Per Ariel una metamorfosi a metà
di Alan Altaras
I leader della destra israeliana hanno strani rapporti con l'Angelo della Storia, che di tanto in tanto arriva e li costringe a mutare visione politica. Quasi trent'anni fa, alcuni mesi prima dell'arrivo di Sadat a Gerusalemme, l'allora premier israeliano Begin dichiarò che appena si fosse ritirato dalla vita politica sarebbe andato a vivere in una delle colonie israeliane del deserto del Sinai. Poi arrivò Sadat e il falco Begin, invece di attuare il suo disegno, si trovò costretto ad accontentare l'Angelo della Storia e arrivare ad un accordo di pace con l'Egitto in cambio di tutti i territori egiziani conquistati nella Guerra dei Sei Giorni. Guarda caso, l'uomo responsabile dello sgombero della presenza israeliana nel Sinai era Ariel Sharon, che eseguì il compito con poca convinzione.
Ora anche Sharon si trova davanti ad un bivio della Storia. Egli, che più di ogni altro leader israeliano ha aiutato i coloni e ha coltivato il loro sogno di una permanenza eterna a Gaza e in Cisgiordania, si trova a dover sgomberare luoghi che rappresentavano l'incarnazione della sua visione politica. A questa decisione è arrivato soltanto da premier. Prima del suo arrivo alla carica di primo ministro, il suo nome era legato al totale rifiuto di ogni concessione ai palestinesi. Nessun primo ministro israeliano che abbia lavorato con Sharon ha mai ottenuto il suo appoggio ad un piano di «pace in cambio di territori». Ma lo Sharon di oggi, oramai settantasettenne, ha capito nell'ultimo anno che il ritiro dalla Striscia di Gaza costituisce per lui l'opportunità di entrare nella Storia del Medio Oriente come colui che ha contribuito alla pace, e non soltanto alla guerra. Questa consapevolezza richiedeva, da parte sua, un grande coraggio politico, perché nel suo stesso partito, il Likud, Sharon si trova in minoranza. Il ritiro dalla Striscia di Gaza gode il sostegno della maggioranza della società del Paese, ma non nelle fila della destra, estremista e non. Begin venne trascinato alla storica pace con l'Egitto da due falchi convertiti come Moshè Dayan e Eiser Weizmann. Sharon, in questa decisione, è più solo e può fare affidamento sul partito laburista e sulla sinistra sionista guidata da Beilin, sempre disposta ad appoggiare ogni passo che avvicini alla pace e metta fine all'occupazione israeliana nei Territori.
Potrebbe venire in questi giorni la tentazione di leggere un piccolo passo coraggioso come la completa metamorfosi di un leader politico. Sharon - lo ammetteranno anche i suoi oppositori - ha compiuto un gesto che nemmeno Ytzhak Rabin dopo Oslo ha avuto coraggio di fare. La presenza israeliana nella Striscia di Gaza ha visto, nella poltrona di primo ministro, persone assai più moderate di Sharon - Rabin, Peres, Barak - ma nessuno di loro ha trovato il coraggio di confrontarsi con la violenta dirigenza dei coloni e mettere fine alla presenza di 7.000 israeliani in un territorio abitato da oltre 1 milione di palestinesi.
I prossimi mesi, il prossimo anno ci mostreranno se lo sgombero dalla Striscia di Gaza sia stato un esperimento di Sharon per preparare l'estrema destra e i coloni alla fine del sogno della biblica Eretz Israel. Il ritiro da Gaza sarebbe allora il primo passo verso l'attuazione della «road map» e alla condivisione degli accordi di Taba. Se questo è il suo piano politico, allora si potrebbe pensare che il leader israeliano è pronto a compiere una metamorfosi vera e propria e a cominciare ad evacuare i quasi 200.000 coloni della Cisgiordania. Sono infatti i coloni della Cisgiordania il nucleo duro del movimento, i più violenti, i meglio organizzati e armati.
Le possibilità che si prospettano sono due: Ariel Sharon attua il ritiro da Gaza per non dover essere lui a compiere il grande passo che riguarda la Cisgiordania, oppure il falco di Shabra e Shatila, nel suo secondo mandato come primo ministro, ha deciso di entrare nella Storia del Medio Oriente come il leader che ha messo fine al conflitto israelo-palestinese e ha concesso i Territori per far nascere uno stato palestinese che viva in pace accanto allo stato di Israele.
Qualunque siano i motivi che lo hanno spinto a fare questo passo decisivo, in fondo, conteranno i fatti: può essere stato anche il più cattivo falco della storia, in passato, ma se il suo carattere gli ha permesso di dare di fatto ai Palestinesi la speranza di riavere un loro stato, il giudizio complessivo della storia non potrà che essere positivo per Sharon (IMHO)... staremo a vedere.
PS: qualcuno tradurrebbe l'altro commento in spagnolo...?
Il commento in spagnolo era spam e l'ho rimosso.
"Troppo bravi": http://www.ilcircolo.net/lia/000849.php