E' il capitalismo bellezza
di Piero Sansonetti
La questione morale che si è aperta, e che squassa la politica italiana in questo mese d'agosto, è stata paragonata a quella che nel 1992-93 portò alla fine della prima Repubblica e allo scioglimento dei partiti di governo. C'è chi dice che è ancora più grave di quella, più profonda. E' così?
Ci sono due grandi differenze tra oggi e gli anni '90. Allora vivevamo in un sistema economico capitalista a economia mista (cioè era molto forte il peso dello Stato in economica, e di conseguenza il ruolo dei governi, delle amministrazioni, dei partiti, delle correnti); oggi l'Italia è un paese che dopo un decennio di liberalizzazioni e di privatizzazioni molto ampie, si regge su una economia fortemente liberista e su una struttura capitalistica classica (seppure con parecchie eccezioni protezionistiche e monopolistiche, o almeno di oligopolio, e cioè di limitazione della libera concorrenza). Il ruolo dello Stato in economia è ridotto, la sua potenza ridimensionata. Questo non vuol dire che non ci sia una commistione tra mano pubblica e mano privata, ma questa commistione è dovuta semplicemente al fatto anomalo che il capitalista numero 1 del paese è anche il capo del governo.
La seconda differenza tra il '92 ed oggi sta nel confine tra legalità e illegalità. Allora il terremoto di "Tangentopoli", interamente guidato dalla magistratura, si realizzò attraverso un numero altissimo di avvisi di garanzia, di arresti, di rinvii a giudizio, di processi. Furono trovati verbali che provavano la corruzione, valigette piene di soldi, matrici di assegni, riscontri concreti che spiegavano come il mondo economico pagasse tangenti molto alte agli uomini politici, e come queste tangenti fossero la condizione necessaria per poter proseguire la propria attività. Nella "Tangentopoli" del '92 furono coinvolte più di 2000 persone. Poi si potrà discutere finché si vuole su come i giudici, con quelle inchieste, riuscirono a cambiare il corso della politica italiana, e se fosse giusto che lo cambiassero, e sui metodi che furono usati nelle inchieste, e sulle forze e i poteri che forse tifarono per lo smantellamento della prima Repubblica per proprie ragioni non limpide, o perché volevano farla pagare ai gruppi che aveva governato l'Italia, eccetera. Però non ci sono dubbi sul fatto che una parte consistente del ceto politico di governo avesse varcato la soglia che divide il legale dall'illegale.
Stavolta le cose sono molto più complesse. Nessun giudice ha firmato un solo avviso di garanzia. La questione morale non è esplosa nei tribunali ma sulle pagine dei giornali, e la sua sostanza non sta nella violazione di alcune leggi dello Stato ma nei comportamenti che sembrano in contrasto con gli interessi nazionali, con la difesa del pluralismo, talvolta con il rispetto del decoro. Non si vedono reati. Si vede un atteggiamento della politica o di grandi istituzioni come Bankitalia, che appare lontanissimo dalla necessità di trovare soluzioni alla crisi del paese e sembra piuttosto interamente rivolto alla battaglia per conquistare pezzi di economia, pezzi di editoria, porzioni robuste di poteri e di risorse economiche, per rafforzare la propria posizione o quella del proprio gruppo.
Vogliamo riassumere la sostanza di questa questione morale dell'anno 2005 in una formula breve e facile? Conflitto di interessi. Lo ha detto in modo semplice e chiaro ieri, nell'editoriale del Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia.
Naturalmente quando si parla di conflitto di interessi si pensa soprattutto a Berlusconi. E' stato esagerato il modo nel quale in questi cinque anni il premier ha difeso il suo presunto diritto di fare prevalere i propri interessi (quelli delle sue aziende) su ogni altro interesse collettivo. E il presunto assalto alla proprietà del Corriere della Sera si aggiunge al gigantesco contenzioso accumulato sfacciatamente dal 2001 a oggi. Ma è chiaro che quello non è l'unico conflitto di interessi. La politica italiana è diventata il crocevia di decine di conflitti di interessi (purtroppo del tutto legali) che nessuna magistratura potrà risolvere. Il conflitto è dentro il sistema. E' nel capitalismo moderno, e nel modo come il capitalismo moderno ha risolto il problema della rappresentanza politica, riducendone il valore e il potere. Qual è la legge che regola il funzionamento della vita pubblica, non solo in Italia, ma in quasi tutti i paesi dell'occidente? La legge del guadagno. E' l'unico metro ammesso per misurare efficienza e salute di una persona, di un gruppo, di una azienda, di una città, di un paese. Non si capisce perché la politica non dovrebbe adeguarsi. Non c'è una questione morale che riguarda la violazione delle leggi, ma una questione che riguarda il rispetto di regole a-morali e prive di senso della collettività e dello Stato che sono semplicemente le regole del liberismo. Se ci chiedessero di sintetizzare con una frase celebre la questione morale che è aperta oggi, risponderemmo così: «E' il capitalismo, bellezza, e tu non puoi farci niente» (citazione, modificata, dal film "Quarto potere").
Però non è vero. Tu puoi farci, puoi farci molto. E tu sei la politica, e tu, in particolare, sei la sinistra. Devi avere la forza di mettere in discussione questo capitalismo, e di riconoscere che la questione morale esiste. Sei avvantaggiato, rispetto alla destra, perché per la destra la critica al capitalismo è innaturale, è più difficile.
Piero Fassino, segretario dei Ds, recentemente ha risposto un po' arrabbiato alla richiesta di Bertinotti e Mastella di preparare un codice morale dell'Unione. Ha detto: «noi siamo gli eredi di Berlinguer, nessuno può insegnarci cos'è la questione morale». Fassino non ha ragione. Enrico Berlinguer pose la questione morale all'inizio degli anni '80 (un decennio prima di "Tangentopoli") esattamente nei termini in cui si pone adesso: il divorzio tra politica e bene comune, e la subalternità della politica al potere e agli interessi economici privati. Non fu affatto applaudito dal suo partito. Settori molto ampi e potenti del Pci polemizzarono apertamente con lui, lo accusarono di voler seguire ideologicamente la teoria perdente della "diversità comunista", e di fatto resero impossibile la campagna politica che Berlinguer avrebbe voluto aprire. La questione morale si ingrandì negli anni successivi, e siccome la politica si rifiutò di prenderne atto alla fine arrivò la magistratura. Dobbiamo rifare adesso l'errore che il Pci fece vent'anni fa, ignorando Berlinguer?
Tristèssa. Non i lavoratori, ma i capitali, interessano a sti stronzi... non la produzione, ma l'arricchimento, non la... ok la smetto hai capito.