Gli sfigati e gli autori di Mondadori
di Andrea Di Consoli
Bisogna allarmarsi, come fa l’Espresso in un trafiletto, se Claudio Magris ora pubblica per Mondadori (anche se pare solo per un titolo, L’infinito viaggiare, in uscita alla fine di ottobre)? Bisognerebbe crucciarsi, allora, se Massimo D’Alema e Livia Turco hanno scelto, per i loro libri, la grande casa editrice di Segrate? La querelle è antica, e si pone da anni, precisamente dall’aprile del ’91, quando cioè il Tribunale ha assegnato la proprietà della Mondadori a Silvio Berlusconi, dopo una lunga battaglia legale con Carlo De Benedetti. Certo, alcune domande sono possibili - sullo stile, sul merito, non certo domande moralistiche. Per esempio ci si potrebbe chiedere: perché Piero Fassino, o Walter Veltroni, invece, pubblicano con la Rizzoli? Cos’ha il gruppo Mondadori (che comprende le case editrici Mondadori, Einaudi, Piemme, Sperling&Kupfer e Electa), da un punto di vista distributivo e promozionale, che altri grnadi gruppi non hanno?
Mondadori, com’è risaputo, è ecumenica; a volte, probabilmente, esagera nel mandare in libreria autori non proprio necessari, qualche nome tra i tanti, Sandro Bondi, Carlo Giovanardi, Emilio Fede. Forse non ci sono mai stati casi di censura in Mondadori (come ha affermato il presidente del Consiglio). La trappola, anzi, può essere proprio questa. Perché chi pubblica per i tipi di Segrate deve solo essere bravo e vendere, il resto è chiacchiera. Molti sono cascati nella trappola: per esempio Giorgio Bocca, che dopo aver pubblicato lungamente con la Mondadori «di Berlusconi», una mattina si è svegliato e ha deciso di pubblicare con Feltrinelli - aprendo una polemica infinita a scoppio ritardato. Altri, invece, sono usciti dalla Mondadori per semplici ragioni editoriali e personali; pensiamo a Giuseppe Montesano, sul quale Il Riformista tentò, all’uscita del romanzo feltrinelliano Di questa vita menzognera, una polemica non riuscita (Montesano aveva pubblicato Nel corpo di Napoli e A capofitto per Mondadori). Come ci dice Giancarlo Ferretti, tra i maggiori esperti di editoria in Italia, «gli autori scelgono anche in base ai rapporti personali, per il tipo di fiducia che si crea con l’editor o con l’ufficio stampa».
A sinistra la parola d’ordine è la seguente: niente moralismi, pubblicare con Einaudi o con Mondadori non è reato. E noi siamo d’accordo, non fosse altro che gli unici scrittori di destra, in Italia, sono Bondi, Giovanardi e Fede, oppure Marcello Veneziani, ma da quello che dice - e da come lo dice - certe volte abbiamo l’impressione che anche egli sia di sinistra. Il problema allora è: gli autori sono di sinistra ma l’editore è di destra. Però l’editore, di destra e capo del governo, mette le mani avanti e dice: i nostri autori sono liberi, io non me ne occupo, a regolare la Mondadori è il mercato, cosa che del resto avviene in tutte le grandi concentrazioni editoriali tipo Rcs, Longanesi e Paoline. E ha ragione.
Il tema rimbalza oltreoceano, anche se, considerata l’anomalia italiana, in tutt’altri termini: anche in America è polemica su editoria e autori «di sinistra». Il sasso è stato lanciato su Utne Reader, da Jennifer Nix, direttrice della Chelsea Green Publishing, una casa editrice statunitense indipendente, con un intervento (tradotto sull’ultimo numero di Internazionale) nel quale Nix pianta una grana senza fine a scrittori impegnati come David Corn (autore di The Lies of George W. Bush) e Michael Moore. Jennifer Nix chiede: perché gli scrittori «antisistema» pubblicano con gli editori del «sistema», facendo arricchire persone come Rupert Murdoch? Perché non pubblicano con un editore indipendente come Chelsea Green Publishing, che è riuscito a trasformare in bestseller Non pensate all’elefante di Gorge Lakoff? La risposta di Corn è stata semplice, longanesiana: «C’ho famiglia, quando scrivo devo mangiare».
