Il Nostro Fallimento
di Paolo Flores d’Arcais
Alla fine di luglio, lanciammo (Carlo Bernardini, Andrea Camilleri, Sandrone Dazieri, Domenico De Masi, don Andrea Gallo, Lidia Ravera, Marco Travaglio, Gianni Vattimo ed io) l'idea di un candidato alle primarie che non fosse espressione dei partiti, ma potesse rappresentare la stagione dei movimenti (troppo presto conclusa. Provvisoriamente, si spera). Indicammo anche un indirizzo mail dove raccogliere le adesioni. In due settimane le adesioni raccolte hanno raggiunto il numero di 130. Non è poco: è NIENTE.
Forse meno dei parenti di primo grado dei firmatari l'appello. È vero che qualcuna delle adesioni è collettiva, ma è anche vero che qualcuno, per disperato entusiasmo, ha aderito due volte. Insomma, speravamo di interpretare un bisogno diffuso. Era invece solo il malinconico wishful thinking di una risibile minoranza di minoranza. Non si tratta di una sconfitta. Si tratta di un fallimento privo di sbavature, di un fallimento pieno e perfetto. Proviamo almeno a ragionarlo. I queruli laudatores della partitocrazia potranno, con questo nostro rotondo fallimento, portare nuovi vasi al loro pregiudizio, e sentenziare che la società civile é già tutta rappresentata - nel bene e nel male (per il centro-sinistra nel bene, ça va sans dire) - dagli apparati esistenti e dai loro leader. Riceveranno, per questo, l'unanime plauso di politici e media. È il minimo che si debba al servo encomio, tanto più se volontario. Vacche grasse, per il pensiero unico. Purché durino. Perché, a ben guardare, il nostro fallimento può voler dire l'opposto. Il giorno stesso in cui l'Unità pubblicava il nostro wishful thinking, Corrado Augias ospitava (nella sua rubrica su La Republica) la lettera di un «libraio di sinistra» che raccontava i commenti sempre più frequenti che ascoltava tra i suoi clienti, di disaffezione e ostilità verso un'opposizione subalterna, inciucista, omologata. Elettori di sinistra ormai decisi a considerarsi ex, decisi cioé a non votare più né Rutelli né Fassino né Bertinotti, tanto non cambierebbe granché rispetto allo schifo e alle macerie del vigente regime. E concludeva, il «libraio di sinistra», dopo una succinta silloge delle inadempienze dell'opposizione, che anche lui aveva deciso lo sciopero del voto.
Lettere di questo genere arrivano a tutti i giornali democratici. Discorsi di questo genere li ascoltiamo sempre più spesso.
Non solo tra «intellettuali», come i cantori del servo encomio immaginano e forse auspicano, ma tra le casalinghe a spesa nei mercati, tra i fedeli dopo la messa domenicale, nelle frquentzioni di ombrellone. Nella vita quotidiana di elettori antiberlusconiani, che sempre meno vedono nei Rutelli, Fassino, Bertinotti i rappresentanti possibili del loro abissale scontento, della loro indignazione senza più sponde.
Il nostro fallimento, insomma, è probabilmente assai più grande. Se pochi intimi hanno aderito all'appello per una candidatura che richiamasse la stagione dei movimenti, forse vuol dire che anche questa ipotesi viene sentita ormai come inutile, come interna a una opposizione partitocratica che si giudica definitivamente persa per una alternativa al regime, definitivamente compromessa e invischiata. Perciò, chi le prossime elezione le vuole vincere davvero (Prodi, ad esempio) sarà bene che di questo stato d'animo crescente tenga certosinamente conto. Perché basta che una piccola percentuale faccia seguire davvero agli attuali umori (giustificatissimi) lo sciopero del voto, perché i rosei sondaggi di oggi si rovescino nell'incubo di un regime trionfante. Che non farà prigionieri (già lo ha fatto in questi anni, ma al peggio antidemocratico non c'é mai fine).
