L'arte di negare
di Nicola Tranfaglia
La lunga lettera-articolo che Silvio Berlusconi ha pubblicato ieri su «Repubblica» risente, mi pare, dell’antica abitudine che l’autore ha avuto da molti anni a questa parte, di vestire i panni dell’imputato in gravi processi, oltre che di fronte all’opinione pubblica internazionale.
È un vecchio costume di difesa quella di negare l’evidenza davanti ai giudici e Berlusconi lo fa ripetutamente per rispondere al gesto significativo di Carlo De Benedetti che, in un primo tempo, aveva accettato la partecipazione del Cavaliere in un fondo finanziario destinato al “salvataggio” di medie imprese in difficoltà.
Ma che poi, di fronte all’evidente imbarazzo del gruppo editoriale «l’Espresso» di cui è principale azionista e dell’associazione «Libertà e Giustizia» fondata nel 2001 proprio per combattere il berlusconismo, ha fatto il 4 agosto scorso una chiara marcia indietro rinunciando a quella partecipazione.
Per chi osservi con attenzione la politica italiana e lo abbia fatto negli ultimi quattro anni senza il timore assai diffuso di spiacere alla maggioranza di centro-destra (un gruppo assai sparuto di giornali e di rubriche televisive, occorre ricordarlo) quello che Berlusconi ha negato nel suo articolo appartiene proprio all’evidenza della realtà. Faccio soltanto gli esempi principali per non annoiare il lettore che ha sentito in questi anni, mesi, settimane parlare troppo, e in continuazione, dell’attuale capo del governo fino ad essere quasi condotto a mettere in conto le sue bandane, i suoi trapianti di capelli, le sue costanti dichiarazioni di ogni occasione cariche dello spirito degli anni cinquanta e della defunta guerra fredda.
La prima affermazione riguarda il conflitto di interessi di cui il presidente del Consiglio è pesantemente investito e di cui abbiamo prove ogni giorno: è vero o non è vero che in questo paese non si possono nominare direttori generali della Rai se non sono graditi a lui e che per questo si calpestano leggi di incompatibilità in vigore da pochi anni? È vero o non è vero che il presidente del Milan Galliani, attuale presidente della Lega di Serie A e di Serie B, è da sempre uno stretto collaboratore di Berlusconi? E ancora come si fa a parlare di scarso controllo della Rai quando i giornalisti sgraditi a Berlusconi come Biagi e Santoro sono stati direttamente estromessi su sua indicazione? Il Cavaliere ha il coraggio di negare che il duopolio Mediaset-Rai sia pericolosamente sbilanciato a vantaggio della prima grazie alla legge Gasparri che Berlusconi ha fortissimamente voluto? A leggere il suo articolo sembrerebbe di sì ma affermazioni come queste possono dirsi soltanto se non c’è contraddittorio o se si scrivono su giornali che sono smaccatamente dalla sua parte.
La seconda affermazione che va sottolineata riguarda le cosiddette “leggi ad personam” che De Benedetti aveva citato per motivare la sua distanza da Berlusconi. Il Cavaliere dimentica di ricordare capisaldi di quella legislazione eccezionale come la legge sulle rogatorie internazionali, sul falso in bilancio, la Cirami e molte altre ancora come ad esempio la ex Cirielli in corso di approvazione destinata ad accorciare la prescrizione e a salvare l’on. Previti dalla carcerazione e si limita a parlare del lodo Schifani, poi cassato dalla Corte costituzionale di cui difende tuttora l’opportunità.
Ma, accanto alle prime due affermazioni che mostrano quella sindrome da imputato che caratterizza l’intervento di Berlusconi, ce ne è una terza che vale la pena riprodurre perché i casi sono due: o il presidente del Consiglio non conosce il significato dei concetti e delle parole che adopera (ipotesi che non si può scartare) o pensa che siano i lettori a non conoscerli affatto. Di fronte all’affermazione di De Benedetti che aveva detto di essere sempre contrario al populismo berlusconiano, il Cavaliere ha scritto: «Non mi stupisce che Lei consideri populista chi sa parlare ai cittadini con un linguaggio semplice, comprensibile a tutti, e non si rifugia nel linguaggio elitario, il cui scopo è escludere dalla conoscenza dei fatti e dalla comprensione dei problemi la grande maggioranza degli elettori. Quello che Lei chiama populismo, con qualche, mi consenta, punta di sussiego, io lo considero l’essenza della democrazia».
