«Ma com'è che non mi piace?» Ho affrontato il primo Heymerich - prima opera pubblicata di Valerio Evangelisti - con curiosità e anche un pizzico di riverenza, il suo
Noi saremo tutto è uno dei migliori libri letti di recente nel genere e Valerio è personaggio notevole per misura, spessore, intelligenza e cultura. Però Heymerick, nonostante l'attitudine positiva nei confronti dell'autore, nonostante il premio Urania all'Unanimità, benché riconosca che l'idea è intrigante (anche se forse
non originalissima), non mi è piaciuto granché.
Va premesso che il libro ha oltre dieci anni, tempo lunghissimo per un autore giovane e intuellettualmente vivo come Evangelisti: dal 1994 a oggi uno con al sua capoccia ha avuto modo di evolversi abbondantemente come scrittore. Provo comunque a sintetizzare i miei dubbi sull'Inquisitore, certo di fare cosa sgradita ;-) all'esercito di fan dell'antipatico padre Nicolas,
«unmisantropo che odia il suo prossimo, e comunica con lui quasi solo attraverso la violenza. Insomma, un personaggio tormentato e complesso», per descriverlo con le parole dell'autore in
un'intervista a Trax.
1 - per quanto possa capire io, la tesi dell'esistenza degli "psitroni" su cui si basa tutto l'ambaradan è davvero troppo bislacca. Sono dell'idea che - magari non quanto la fantascienza - anche il fantasy debba comunque mettere sotto ogni storia dei postulati da rispettare. Qui invece la faccenda è talmente complicata (gli eventi si ripercuotono su tre epoche) da mettere a dura prova la capacità di immedesimazione del lettore.
2 - il modo di raccontare è freddo, poco coinvolgente. Immagino fosse il desiderio di Evangelisti, ma non riesco a coniugare questo modo di scrivere saltabeccante ai miei gusti di lettore. L'artificio del continuo andirivieni tra le tre epoche, lasciando in sospeso quello che sta accadendo, il primo paio di volte può anche essere efficace per mantenere tensione, ma dopo un po' stanca e fa "uscire" dal racconto.
3 - la definizione psicologica è a volte un po' rozza. Padre Nicolas non è mai riuscito a convicermi, a mandare segnali convincenti sui disastri interiori che - sembra di capire - lo tormentano. Le descrizioni delle sue paure, delle ansie, dei passaggi da incertezza a determinazione non sono mai riusciti a portarmi all'empatia, tantomeno all'identificazione.
4 - l'ambientazione storica è altrettanto fredda. Nonostante alcuni momenti pulp che sembrano un po' messi lì a tutti i costi (i tre impiccati e il massacro delle donne), si fa fatica a immaginare il mondo di Heymerick. Ricordo la lettura de
Il nome della rosa, era straordinario l'effetto "parto": ogni volta che dovevo chiudere il libro dovevo scrollare la testa e sbattere gli occhi per rendermi conto di non avere in torno un monastero medievale.
5 - gli anni-luce sono una misura di spazio e non di tempo :-)
Sottolineo in conclusione che la lettura non è affatto spiacevole, il libro scorre veloce, anche se i salti di tempo tendono a farlo chiudere qualche volta di più del giusto. Ma forse il problema è aver letto prima il superbo "Noi saremo tutto" e di aver tenuto quello, anche se inconsapevolmente, come metro di paragone.