Noi, il nostro piccolissimo contributo alla sconfitta di Berlusconi abbiamo provato a darlo (e continueremo, fino all'ultimo minuto di urne aperte). Ma le primarie, che avrebbero potuto essere momento di vera partecipazione e mobilitazione, senza un candidato della «stagione dei movimenti» sono un'occasione già consumata, una inutile conta per poter rivendicare, tra Rutelli, Fassino e Bertinotti, le rispettive quote di influenza. Su un candidato, Romano Prodi, che nessuno vuole come vero leader.
Che la nostra non sia ermeneutica tendenziosa lo dimostrano proprio le vicende delle ultime settimane. A tener banco, nella decadenza del paese, la questone Rai e quella Bankitalia. Prodi impedì qualche mese fa l'operazione bipartisan, auspicata da Berlusconi, che voleva Petruccioli alla presidenza e un suo uomo alla direzione generale (sembrava accontentarsi di Cattaneo, fedele solo al 99%, ma l'appetito vien mangiando). Oggi la stessa soluzione è stata «conquistata» da Rutelli-Fassino-Bertinotti. Romano Prodi polemizzò più volte con la mancanza di imparzialità di chi doveva essere arbitro nel gioco finanziario, e custode della tradizione liberale di Einaudi, Baffi, Ciampi. E non c'era ancora la prova provata delle intercettazioni, del verminaio di intrecci fra interessi indecenti, ammiccamenti, espliciti riferimenti a conti correnti di «ringraziamento», roba che se davvero si desse retta a Piero Ostellino (che per l'agire finanziario invoca libertà e repressioni sul modello americano) già sarebbero in galera eccellenti e intoccabili vecchi e nuovi (in proprio e in consorte). Ma il centrosinistra di Rutelli-Fassino-Bertinotti ha sguazzato per settimane nella palude della «cautela» (Rutelli un po' meno, questa volta, a onor del vero. Bertinotti un po' di più, a compensazione). Ben venga dunque il codice morale invocato da Biagi, Sartori, Sylos Labini, Tabucchi e Veltri. Ben venga, perché la loro coerenza garantisce che intendono qualcosa di serio e vincolante, qualcosa di inaggirabile e di incompatibile con qualsiasi logica di inciucio e di berlusconismo senza Berlusconi.
Speriamo che, al loro fianco, non si trovino solo i 130 (più nove firmatari) inguaribili donchisciotte che per il centrosinistra auspicavano delle primarie vere. Speriamo che il loro numero e la loro intransigenza impediscano ipocrisie di apparato, quei sì accompagnati da codicilli e distinguo che valgono peggio di un no, perché trifolano e diluiscono fino all'innocuità anche le proposte più energiche.
Codice morale e primarie vere potevano essere le due ali di un rinnovamento indispensabile. Che ne resti almeno una, per impedire che il nostro futuro sia solo tra l'immondo regime di oggi e un berlusconismo soft e senza Berlusconi domani.