Per fortuna Claudio Magris non risponderebbe mai «c’ho famiglia». Ma, in fondo, cosa succede se Magris fa una capatina a Mondadori, (sembra per l’antica amicizia che lo lega a Renata Colorni, direttore editoriale e responsabile della prestigiosa collana dei Meridiani)? Niente, non succede niente. È una non-notizia. Magris è autorevole di per sé, continuerà a fare liberamente ciò che ha sempre fatto (compresi i due titoli che ha in lavorazione per Garzanti, il primo dei quali dovrebbe andare in libreria nel 2006 dicono alla casa editrice). Al massimo otterrà anticipatamente il Meridiano, come qualche malalingua suggerisce essere la vera motivazione che ha spinto l’intellettuale a spostarsi a Segrate (ma l’avrebbe avuto comunque). Piuttosto bisognerebbe domandarsi (sempre che si possano fare domande a una casa editrice «di mercato»), se non sia il caso di dedicare il Meridiano solo ai morti, ché sennò gli scrittori sono costretti a sgomitare pateticamente finanche in punto di morte per ottenerlo (non è il caso di Magris).
L’alibi del mercato salva la coscienza. Il grande editore si rimette al «dio mercato» e non pone censure esplicite. L’alibi del mercato salva la coscienza ma non la letteratura: non è il successo a sancire la bellezza né l’arte). L’alibi del mercato, in più, trasforma gli avversari arruolati nella scuderia Mondadori in potenziali clown, ché se fanno polemiche con i soldi del gruppo in tasca, come dire, senza neanche parlare li ha ridicolizzati. Forse solo il «caso D’Alema» può essere letto diversamente, nel senso che il Presidente dei Ds, con il suo fare sornione, è come se dicesse: «Non solo lo combatto politicamente, ma mi faccio pure pagare». Nessuno sta mettendo in dubbio l’importanza storica e la seria professionalità della Mondadori e dell’Einaudi di oggi. Però è una questione di stile. Ti poni il problema. Se ti portano in classifica, ti danno soldi, ti distribuiscono fino all’ultimo cocuzzolo appenninico, sta male ringhiare come un cane e fare la morale. Non tutti sono Massimo D’Alema. Ci sono pure quelli che alla Mondadori bussano, come si diceva una volta, «con i piedi». Peggio di Berlusconi c’è solo Stefano Ricucci. La differenza tra Berlusconi e Ricucci è la seguente: che il primo sa chi sono gli scrittori e quanto valgono (e perciò gode quando li conquista, quando li paga, quando sono «suoi»); il secondo, se un giorno dovesse metter becco nelle faccende editoriali di Rcs (che controlla Rizzoli, Bompiani e Marsilio), non saprebbe distinguere Dacia Maraini (che ha scelto una lunga fedeltà con Rizzoli) da Melania Mazzucco.
Poi ci sono le altre scelte. Per esempio, quella di Massimo Carlotto, lungamente fedele alla piccola casa editrice romana e/o, che l’8 settembre uscirà con il suo nuovo romanzo, Nordest). Anche se, in verità, ormai la e/o non è più una «piccola casa editrice»; anzi, come ci ricorda Gian Carlo Ferretti, «è una casa editrice notevole, che ha aperto un ufficio a New York dove propone i suoi autori». E allora, laddove le grandi concentrazioni antepongono asetticamente le ragioni del mercato, le piccole e medie riescono a condividere con l’autore un percorso, un’identità, una visione del mondo, «valori» che forse sono quasi più produttivi e duraturi di un successo più o meno fugace. E comunque per mangiare bene bisogna imparare a spiare il cuoco quando mangia: non pubblica forse Antonio Franchini con la Marsilio, «media» casa editrice del gruppo Rcs? Un’altra eccezione è Franco Cordelli, che non solo ha abbandonato Einaudi (con cui per ultimo ha pubblicato Un inchino a terra) per la Rizzoli, ma nel suo romanzo Il Duca di Mantova, a un certo punto, riferendosi a Einaudi, dice, più o meno, che «è un poveraccio». Magari Berlusconi non sa neanche chi è, Cordelli, però fra cento anni gli storiografi, quando dovranno raccontare il portavoce Bonaiuti, non potranno fare a meno del suo spietato ritratto.