Ora chiunque si occupi di politica o di storia sa che l’espressione “populismo” significa oggi una concezione plebiscitaria della democrazia, insofferente o apertamente contraria allo stato di diritto, sfociata in molti casi (si pensi a Peron in Argentina) in vere e proprie dittature. Berlusconi non lo sa (o finge di non saperlo) e parla soltanto della capacità di parlar chiaro con gli elettori, restando fuori dai contenuti della disputa. Si tratta di un’abitudine costante del presidente del Consiglio.
Così, di fronte alle intercettazioni giudiziarie su una cena alla quale avrebbe partecipato con Gnutti, Fiorani e altri imprenditori, nella quale si sarebbe parlato della scalata al «Corriere della Sera» e dell’interesse berlusconiano per quella scalata, la reazione del Cavaliere è stato soltanto l’annuncio di un decreto urgente a settembre contro le intercettazioni telefoniche rivelate dai giornali.
Non sappiamo quali altre misure si preparino contro i magistrati e contro i giornalisti. Ma è vero o non è vero che esiste l’interesse privato di Berlusconi per la scalata al «Corriere»? Una risposta chiara, mi pare, dovrebbe pur esserci da chi oggi guida il governo del nostro Paese.
Ritmo politico, ritmo politico.
Ritmo politico.
Ritmo politico, ritmo politico.
Ritmo politico.
È il gioco politico
di una bandiera che cambia,
di uno slogan che cambia,
un impegno che cambia,
e mi fa pensare:
ma come ha fatto
quel Cavaliere
a rimanere senza macchia
dopo anni di pappa e ciccia
coi mafiosocialisti
e i talponi piduisti?
Imbecilli!
Ci facciamo abbindolare
da un furbastro
che, con la scusa del 3x2
inventa intorno a sè
la sacra alleanza, una e trina,
cerniera che nasconde
un cazzo
e due coglioni!
Ritmo politico, ritmo politico.
Ritmo politico.
Uomini nuovi,
figli di padri nuovi,
fratelli di nuovi fratelli
ora dentro ora fuori,
mogli nuove
con pellicce e motori nuovi
comprati attraverso i nuovi
consigli di zelanti nuovi
consulenti per il tuo nuovo
benessere, in un nuovo
grande club!
Forsa, perché il Polo
di libertà lascia un buco,
un buco grande al centro
e lì intorno mente,
striscia viscido e lento
il biscione del profitto,
non c'è competizione,
non c'è regola,
non c'è tenzone.
Vincere vincenti, e vinceremo!
Ritmo politico, ritmo politico.
Ritmo politico.
È lui
l'uomo che l'ha fatto in campo
e a strisce verticali,
sfruttando i privilegi
del moderno imprenditore
che si accende illuminato
da una fiamma tricolore
su Fini nvest e pensa
se l'etere non basta
ad annullare la coscienza
ai vecchi metodi
ci si potrebbe affidare,
al segno blu che raddrizza
e fa marciare, forza!
Canta il paladino
con un brivido dar core
e dimentica
che ogni tanto
anche la merda viene a galla,
e con quella ci concima
i prati verdi degli stadi
riciclando a pagamento
anche in televisione
sempre uniti sotto il marchio
del bifido biscione.
Ritmo politico
equidistante,
equipollente,
equiveggente,
per dimissione dispensato
dal sospetto di liberal
politico economicultural
potere accentratore
ma chi controlla?
ma chi controlla?
ma chi controlla?
ma chi controlla?
e chi controlla il controllore?
ma la risposta di Berlusconi non era diretta a Ezio Mauro? Dall'articolo sembra di capire che si riferisse a De Benedetti...