Girotondi, 130 o un milione
di Antonio Padellaro
Caro Paolo. Ieri su queste colonne sei andato giù duro quando hai definito «un fallimento pieno e perfetto» le appena 130 adesioni all’idea (appoggiata da te e da altri amici de l’Unità) di presentare un candidato alle primarie che non fosse espressione dei partiti ma potesse rappresentare la stagione dei movimenti «troppo presto conclusa». Non mi sorprende che tu chiami le cose con il loro nome: lo hai sempre fatto senza sconti per nessuno, destra o sinistra che fosse. Pessima abitudine a cui, infatti, devi l’iscrizione, a imperitura memoria nella colonna infame dei girotondisti, giustizialisti, forcaioli, in buona compagnia con chi ha diretto questo giornale negli ultimi anni, con chi l’ha scritto e con chi l’ha letto. Siamo stati accusati, in solido, di uso estremista, giustizialista, forcaiolo e quant’altro della lingua italiana solo perché ci siamo intestarditi a definire ladro chi ruba e corrotto chi intasca mazzette. Fino alla provocazione più estrema che è stata quella di sostenere che, perfino in Italia, la legge dovrebbe essere uguale per tutti. In nome di questa comune condivisione del vocabolario permettimi quindi di non essere d’accordo con alcune tue considerazioni. Non sulle 130 firme, numero incontestabilmente misero, ma sui cupi presagi che ne ricavi. Soprattutto, non credo che il fallimento di questa iniziativa significhi di per sé (riassumo) la definitiva sconfitta di un’alternativa al regime non compromessa e invischiata nei soliti giochi della partitocrazia. Abbiamo tutti ben presente il rischio di ritrovarci tra qualche mese con una sorta di berlusconismo senza Berlusconi, in una terra di nessuno dominata, come scrivi, dall’inciucio e dal compromesso al ribasso. Se questo è il pericolo, l'Unità, tu lo sai come lo sanno i lettori, non farà sconti a nessuno.
Nello stesso tempo non possiamo ragionare come se fossimo sempre all’anno zero, con la logica del non c’è più niente da fare; del tanto, una volta al potere, destra e sinistra pari sono. So bene quanto i tuoi ragionamenti siano lontani da certo moralismo generico e qualunquista.
Nondimeno penso che uno sforzo vada fatto per non farci invischiare tutti in una sorta di inerte rassegnazione.
Partiamo quindi dai numeri. Giorni fa in un’intervista all'Espresso Nanni Moretti ha ricordato come un’esperienza di straordinario valore politico e umano la manifestazione di piazza San Giovanni del settembre 2002 contro il regime (sì, il regime) del presidente-padrone. Visto che quell'evento lo hai voluto fortemente, visto che su quel palco c'eri anche tu, ti chiedo: è possibile che tre anni dopo di quel milione di persone (a dir poco) decise e appassionate ne siano rimaste 130? Ora, è pur vero che nel frattempo sul quel fuoco, su quel calore ampie e numerose secchiate di acqua gelida sono state versate dalle segreterie del centrosinistra. L'ultima delle quali l'anno scorso quando, lo ricorderai, su impulso dell'Unità e dei movimenti si pensò di dar vita a una San Giovanni Due, inziativa prima sostenuta e poi accantonata dai partiti dell'Unione per motivi che restano misteriosi. Può darsi, per dirla tutta, che alle nomenclature non garbasse affatto restare nell'ombra di una fin troppo rigogliosa fioritura della società civile: voti utili sotto elezioni ma da riaccompagnare a casa subito dopo.
Sia come sia, non ti sembra impossibile che quei cittadini siano tutti o quasi tutti rifluiti nelle secche della disillusione o del rimpianto? Non pensi, invece, che tutte o quasi tutti quelle brave e appassionate persone siano rimaste, idealmente, lì a piazza San Giovanni a chiedersi cosa sia la cosa più giusta e, soprattutto, più utile fare in questo momento? È tutta gente che come te che come noi non considerano affatto chiusa la partita elettorale con Berlusconi e suoi alleati. Gente che non condivide proprio per niente l'insensata euforia che da qualche tempo agita il centrosinistra, i cui leader sembrano troppo occupati a litigare per un potere che ancora non hanno e troppo poco concentrati sulla battaglia decisiva delle politiche 2006, secondo gli ultimi sondaggi ancora incertissima.
C'è un altro punto sul quale penso sarai d'accordo: forse nessuno tra coloro che quel sabato erano a piazza San Giovanni (e tra coloro che oggi ci tornerebbero volentieri) pensava di partecipare alla fondazione di un nuovo partito. Del resto, quanto la politica poco si addica ai non professionisti del ramo lo hanno imparato a proprie spese quei dilettanti del voto che hanno pensato bene di candidarsi alle europee o alle amministrative come campioni della società civile antipartitocratica. Sappiamo bene come è andata a finire.
