Dite qualcosa di destra
di Marco Travaglio
In Brasile piange il presidente Lula, in diretta tv, mentre chiede scusa al popolo per gli scandali di corruzione del suo «partito dei lavoratori». In America piangono gli amministratori di Worldcom, il più grave crac insieme ad Enron della storia Usa: il solo Bernard Ebbers è stato appena condannato a 25 anni di prigione per 9 capi d'imputazione che in Italia gli varrebbero il laticlavio, il cavalierato e un ministero. In Cile piangono la moglie e il figlio di Pinochet, arrestati per evasione fiscale in vari paradisi off-shore, un reato che da noi porta dritti a Palazzo Chigi. Così in Germania aveva pianto, sempre in tv, Helmut Kohl per qualche miliardo di finanziamenti irregolari della Cdu, prima di vendersi la casa, restituire il maltolto (che non aveva rubato lui) e ritirarsi dalla politica. Così, in Gran Bretagna, anche lei in tv, pianse Cherie Blair per aver acquistato - orrore! - un appartamento da un tizio nei guai con la giustizia.
In Italia, se Dio vuole, non piange nessuno. Il mea culpa lo si fa sul petto degli altri, preferibilmente su quello dei magistrati che scoprono gli scandali. Ma sempre con grande gaiezza e spensieratezza, fra una risata e l'altra.
Ride anche Clemente Mastella quando pone la questione morale con gran stupore di sè medesimo: «Che mi tocca fare, chi l'avrebbe mai detto». Poi Biagi, Sartori, Sylos Labini,Tabucchi, Veltri e altri pericolosi incensurati propongono a Prodi un «codice etico». Apriti cielo. Alla sola parola «etica» il neodirettore di «Europa» (quotidiano della Margherita) mette mano al fondo per dire che «il messaggio che si manda all'Italia è che questi signori dell'Unione han bisogno di una legge speciale perchè sennò non ci si può fidare di loro». E Beppe Fioroni, margherito di scuola andreottiana («Andreotti esce a testa alta», disse quando il senatore a vita fu giudicato colpevole di mafia fino al 1980, «reato commesso» ma prescritto), inorridisce: «Basta giustizialismo. I codici deontologici tacitano le coscienze ma non risolvono i problemi».
Per cominciare, il codice potrebbe risolverne uno, di problema: evitare che siano candidati i pregiudicati. Tipo Enzo Carra, condannato definitivamente per falsa testimonianza (uno di cui - per dirla con «Europa» - non ci si può fidare). O tipo il neoacquisto Vittorio Sgarbi che, al netto delle calunnie e delle diffamazioni, è stato condannato per truffa ai danni dello Stato che continua allegramente a rappresentare. Chi disorienta gli elettori? Chi candida inquisiti e condannati o chi promette di non candidarli mai più? Essendosi finora scelta la prima strada, varrebbe la pena tentare la seconda, una tantum, per vedere l'effetto che fa.
Ma lo spettacolo più impagabile è quello del centrodestra. L'altro giorno, a Radio24, il direttore del «Giornale» Maurizio Belpietro ridacchiava: «Non capisco come possa essere di sinistra De Benedetti, che ha patteggiato per insider trading». Questo Belpietro è proprio un fenomeno: non si rende conto di dare per scontato che chi l'insider trading è tipico della destra. Bell'idea della destra hanno questi signori: per loro Cavour, Sella, Einaudi, De Gasperi, Sturzo e Malagodi, non avendo mai commesso reati, erano tutti comunisti. E in effetti, se la destra sono Berlusconi, Dell'Utri e Previti, hanno ragione loro. Tant'è che il dibattito che s'è aperto, grazie a pochissimi intellettuali ancora incorrotti, sulla questione morale, non ha minimamente sfiorato un solo esponente della destra all'italiana.
Mentre a sinistra si discute, anche animatamente e scompostamente, sull'etica in politica e in affari, a destra tutto tace. Assistono alla cosa come se non li riguardasse. Appena sentono parlare di «morale», dicono fra sè e sè: ah, meno male, non parlano di me, roba da comunisti.
Ieri il presidente della Camera Piercasinando ha scritto sul «Corriere», restando serio, un ricordo di Alcide De Gasperi a 51 anni dalla morte: «De Gasperi non ebbe bisogno di codici etici per affermare coi fatti il suo esempio di rigore morale e la sua consapevolezza degli obblighi e dei doveri della politica». Già, difficile che De Gasperi si facesse sorprendere al telefono con affaristi di dubbia fama, partecipasse alla scalata della Rcs tramite prestanomi, possedesse società off shore, corrompesse giudici, scambiasse mafiosi per stallieri, aderisse a logge eversive. Improbabile che telefonasse la sua «profonda stima e amicizia» a imputati di mafia alla vigilia della sentenza. Non solo non avrebbe bisogno di codici etici. Ma non entrerebbe nemmeno in Parlamento. Gli mancherebbero i requisiti.