Dell’Utri tramite tra Cosa Nostra e la Fininvest
Le motivazioni della condanna
Censurato il silenzio del premier
di Marco Travaglio
Il gruppo Fininvestdi Silvio Berlusconi ha ricevuto finanziamenti «non trasparenti». In compenso ha versato «per diversi anni somme di denaro nelle casse di Cosa Nostra». Poi, nel ’93, si tramutò in un partito: allora Provenzano «ottenne garanzie» che lo convinsero a «votare e far votare per Forza Italia»,
con cui aveva «agganci» anche il boss stragista Leoluca Bagarella. Garanzie fornite da Marcello Dell'Utri, che ha avuto «per un trentennio contatti diretti e personali» con boss del calibro di Bontate e Teresi, oltre al «fattore» Vittorio Mangano, assunto ad Arcore nel 1974 «pur conoscendone lo spessore delinquenziale, e anzi proprio per tale sua 'qualità', con l'avallo compiaciuto di Bontate e Teresi». Da tre decenni Dell'Utri svolge un'«attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest», nonché una «funzione di 'garanzia' nei confronti di Berlusconi». Nei «momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest» Dell'Utri fa da mediatore, «ottenendo favori» dalla mafia e «promettendo appoggio politico e giudiziario». Tutte condotte «pienamente e inconfutabilmente provate da fatti, testimonianze, intercettazioni». Sono frasi tratte dalle 1800 pagine di motivazioni depositate ieri dalla II sezione del Tribunale di Palermo che a dicembre ha condannato il senatore Marcello Dell'Utri a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e il suo grande amico Gaetano Cinà a 6 per partecipazione diretta a Cosa Nostra.
I rapporti fra Dell'Utri e Cosa Nostra «sopravvivono alle stragi del 1992-'93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla 'vendetta' di Cosa Nostra». Il senatore è sempre «disponibile verso l'organizzazione nel campo della politica, in un periodo in cui Cosa Nostra aveva dimostrato la sua efferatezza con stragi gravissime... e, inoltre, quando la sua figura di uomo pubblico e le responsabilità connesse agli incarichi istituzionali assunti, avrebbero dovuto imporgli maggior rigore morale». Insomma, Dell'Utri ha continuato a «mafiare» anche dopo l'entrata in Parlamento nel '96, e a «inquinare le prove» durante il suo processo.
Fatti, non teoremi, secondo i giudici: la «pluralità delle sue attività ha costituito un concreto, volontario, consapevole contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra, cui è stata offerta l'opportunità, con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza». Ed esistono «prove certe della compromissione mafiosa dell'imputato Dell'Utri anche relativamente alla sua stagione politica». Forza Italia nasce nel '93 da un'idea di Dell'Utri. Il quale «non ha potuto negare» che ancora nel novembre '93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era «in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica». Il perchè, secondo i giudici, è semplice: Dell'Utri incontrava Mangano nel '93-94 per promettere «aiuti concreti ed importanti a Cosa Nostra in cambio del sostegno a Forza Italia». Tant'è che ancora nel '99 Cosa Nostra impone ai suoi uomini di votare Dell'Utri «per tirarlo fuori dai suoi guai giudiziari: i rappresentanti delle istituzioni 'lo volevano fottere' a tutti i costi, ma non avrebbero più potuto fargli nulla se fosse andato al Parlamento Europeo». Dunque fin dal '94 «vi è prova che Dell'Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia».
Altro capitolo: l'origine delle fortune di Berlusconi, che incamerò a cavallo fra gli anni 70 e 80 centinaia di miliardi di lire di provenienza ignota: i pm Ingroia e Gozzo han sostenuto che è tutto poco trasparente. Il Tribunale condivide: «La scarsa trasparenza di molte operazioni Fininvest negli anni 1975-84 non han trovato smentita in quelle del consulente della difesa Dell'Utri; non è stato possibile risalire… all'origine dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest». Poteva chiarire tutto Berlusconi. Ma quando il Tribunale si è recato a Palazzo Chigi per interrogarlo, nel 2002, il premier «si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio. L'on. Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto riconosciuto dal codice di rito ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio». Scena muta.