A Occidente di Oriana
di Guido Viale
Non ho letto l'intera sequela degli scritti
di Oriana Fallaci contro l'Islam e in difesa
dell.ormai decaduta civiltà occidentale
(il troppo stroppia) e concordo con Piero
Ottone che, anche prima dell'ultimo saggio
(Il nemico che trattiamo da amico, il
Corriere della Sera, 16/7/2005) aveva sostenuto
che quegli scritti non sono commentabili
- non meritano commenti -
perché non contengono argomentazioni,
ma solo invettive. Essi però suscitano almeno
due interrogativi: il primo riguarda
il loro successo, sia tra il grande pubblico
che tra un gruppo nutrito e in continua
crescita di intellettuali, politici e giornalisti.
Il secondo riguarda il «non detto» di
questi scritti. Vale a dire: che cosa propone
Oriana Fallaci? Le questioni sono tra
loro connesse: il successo di quegli scritti
dipende molto dal fatto che si fermano
prima di tirare le conseguenze.
Oriana Fallaci dà voce e veste - non
certo «dignità» - letteraria a umori diffusi
in una parte consistente del pubblico
italiano, europeo, «occidentale»;
umori che - in questo ha ragione - prima
dei suoi interventi molti si sarebbero
vergognati di palesare. Quali? Innanzitutto
la paura del diverso e dello «straniero», acuita dalle dimensioni planetarie
delle migrazioni messe in moto dalla
globalizzazione del mercato del lavoro,
dallamiseria e dalle guerre.
In secondo luogo la nostalgia di un'identità perduta;
un'identità devastata dalla moltiplicazione
dell'offerta di beni di consumo e dalla vacuità dei messaggi veicolati dai media. Poi la «rabbia» - è la malattia dei cani idrofobi - con cui
Oriana Fallaci ha inteso contrassegnare la tonalità emotiva delle sue invettive, e che trova
ampio riscontro nelle frustrazioni quotidiane di
una vita sempre più agra imposta tanto a chi è
privo di tutto quanto a chi ancora mantiene dei
privilegi. Infine «l'orgoglio». Non è chiaro di che
cosa sia orgogliosa Oriana Fallaci, che si vergogna
dellamollezza di quasi tutti i governanti e i
governati della civiltà a cui sente di appartenere.
Ma l'orgoglio è il segreto del suo successo:
meno ci si sente considerati - e da tempo la
considerazione e il rispetto riservati ai comuni
cittadini stanno approssimandosi allo zero -
più si persegue una rivalsa alla ricerca di qualcuno
che «valga» meno di noi. E' il meccanismo
fondamentale del razzismo: quello che per
anni ha indotto i «bianchi poveri» degli Stati
uniti del Sud a fare da punta di lancia della discriminazione
razziale. Oriana Fallaci ha individuato
questo «qualcuno» in un «mondo islamico» costruito a suo uso e consumo; e ad esso
non lesina il suo disprezzo e aperte manifestazioni
di schifo. Così insegna a tutti a essere razzisti
«con orgoglio»: senza vergognarsi.
Quanto al «che fare?», non è un caso che
Oriana Fallaci non ne parli mai, nonostante il
profluvio di parole di cui periodicamente ci
inonda. A quel che fare? ha riservato un polemico
accenno di sfuggita Eugenio Scalfari, quasi
si trattasse solo di un paradosso: «arrestare
tutti i musulmani residenti in Italia e buttarli a
mare. Oppure, in alternativa, chiuderli in giganteschi
ghetti da dove potrebbero uscire soltanto
sotto scorta per andare a lavorare. Probabilmente
Oriana Fallaci e qualche suo sodale
plaudirebbero a una politica di questo genere»
(la Repubblica, 17.07.05). Ma è un argomento
chemerita più attenzione.
L'ultima esternazione di Oriana Fallaci può
essere sintetizzata in questi termini: 1) siamo
(chi?) in guerra; 2) la guerra è contro l'Islam: in
tutte le suemanifestazioni; 3) non esistono islamici
«moderati», cioè pacifici (prima o dopo
diventeranno tutti terroristi); 4) ciò dipende dal
Corano, che è predicazione di odio (degli stermini
ordinati dal dio della Bibbia contro i nemici
di Israele non si fa parola; ci sono state sì
crociate e roghi di streghe ed eretici, ma è acqua
passata. E il pope che benediceva imacellai
di Srebrenica?); 5) l'Islam sta invadendo l'Europa
(consenzienti i suoi governanti); 6) l'obiettivo
di questa invasione è il dominio del mondo
(qui si sfiorano, o si superano, i Protocolli dei
savi di Sion); 7) bisogna combattere. Ma come?
