Colpo di grazia
di ASTRIT DAKLI
Quando le Nazioni unite, alla ripresa di settembre, celebreranno in pompa magna il 60mo compleanno, il loro becchino ufficiale si sarà già insediato al suo posto, pronto per completare la sepoltura e dare, se per caso fosse necessario di fronte a un ultimo sussulto di vita, il colpo di grazia. Non occorreva certo la nomina alla carica di ambasciatore americano all'Onu di un nemico dell'Onu come John Bolton per uccidere il più importante e prestigioso degli organismi internazionali che mai siano stati concepiti nella storia; ma certo, come si dice, aiuta - anche perché di questo assassinio Bolton è stato uno dei più fervidi e convinti esecutori già anni prima di metter piede al Palazzo di Vetro, quando andava ripetendo continuamente che «l'Onu non esiste». E non lo diceva da cittadino qualsiasi con le sue opinioni, ma come uno tra i massimi strateghi della politica internazionale di George W. Bush.
Una politica che vedeva appunto tra i suoi obiettivi strategici, fin dall'inizio, l'accantonamento se non la distruzione di tutti gli organismi internazionali, di tutti gli accordi, i patti e le convenzioni che in un qualsiasi modo limitassero o condizionassero la piena e assoluta libertà d'azione del governo degli Stati uniti nell'intero globo terracqueo (e anche al di là di esso). Non per niente uno dei primi gesti di politica internazionale di Bush, appena insediato, fu il ritiro dalla Convenzione di Kyoto; e poi via via il resto. L'Onu, in quanto capostipite di tutte le altre organizzazioni, rappresentava l'obiettivo maggiore: era necessario demolirlo con attacchi successivi e così è stato fatto, prima durante e dopo l'episodio cruciale della campagna, cioè la guerra in Iraq.
Non che le Nazioni unite fossero prima di Bush in gran buona salute: al contrario, da troppi anni si trascinavano in uno stato di coma depressivo, perennemente incapaci di prevenire così come di spegnere i focolai di guerra e abili solo a mettere l'etichetta di «intervento Onu di peacekeeping» sulle più diverse operazioni militari condotte da piccole e grandi potenze fuori dai propri confini. E' però innegabile che negli ultimi cinque anni il degrado dell'organizzazione fondata 60 anni fa per «salvare le future generazioni dal flagello della guerra» si sia accelerato oltre ogni limite: la guerra è ormai immanente a tutto il mondo, anche se i combattimenti tradizionali fra eserciti hanno lasciato il posto a ogni sorta di metodo inventivo per uccidere e terrorizzare intere società e popolazioni.
In questo tempestoso e cruento caos globale, dove l'unico faro riconoscibile, su cui si regolano i capitani di tutte le barche, è il «prevalente interesse» di un pugno di grandi aziende statunitensi, l'Onu davvero ormai sembra aver cessato di esistere. E le frenetiche manovre in corso per la sua «riforma» - che poi sarebbe solo la riforma del Consiglio di sicurezza - appaiono sempre più soltanto un modo per mascherare un'agonia e, da parte dei vari stati coinvolti (anche l'Italia) per scaricare su presunti avversari interni o esterni la responsabilità del disastro.
Di fronte a tutto ciò la nomina di John Bolton, decisa ieri da Bush ignorando il rifiuto di ratificarla opposto finora dal Senato e a maggior ragione ignorando le reazioni orripilate della diplomazia internazionale, rappresenta probabilmente l'atto finale: serve a dare il senso che la partita è finita. Forse non si arriverà - non subito - al puro e semplice scioglimento dell'organizzazione, come accadde per la precedente Società delle Nazioni: ma che questa sia la volontà degli Stati uniti d'America, non è più in dubbio.