Va letto l'articolo di Cesare Martinetti pubblicato sulla
Stampa Web e va letta la biografia dell'autrice su
Wikipedia, perché lo sconcertante "
Igiene dell'assassino" sconcerta meno e si lascia comprendere di più se si conosce la vita dell'autrice. L'infanzia in una società diversa, il mutismo infantile, il cioccolatino come catalizzatore delle prime parole pronunciate, il canto giapponese del padre, il soggiorno in Bangladesh e l'anoressia. Allora i conti tornano, perché si ritrova un po' tutto questo nella storia di Prétextat Tach, protagonista del libro del 1992 che le ha dato la notorietà. Tach è uno scrittore misantropo e misogino, premio Nobel per la letteratura, tanto grasso da non riuscire più a camminare che scopre di essere in fin di vita: restano un paio di mesi e il suo agente lo convince a farsi intervistare.
Il romanzo è tutto qui, nei dialoghi di Tach con tre giornalisti e una della giornalista. I primi tre saranno massacrati dal sadismo dialettico dello scrittore, la quarta, Nina, saprà tenergli testa, invertendo i ruoli e trasformando il carnefice in vittima.
Nonostante l'immobilismo della scena, questo è un romanzo che avvince e coinvolge, la Nothomb è abilissima nello spostare l'empatia del lettore da un personaggio all'altro man mano che le pagine scorrono e il passato dello scrittore emerge dopo oltre sessant'anni. Finale a sorpresa ma non troppo, allegorico, forse autobiografico a leggere questa frase da
un'intervista rilasciata a Io Donna:
«Quando perdo qualcuno, ho l’impressione che la mia mortificazione sia più devastante di quella dell’altro, lo vivo come il marchio del destino e ogni volta per me è la fine del mondo. Credo di aver cominciato a scrivere per combattere tutta questa morte».
Grazie Sami per la dritta su questo libro.