Contro l'Islam nei paesi di origine non c'è problema.
Bush ha dato l'esempio e bisogna continuare
a sostenerlo: oggi in Afghanistan e in
Iraq, domani in Iran, Siria, e così via; anche se i
risultati di queste guerre si sono rivelati veri disastri
per tutti: l'Iraq è stato trasformato in una
concentrazione e in un punto di irradiamento
planetario del terrorismo. Ma che fare contro
l'Islam che cerca di sfondare le nostre frontiere
con i permessi di lavoro o con i boat-people?
Qui «buttarli a mare» significa: azzeramento
dei flussi (così l'economia e la società europee
vanno a fondo definitivamente: chi vorrà lavorare
al posto degli immigrati?) e fuoco sulle imbarcazioni
dei clandestini che cercano di sbarcare
sulle nostre coste. E poi, moltiplicazione
dei Centri di permanenza temporanea, che
Oriana Fallaci vorrebbe trasformati in vere prigioni
(ma che cosa gli manca per esserlo?) e deportazioni,
individuali, come quelle della Cia
verso i paesi che torturano e fanno sparire i loro
oppositori; e dimassa, come quelle delministro
Pisanu verso i paesi che abbandonano nel
deserto gli immigrati respinti: tutte soluzioni la
cui inefficacia è pari solo alla loro crudeltà.
E che fare, infine, dei diecimilioni di islamici
già presenti sul suolo europeo, molti dei quali
cittadini dei rispettivi Stati? Già; che farne?
Non si può rimandarli nei paesi di origine: non
se li riprenderebbero. Non si può «assimilarli»:
non ci stanno più; meno che mai oggi, di fronte
a una società che non prospetta niente di buono
nemmeno ai suoi membri di lunga data. E
nemmeno si può convertirli, in nome delle «radici
cristiane» dell'Europa; anche loro hanno
radici, che cristiane non sono. Ricordarglielo
non fa che fomentare le ostilità. Bisogna però
impedir loro di nuocere, tenendoli sotto controllo,
perché ciascuno di loro è un potenziale
terrorista. Un metodo - ma non ne vedo altri -
potrebbe essere, come ipotizza Eugenio Scalari,
quello di rinchiuderli nei loro quartieri, limitando
la loro possibilità di circolare liberamente
tra «noi». Oppure marchiarli, magari cucendogli
addosso una mezzaluna verde. Qualcosa del
genere lo abbiamo già sentito, vero, Oriana?
Ma alla lunga, possiamo continuare a convivere
con un'intera nazione di nemici, annidati
nelle nostre città, molti dei quali talmente simili
a noi da raggiungere posizioni di rilievo? Non
diventerà indispensabile trovare anche per loro
una «soluzione finale»? Non è un'iperbole né
un paradosso. Anche se evitano di nominarlo,
gli scritti di Oriana Fallaci e il loro successo ci
pongono di fronte a un esito possibile dei processi
di globalizzazione. Certamente dobbiamo
portare i seguaci di Oriana Fallaci a misurarsi
con questi interrogativi. Ma con prospettive del
genere dobbiamo fare i conti e definire le alternative
possibili. Le risposte di comodo non sono
ammesse.
Condivisibile il punto di vista di Viale, molti come lui vedono la Fallaci come una pasionaria del razzismo. E probabilmente hanno ragione.
Resto dell'idea che il troppo stroppia, sia da una parte che dall'altra e l'articolo linkato qui sotto è ugualmente interessante.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/07_Luglio/25/magdi.shtml
Esistono sempre più persone che solo per il fatto di avere un cognome straniero subiscono un processo di mobbing nei posti di lavoro. Questo clima ricorda gli anni trenta in Germania e viene sapientemente gestito dai leghisti per suscitare l'illusione di un benessere futuro legato alla "cacciata degli stranieri".