Non pensi dunque, caro Paolo, che il popolo di San Giovanni, come del resto il popolo tutto del centrosinistra abbia già scelto, insieme ai partiti dell'Unione, il candidato che ha le maggiori probabilità di battere Berlusconi e di governare ( si spera bene) l'Italia nei prossimi cinque anni: Romano Prodi? E non credi che a differenza di Rifondazione, Verdi, Udeur, Italia dei Valori (e delle legittime aspirazioni dei rispettivi leader di farsi notare) i cittadini dei movimenti abbiano ritenuto che le primarie serviranno, in realtà, soltanto a rafforzare la candidatura di Prodi e ad attribuire ad essa quella legittimazione popolare che il Professore non ha ancora ricevuto, privo com'è di un proprio partito? Non pensi cioè che lungi dall'aver dimenticato San Giovanni quei cittadini proprio in quello spirito stiano agendo? E che perciò quelle 130 firme (per un candidato del quale tra l’altro non era nota nemmeno l’identità) siano in qualche modo simboliche e rappresentino, al contrario di un fallimento «pieno e perfetto», il preannuncio di una possibile vittoria?
Caro Flores, ecco perché mi candido
di Ivan Scalfarotto
Caro Paolo Flores d'Arcais,
Io ci provo. L'idea della mia candidatura alle primarie è nata in un circolo di Libertà e Giustizia, che per due anni a Londra ha organizzato incontri, dibattiti pubblici, opposizione al governo Berlusconi.
Non sono un politico di professione, ma sono sempre stato un militante attivo. Nel 2002 a Milano ho promosso l'iniziativa di «Adottiamo la Costituzione», te lo ricorderai forse, abbiamo difeso la nostra Carta dagli attacchi della destra, promuovendone la conoscenza.
Mi hanno chiesto di rappresentare un pezzo di Italia che troppo spesso è tagliato fuori sia dalla politica che dalla cittadinanza piena, a causa di lavori ingiustamente precari e da leggi che privilegiano la morale di parte sulla laicità dello Stato. Cittadine e cittadini che non tollerano diversità nei diritti individuali, che non sopportano il fatto che l'Italia rimanga in gran parte un paese sessista. E che vogliono impegnarsi in prima persona, nella politica, per contribuire ad un cambiamento profondo.
Non ci conosciamo, come non conosco ancora i principali leader del centrosinistra. Ma in questi pochi giorni da cui abbiamo lanciato la scommessa di raccogliere diecimila firme entro il 15 settembre (tantissime per chi, come noi, sta organizzando la sua struttura solo ora, ad agosto, con tempi decisi non da noi) ho conosciuto e dialogato per email, sul mio sito internet e di persona, con centinaia e centinaia di persone che mi stanno sostenendo, si stanno organizzando, stanno tornando in anticipo dalle ferie per rendere concreta la mia candidatura, per affermare che la democrazia italiana è viva e vitale.
La mia candidatura non ha niente di antipolitico, una delle malattie recenti del nostro paese. Noi crediamo che la politica sia una delle forme più alte di impegno civile. Il nostro motto è «Io Partecipo», noi partecipiamo. Credo che la contrapposizione tra società civile e società politica sia fuorviante. È infatti necessaria la partecipazione nella politica: il nostro impegno ha lo scopo di arricchire la politica, e farne parte.
La politica ha bisogno di tante persone che vogliano mettersi al servizio. «Noi partecipiamo» è anche l'esortazione che rivolgiamo a chi ne sia stato distaccato per troppo tempo. A chi ha voglia di pronunciare e sentire parole, su dei temi cruciali, che troppo spesso vengono affermate con timidezza.
