Ma un codice non basta
di Nicola Tranfaglia
L’accoglimento immediato da parte di Romano Prodi di un codice etico che l’Unione intende adottare per le prossime scadenze elettorali è senza dubbio una buona notizia.
Una buona notizia per chi si batte da molti anni contro la politica di Berlusconi e della maggioranza di centro-destra. Ma sarebbe un errore ritenere che con il sì al codice proposto da alcune personalità (tra i quali Giovanni Sartori, Antonio Tabucchi ed Enzo Biagi) i problemi generati dalle ultime vicende politico-finanziarie saranno risolti di fronte alla possibile (ed io spero probabile) vittoria dell'Unione nelle elezioni politiche dell'aprile 2006.
Giacché, come hanno notato proprio ieri uno storico come Massimo Salvadori su Repubblica e un filosofo come Massimo Cacciari su questo giornale, noi siamo già dentro a una vera e propria crisi di sistema che richiederà per esser superata uno sforzo eccezionale da parte delle classi dirigenti italiane, politiche come economiche e culturali.
Alcune affermazioni mi hanno colpito leggendo quel che hanno scritto i giornali di fronte al susseguirsi di notizie e intercettazioni giudiziarie sulle scalate in corso (da quelle bancarie già note a quella in corso sul Corriere della Sera da parte di uomini vicini a Berlusconi) e le elenco senza pretesa di completezza.
Le prime si trovano nell'intervista che un esponente importante dei Democratici di sinistra come l'onorevole Bassanini ha concesso alla Stampa sostenendo (sull'onda di quel che aveva già detto Prodi qualche giorno prima e che ha di continuo riaffermato fino ad ieri) che «l'economia, la finanza hanno le loro logiche e la politica non può esserne condizionata» e ancora che bisogna fare molta attenzione da parte dei politici «ai compagni di strada», ricordando vicende significative come la battaglia per la conquista della Telecom negli anni novanta.
La seconda è la polemica esplosa tra due vecchi amici come l'on. Luciano Violante e il procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli, vittima recente dell'ennesima legge ad personam confezionata apposta dai berlusconiani per impedirgli di diventare procuratore generale della Direzione Nazionale Antimafia.
A Caselli che in un'intervista al Corriere della Sera ha accusato in generale la classe politica,di ogni colore, di chiudersi a riccio di fronte a indagini che riguardano i politici, Violante ha replicato che non si possono mettere sullo stesso piano una classe politica come quella berlusconiana che fabbrica di continuo leggi ad personam e una classe politica come quella di centro-sinistra che si è schierata con decisione contro la riforma Castelli e altre iniziative del governo contro la magistratura.
Ma la critica di Caselli contro una difesa tiepida della magistratura di fronte a indagini che toccano la politica resta, a mio avviso, ancora in piedi e rimanda all'eredità, tuttora lacerante, delle inchieste giudiziarie dei primi anni novanta.
I due esempi che ho fatto, tra i tanti che si potrebbero estrarre dalle cronache politiche degli ultimi giorni, mostrano una situazione di disagio e di difficoltà a cui è necessario offrire una risposta rassicurante agli elettori.
Romano Prodi, nel primo dei suoi interventi dedicati alla questione morale o a quella «amorale», come ha voluto definirla Ilvo Diamanti in un recente articolo sulla Repubblica, ha parlato per primo della necessità di un codice deontologico da varare per le prossime elezioni politiche di aprile da parte dell'Unione in modo da escludere dalle candidature donne e uomini che siano stati condannati in maniera definitiva per reati che attengono alla pubblica amministrazione o comunque a materie riguardanti la gestione della cosa pubblica.
Ma, ammesso che si arrivi, nei prossimi mesi, al varo di un simile codice (come ora chiedono anche Sartori e gli altri firmatari della lettera a Prodi) c'è da chiedersi se una misura simile sia sufficiente a promuovere un effettivo rinnovamento della classe politica di fronte ai guasti legislativi e di costume provocati da cinque anni di illegalità, di clientelismo e di commissione tra interessi privati e pubblici come quelli che hanno caratterizzato il secondo governo Berlusconi e che hanno, come sempre avviene in questi casi, contaminato non soltanto i vincitori ma anche i vinti.
La risposta non può che essere negativa. Il problema non può risolversi soltanto a livello formale e giudiziario (anche per l'estrema lentezza e farraginosità che caratterizza ancora nel nostro paese la macchina giudiziaria) ma richiede, da parte dei dirigenti dell'Unione, uno sforzo assai maggiore che si esprima, al momento della scelta delle candidature, in una valutazione di fondo più ampia e più attenta alla richiesta di rinnovamento presente nella società italiana.
Si tratta, in altri termini, di una forte esigenza di far entrare nel mondo politico e parlamentare, accanto ai soliti professionisti attenti alla tattica e alla tecnica parlamentare, donne e uomini che per età o per competenze specifiche acquisite, possano rinnovare a fondo le logiche e gli strumenti che hanno caratterizzato fin qui la nostra politica.
Che immettano aria nuova e pulita in istituzioni che hanno perduto in questi anni parte del proprio prestigio (penso alle assemblee parlamentari ma anche alla Banca d'Italia per fare qualche esempio), che tengano assai più conto di quel che accade quotidianamente in settori importanti della società italiana (come il mondo dei giovani e quelli dei nuovi lavori).
Soltanto procedendo in una maniera innovativa e meno corporativa la classe politica di centro-sinistra riuscirà a combattere efficacemente il profondo distacco dalla politica che si è consolidato in questi anni e a convincere i cittadini italiani che si può davvero cambiare per costruire un paese moderno e meno ingiusto.