
La "mamma ebrea" è un archetipo su cui è stata scritta una camionata di letteratura. Chi ce l'ha sa di casa si parla, chi non ce l'ha non può proprio capire, anche se certa letteratura riesce in qualche modo a trasferire parte del rapporto complesso, profondo, devastante, intricato che si instaura tra la mamma ebrea e i figli. Emma, protagonista di
questo libro di Karine Tuil, ha una vera mamma ebrea, piena di acciacchi, dispotica, convinta che le donne servano a sposarsi e procreare, votata al "sacrificio" continuo per i figli, di cui è contemporaneamente vittima e carnefice. La storia di fatto non c'è e le 150 pagine scorrono rapide descrivendo sensazioni e travagli interiori di una trentenne che non vuole sposrsi, non vuole figli, ha un lavoro un po' così, un amante felicemente sposato e - per contro - una madre che la vorrebbe diametralmente opposta, a ripulirsi le mani sul grembiule unto dopo aver squartato un pesce o un pollo. Prova a resistere a pressioni e ricatti psicologici della madre, ma spesso cede, salvo pentirsi e mandare tutto in vacca.
I personaggi - Emma, la signora Blum, il fratello Paul - sono descritti con cura ed efficacia e il racconto, dopo un'avvio con qualche difficoltà e qualche peso, scorre veloce e si alleggerisce, facendosi a tratti esilarante come un film del miglior Woody Allen (la fuga della signora Blum, il suo rifiuto - a costo di essere rispedita in Francia - di barrare la casella del foglio di immigrazione negli Usa in cui si dichiara di non essere nazista, "lei che ha avuto la famiglia distrutta nei campi di sterminio").
Altre volte è doloroso: quando racconta con efficacia i travagli di Emma, quando trasmette l'angoscia che prova assistendo alle ossessionanti preparazioni alimentari della madre o mentre tenta di accettare la corte di Theodore Gersterzkorn ("non riesco neanche a pronunciarne il nome") e un matrimonio che imposto con inaudite pressioni psicologiche.
Il libro finisce con un escamotage che lascia un perplessi, come se l'autrice non sapesse come far uscire Emma dal vicolo cieco in cui l'ha ficcata, ma è un dettaglio da poco. Quello che conta è l'efficacia con cui trasmette al lettore i contorni di un universo familiare per alcuni inimmaginabile. Anche per questo, un grazie a Sami per la segnalazione.
A margine: il meraviglioso "matrimonio" di Malcah Zeldis scelto per la copertina mi ha suggerito di
dare un'occhiata ai lavori di questa artista. Ne vale la pena.