Si cita spesso il fatto che la partecipazione delle donne nella vita pubblica italiana è così bassa da essere scandalosa. Nella mia generazione, ho 40 anni, le donne hanno in media più successo degli uomini in tutti i campi, ma la politica è ancora chiusa. Arricchire la politica di partecipazione significa dunque anche aprire veramente la politica alle donne. Significa operare perché il governo del paese sia simile alla società che governa, valorizzando la differenza più evidente, quella di genere.
L'Italia è un paese pieno di energie, pieno di tanti servitori dello Stato - ricercatori, insegnanti, medici, infermieri, dipendenti pubblici - che devono sentirsi gratificati e valorizzati. Di giovani imprenditori, innovatori che vogliono trovare opportunità e non clientele, favori o ostacoli conservatori. L'Italia uscirà dal declino solo se farà emergere con forza la parte migliore di sé. Se saprà rafforzare la laicità Stato, laicità che lo rende casa accogliente per tutte le fedi. Se saprà imporre all'Europa le priorità vere del nostro tempo: lo sviluppo, soprattutto nelle aree povere del pianeta, e un impegno davvero corale per la pace e contro ogni guerra.
Per questo io ci provo. Non ho un partito che mi sostiene, ma tantissime persone. Nei quattro giorni successivi alla mia prima intervista, il mio sito ha registrato - in pieno agosto - oltre ventimila visite e 200 mila contatti. Nei forum e nei blog si discute tantissimo, animatamente, di questo progetto e delle nostre idee, siamo testimoni in questi giorni di quanto la rete internet sia un formidabile strumento democratico.
Io partecipo. Spero che con me voglia partecipare chi crede, e mi auguro tu sia tra questi, che sia importante arricchire la politica italiana di nuove persone e nuove idee.
Spero vogliano partecipare tutti gli uomini e tutte le donne che siano convinti delle idee che stiamo affermando e vogliono spendersi per poterle affermare.
Non siamo inguaribili Don Chisciotte
di Nevio Frontini
Cara Unità, pur tra i 130 (!?) aderenti alla proposta di un candidato della società civile. non mi sento affatto fallito, né un inguaribile Don Chisciotte né tanto meno solo. Vivo completamente immerso nella società civile, magari senza e-mail, ma libera e con diritto di voto. Mi ritroverò assolutamente soddisfatto con l'alta percentuale (mi auguro) di quella Società che sceglierà di astenersi contro il «regime che c'è» e contro il «ceto politico» incapace fatto di ruffiani, riciclati, quinte colonne che si preparano ad invadere questo ridicolo centrosinistra di mortadelle, parolai rossi e mastelle. Ciao cara Unità e caro Flores, non mi sentirò mai solo.
Posto che condivido il punto di vista di G. Chiarante sul rischio di "gioco al massacro" in cui rischiano di finire queste (false) primarie, e che reputo il candidato Scalfarotto piuttosto lontano da quel Movimento che sembra da qualche tempo rattrappito, considero che una candidatura provocatoria come quella di Don Gallo - lui sì espressione di quel Movimento - sarebbe molto auspicabile, se non altro per "disturbare i manovratori", come lui stesso dice nell'articolo che trovo sul Manifesto di oggi. Per finire, aggiungo che no, credo proprio che Nevio Frontini non sarà solo.
massimo rispetto per la statura umana di andrea gallo, il suo innegabile impegno per gli emarginati, il suo lavoro per la parte sventurata della società. e capisco anche l'aspetto provocatorio della candidatura di un sacerdote per contrastarne un altro.
ma.
e ribadisco.
perchè si tratta di un prete?
come mai non siamo riusciti a far crescere, o ricrescere, un nuovo alex langer? (per dire un nome x). dov'è la nostra capacità inventiva? in nome di che ci definiamo progressisti? quali sono le caratteristiche di una fascia di società che per rimediare ai mali della politica trova utile/situazionista/provocatorio/intralciante anche solo ipotizzare un prete come porrtabandiera?
che bandiera é?
siamo interiormente desertificati. questa é la mia impressione. il povero andrea gallo purtroppo si trova a vivere in questo panorama da dopobomba interiore.
vorrei candidarmi alla farsa delle primarie anch'io, tanto peggio di così...
perchè non mettiamo su una campagna "presentati alle primarie anche tu"?
tutti alle primarie. ognuno vota sè, rigorosamente: il segno della massima sfiducia. sottraggo un voto, votando.
