intero commissariato, quello dell’ormai celeberrimo Ottantasettesimo Distretto. Come avrebbe dichiarato l’autore stesso, rievocando quella intruizione così decisiva per la sua carriera: «Volevo tentare di descrivere il lavoro quotidiano dei poliziotti di una grande città, ma al tempo stesso volevo farlo prendendo un gruppo di uomini con personalità e tratti caratteriali differenti, che, riuniti assieme, avrebbero dovuto formare un unico ed esclusivo eroe: la brigata dell’87mo Distretto. Ch’io sappia, non era mai stato tentato nulla del genere». Un’affermazione, quest’ultima, assolutamente condivisibile, e che merita un commento.
Il poliziesco (che lo si chiami noir, giallo, procedural, thriller) rappresenta senz’ombra di dubbio il genere per antonomasia della cosiddetta letteratura popolare, nel quale si sono cimentati, ora in modo esclusivo, ora con incursioni spesso tutt’altro che occasionali, alcuni tra gli scrittori di maggior talento dello scorso secolo. Stilare una lista di maestri sarebbe pertanto dispersivo e comporterebbe esclusioni dolorose e ancor più dolorose dimenticanze. Più facile è però individuare gli scrittori che hanno saputo inventare nuove modalità narrative e imprimere al genere nel suo insieme accelerazioni brusche e ricche di conseguenze. Tra questi (e molti nomi sono scontati e consolidati, da Hammett a Simenon, da Chandler ad Agatha Christie o Patricia Highsmith) Ed McBain merita un posto d’onore. All’individualismo del detective (sia egli il raffinato dilettante à la Poirot o il professionista disincantato à la Sam Spade) ha saputo contrapporre un protagonista in nome collettivo, in grado di evolversi attraverso l’apporto di personaggi sempre nuovi e di accompagnare la carriera dell’autore per quasi un cinquantennio. È a personaggi come Steve Carella - vero e proprio portavoce del romanziere sulla scena del racconto -, il tenente Byrnes, Bert Kling, l’ebreo Meyer Meyer, il nero Arthur Brown e via procedendo, che McBain deve la sua straordinaria longevità creativa e le ragioni di un successo che non ha mai cessato di autoalimentarsi. Ogni romanzo di McBain offre uno spaccato trasversale, una vera e propria tranche de vie che si dispiega attraverso una serie di inchieste individuali che si svolgono spesso in contemporanea, procedono parallele, a tratti si incrociano o rimandano l’una all’altra in un raffinato gioco di echi, secondo una struttura narrativa che la critica americana ha correttamente definito come «modulare». E ogni romanzo, di anno in anno (la puntualità e la prolificità di McBain hanno davvero del prodigioso) ha aggiunto un nuovo e aggiornato capitolo alla storia di Isola, la megalopoli, simbolica come la Poisonville di Hammett e insieme così simile alla New York già evocata ne Il seme della violenza, nella quale si concentra l’intero ventaglio di classi sociali e gruppi etnici che costuisce il grande calderone americano. In questo, McBain - come molti dei migliori esempi del poliziesco - sembra davvero l’erede del grande romanzo realistico e popolare dell’Ottocento, del quale condivide la capacità di mantenere un delicato equilibrio tra sociologismo e divertimento puro, correggendo una tendenza sempre presente al rappel à l’ordre conservatore attraverso l’attenzione inesausta alla complessità dei personaggi e delle loro motivazioni psicologiche.
La grande invenzione dell’87mo Distretto e l’abilità nella costruzione di intrecci spesso complessi e stratificati sono poi accompagnate e sostenute da una compattezza nella resa stilistica che, in cinquant’anni di carriera, ha conosciuto cedimenti solo occasionali, mantenendo quasi sempre quelle caratteristiche di solidità e rigore che nobilitano anche una serie minore e più convenzionale come quella, inaugurata alla fine degli anni Settanta, che ha per protagonista l’avvocato Matthew Hope. Mentre Evan Hunter, il primo alter ego di Lombino, si è riservato lo spazio per opere più sperimentali e complesse, regalandoci, oltre alla indimenticata sceneggiatura de Gli Uccelli di Hitchcock, romanzi spesso sorprendenti e talvolta memorabili.
Ora, a 79 anni, Salvatore Lombino ci ha lasciati, ma in ottima e ricca compagnia: la sua inconfondibile voce continua a risuonare attraverso i quasi cento romanzi che i suoi pseudonimi si sono spartiti, come nei mille altri libri che i vecchi e i nuovi maestri del nero, dal Joseph Wambaugh de I ragazzi del coro al James Ellroy della quadrilogia di Los Angeles, difficilmente sarebbero arrivati a scrivere, se non avessero trovato la strada già solcata dalla penna inesauribile di questo grande artigiano.
Un grande giallista ci lascia...personalmente ho divorato quasi tutti i suoi libri dell'87° distretto...non ne ho trovato uno noioso, brutto, mal riuscito! Ci mancherai, Ed
che la terra ti sia lieve Ed. Salutaci Ray e Dashiell se li vedi.
era uno scrittore vero che scriveva gialli.
riposi in pace.
Libri gialli molto interessanti
L'omonimo famoso Lombino Salvatore addirittura si chiamava Lombino Salvatore Antonino come il sottoscritto
Sono un parente di Salvatore Lombino (Ed MecBain) originario di Palermo abitante a Sambuca di Sicilia .