Veramente si pensa che una buona alternativa a Prodi sia un giovane manager alle dipendenze di un grosso gruppo bancario "capo delle risorse umane per una grossa divisione della Citygroup"? In questo preciso momento il paese è nalle peggiore crisi economica del dopoguerra, i giovani non sanno più cosa vuol dire un minimo di sicurezza sul lavoro, l'evasione fiscale è al massimo storico, i lavoratori non hanno più garanzie, le famiglie alla quarta settimana del mese non hanno soldi per la spesa, e gli elettori di sinistra non trovano altro che astenersi o tirare fuori uno Scalfarotto o un don Gallo. Bene. Alle prossime elezioni non voterò e sarò gia all'estero ma ho la tentazione di votare ancora per Berlusca perchè è quello che questo paese si merita.
P.S. Non fraintendiamo quell'ancora, io non ho mai votato per il nano pelato!
paolo, chi metti in quella prima persona plurale ("siamo riusciti"... "nostra capacità"... "siamo desertificati")?
La domanda è ovviamente provocatoria: ripenso a "La mia ora di libertà" del mai abbastanza rimpianto Mastro Fabrizio, con quel magico passaggio da "io" a "noi", e mi dico che il pronome "noi" di questi tempi è tristemente fuori luogo, anche in contesti allegramente situazionisti (esatto, penso proprio a CM).
Intanto c'è un altro prete - don Vitaliano - probabile candidato.
Bizzarre primarie. Bella l'idea di sfiduciare votando comunque.
Hai ragione, Nevio Frontini.
Non sarai mai solo.
Fino a qualche settimana fa ero dell'idea che nonostante la tendenza centrista ed inciuciatrice della sinistra fosse un dovere morale darle il mio appoggio per salvare questo paese dal disastro incombente.
Dopo aver assistito all'indegno spettacolo offerto dai vari pseudo leader dell'unione su ogni possibile argomento di discussione (primarie, ritiro da Gaza, scalata unipol, ecc.) ogni giorno che passa la tentazione di cui parla Garp (votare il Berlusca) si fa sempre più forte, poichè, come insegna la storia, a quanto pare dagli italiani si riesce a tirar fuori qualcosa di buono solo quando hanno le pezze al culo, e dopo un'altra legislatura targata casa delle libertà, fortunati saranno quelli che se le potranno permettere.
alberto, non riesco a pensare ad altro che ad un noi. lo si chiami come si vuole: nebulosa di sinistra, pulviscolo curioso, folla affamata. mi penso in rete, e il tuo riferimento alla cm come aggregazione di sconosciuti diretti ad un fine meno oscuro di altri é del tutto "a faciolo" come si dice qui al centritaglia.
c'è un noi che non si limita ai borborigmi santi dei movimenti. penso che molti dei silenziosi siano a disagio, e ormai non me la prendo più con il loro silenzio. l'irritazione sta allargandosi ben oltre coloro che conosco e forse questo silenzio diventerà un "andate via" consistente. forse no.
credo che non sia più il momento degli scherzi giocosi dei movimenti che abbiamo conosciuto, ma quello della determinazione ad abbandonare alla deriva i personaggi che finora hanno comandato la nave. non ho voglia di sentire scherzi stupidi come quelli architettati da caruso e casarini, che fanno la loro carriera come tutti i loro avversari.
al momento trovo che i cosiddetti alternativi sono nella migliore delle ipotesi mosche cocchiere.
mi trovo nella sostanziale impossibilità di gioire di fronte ad atti situazionisti, perchè devo assolutamente contribuire a ricostruire.
quindi: per me le primarie devono andare a farsi fottere, perchè chi si fa mettere nell'area progressista (cristaccio che ho detto) ha una tendenza magnifica al suicidio. se devono essere fatte, perchè nessuno ha la forza di contrastarle, devono avere dei candidati di contributo, non di disturbo; di sostanza e non di immagine; che abbiano un senso, e non un nonsenso. pare sia difficile.
in ogni caso non vorrei più sentire parlare di preti please. ne abbiamo avuti per secoli, ora basta.
la nostra tendenza a produrre ed esportare commedia deve finire al più presto.
OK, allora provo a sintetizzare le opzioni che abbiamo per le famigerate primarie, che prima mi sembravano una bella idea, ma che sono state svuotate di ogni qualità dai cialtroni della politica.
1 - voto Prodi perché è l'unico personaggio politico di spessore. Gli altri sono cialtroni, nessuno escluso.
2 - voto Bertinotti perché la vera guerra sarà tra dx e sx dell'Unione e le primarie servono a misurarne soprettutto i pesi: se Bertinotti prevale mastella perde potere.
3 - voto l'outsider Scalfarotto per "sottrarre un voto votando" come dice Rotafixa
4 - non voto: meno partecipazione alle primarie è una dichiarazione di sfiducia nella classe politica
5 - boh?
Ora me ne vado in spiaggia prima che ripiova.
Io partecipo e voto Scalfarotto.
Sono un libero supporter fra tanti che si stanno muovendo per raccogliere le 10.000 firme per candidarlo, con l'obiettivo di avere un candidato alle primarie Ulivista, favorevole alle primarie ora e dopo queste che verranno, rappresentante di quel mondo che ha girato le spalle ai movimenti quando non avevano più niente da dire.
Tutto l'establishment di serie B dei movimenti (quello di serie A è dei partiti) si chiede dove siano i milioni di persone che erano riusciti a mobilitare. Attoniti osservano il vuoto che gli si è creato attorno (130 firme) dichiarando il fallimento della partecipazione solo perché quei milioni di persone non girotondano più attorno a loro.
Ebbene quelle persone non si sono volatilizzate o imborghesite. Esistono ancora, libere e fluide come e più di allora. Non sono più lì perché non sono il movimento ma sono in movimento, alla ricerca di qualche cosa di vero e di nuovo come vero e nuovo erano il Palavobis e Piazza San Giovanni e che ora non sono più.
Quei milioni di persone non erano fantasmi, sono ancora pronte a credere ed a mobilitarsi per un progetto vero, capace di realizzare il sogno del rinnovamento della politica e della felicità per la propria vita.
Quei milioni di persone hanno sempre saputo che tutto questo non poteva arrivare dall’iniziativa dei partiti e dopo poco hanno capito che nemmeno la piccola burocrazia settaria dei movimenti poteva.
Tutto questo i vecchi movimenti non lo possono capire perché credono ancora che piazza San Giovanni fossero loro. Hanno confuso sé stessi con l’evento che avevano provocato. In Piazza San Giovanni c’erano soprattutto le persone, quelle vere, ed i movimenti con le loro sigle ed i loro intellettuali non hanno capito e non capiscono di essere stati solo i realizzatori dell’evento, che non è poco ma non è tutto.
Quel momento è passato, l’evento di oggi è un altro e potrebbe essere ancora più importante.
Ed allora mouve-on, muoviamoci che il cammino è ricominciato!
Luigi
Non mi è mai paciuto essere tirato per la giacca e così non parteciperò al voto per le primarie. Si poteva e si doveva fare di meglio per ragionare prima di tutto su (almeno) un argomento programmatico di alto profilo, caratterizzante e concretamente impegnativo, su cui ottenere la coesione di intenti generale. Non avete avuto il coraggio, o la pazienza o, peggio ancora, la fiducia di riuscire a farlo emergere. Troppi occhi foderati di prosciutto. Quanto ci vuole per capire che il cittadino ha bisogno (anche se ahinoi non lo percepisce) di potersi fidare non della buona volontà delle persone, ma di progetti concreti per riformare il sistema democratico, perchè sia "effettivamente" garantita la sua possibilità di partecipazione alle decisioni pubbliche, perchè gli sia garantita una adeguata formazione culturale per poter svolgere un ruolo politico attivo autonomo, competente ed efficace, a partire - non solo per modo di dire - dal livello locale? Per scendere ancor più sul concreto: se qualcuno si è accorto che è stato dilapidato un patrimonio di cultura democratica faticosamente accumulato, ponga come prioritaria una politica di investimenti sulla sua ricostruzione e aggiornamento: favorendo, ad esempio, l'iniziativa autonoma del cittadino nella realizzazione di sistemi locali integrati di democrazia partecipata, riscoprendo le autorità di garanzia a tutti i livelli e magari rivalutando il ruolo del difensore civico come garante dell'integrazione tra l'azione pubblica e quella "civica". Non credo molto all'efficacia dei soli codici deontologici: la trasparenza deve poter essere garantita "sistemicamente" con informazioni corrette e garanzie effettive.
E poi: chi non ha ancora capito o saputo organizzare un progetto di alto profilo su tutto ciò, non per pura combinazione, fa parte di quella classe generazionale che non ha saputo o voluto combattere quella cultura pragmatica, affermatasi in special modo a partire dagli anni '80 in qua, che è diventata il brodo annacquatissimo in cui si sono disciolti e persi sapori come il principio di legalità, quello della divisione dei poteri dello stato, quello della terzietà degli organi di garanzia.
Dileggiare le buone intenzioni di Scalfarotto, perciò, non solo è sbagliato, ma profondamente miope. Dobbiamo invece prender sul serio e riflettere sul contributo che queste generazioni di sub quarantenni, che inevitabilmente saranno presto o tardi classe dirigente, sono effettivamente in grado di apportare - oggi - alla politica. Se la loro visione politica è debole - e francamente per me ancora lo è - lo dobbiamo proprio al fatto che sono cresciuti in quell'epoca in cui la politica "costituzionale" era uscita dal dibattito e dalla prassi comuni.
Un po' di autocoscienza ci vuole: dovremmo prendere atto che questo deficit intacca il patrimonio collettivo e che è responsabilità di tutti colmarlo. Altrimenti si finirà per legittimare di fatto una pericolosa corporativizzazione delle classi generazionali. Non sottovalutiamo, per favore, la capacità di mobilitazione e di autonomia delle "nuove" generazioni. Cresciute senza "certi" maestri, esse sono ovviamente sopravvissute affinando capacità e sensibilità peculiari, che bisogna imparare a capire (parlo anche per me ultracinquantenne), tra queste forse proprio la capacità del fare rete. Di questa abbiamo tutti bisogno. Ma non basterà ad evitare inganni e disastri, se non verrà contaminata dall'esperienza delle generazioni che li hanno preceduti (e che in buona parte si sono assentate rifluendo nel privato). Dovremmo gettare ponti dovunque se ne presenti l'occasione. Tutti ne portiamo la responsabilità ed il potere.
Nemmeno io voglio farne un fatto di corporativismo generazionale (ho la tua stessa età) e nemmeno Scalfarotto lo fa. Domenica abbiamo fatto con quelli della lista Arcobaleno di Cattolica. 25% nel Comune con un giovane venuto dall'estero come Scalfarotto.
Ho conosciuto Edo un compagno sulla breccia da 85 anni. Sono felice di averlo conosciuto, quando ha parlato era come un ragazzo di 25 anni con l'esperienza di un maestro. Quel 25% in cui nessuno credeva lo ha realizzato anche lui.