Il discorso è questo: che chi non riesce ad arrivare alle grandi case editrici, la butta sull’antisistema, tipo che si pubblicano solo i bestseller, che c’è disattenzione per la cultura, che il mercato ha divorato l’etica. Le grandi concentrazioni hanno inglobato, negli ultimi anni, numerose case editrici piccole, che fanno avanguardia, che mandano in avanscoperta gli autori. Se e quando questi autori «funzionano», allora li comprano. Sembrerebbe il paradiso, un meccanismo perfetto. Invece, come dice Ferretti, «il problema è che le piccole che sono costrette a cedere l’autore alla grande casa editrice, non hanno mai la possibilità di crescere, per cui rimangono schiacciate dalle grandi. Anzi, per dirla tutta, capita spesso che i grandi editori rubino le idee ai piccoli. Pensiamo al caso di Baraghini, che inventò i libri a Millelire. Ecco, quell’idea fu subito rubata da Mondadori, che diede vita a “I Miti”».
L’importante è pubblicare, riuscire a dire. Chi invece pone domande, «è sfigato» e reitera la «tiritera antiberlusconiana», come sostengono i Wu Ming, autori Einaudi. Allora diciamolo una volta per tutte che andare da Gigi Marzullo («giustamente» responsabile culturale di Raiuno) e stare in catalogo con Emilio Fede non è un problema. Almeno lo sappiamo. Noi crediamo che il moralismo sia ridicolo e deleterio, ma ci piacerebbe una Mondadori e una Einaudi non di proprietà del principale uomo politico del Paese, che controlla anche quotidiani, periodici, televisioni, pubblicità, etc. etc. Sarebbero tutti, finalmente, alla pari e nel pieno dei propri ruoli .
I libri hanno effetti politici a lunga scadenza, e molto spesso sono conseguenza e non causa di fenomeni politici e sociali. I problemi sono infiniti, però ci sono tante novità, per esempio la crescita di numerose case editrici piccole e medie di altissimo livello (da Baldini e Castoldi a Fazi, da L’Ancora del Mediterraneo a Donzelli, da Sironi a minimum fax a Sellerio). Attendiamo la «normalizzazione», ovvero un tempo in cui «grandi, medi e piccoli» si confronteranno sui contenuti e sui numeri liberamente, senza l’ombra ambigua di un personaggio che tutto controlla pur essendo altrove, ché Berlusconi è un altrove che è dappertutto.
Vorrei distinguere. Gli scrittori hanno la possibilità di pubblicare con chi preferiscono ed essendo la Mondadori la più grande casa editrice italiana che comprende anche la gloriosa Einaudi ed altre case, fanno bene a sceglierla. Per diffondere in modo proficuo ciò che scrivono. Ma un'altra cosa sono i politici ed i loro libercoli. Che esponenti autorevoli del centro sinistra lavorino per Berlusconi è ben peggiore. Anche perché non hanno certo bisogno di diffondere le loro idee con quei loro calepini, quello è il surplus, quello è un favore o la rendita di un favore da fare al presidente del consiglio. Non mi piace.
Al meno un tempo il pci aveva gli editori riuniti, le edizioni di rinascita ed ancora non c'era Berlusconi nè il monopolio. C'era Feltrinelli e le edizioni curate da Calvino o Bianciardi. Che desolazione oggi.
Io non so chi sia questo Di Consoli né ho voglia di venirlo a sapere. Di certo è uno che si inventa i virgolettati, dal momento che ci attribuisce frasi che non abbiamo mai proferito in alcuna occasione. Evidentemente gli stiamo sulle palle per qualche motivo, e se questo è il livello di correttezza della polemica sulle pagine del giornale con cui collaboriamo, figurarsi altrove...
Noi non abbiamo mai avuto problemi a spiegare le nostre scelte e strategie. Abbiamo sempre risposto a ogni domanda. Quel che abbiamo scritto è chiaro ed è nero su bianco, si trova qui:
http://www.carmillaonline.com/archives/2004/09/000955.html
e chiunque non sia in malafede può vedere la differenza tra ciò che diciamo e quel che ci viene fatto dire non sappiamo bene a quale scopo.
mah, non vedo 'sta grande polemica nei vostri confronti. Su questo argomento ero pasdaran, ammetto volentieri che il documento che citi mi ha fatto riflettere e cambiare parzialmente idea. Continuo a trovare scandaloso che D'Alema pubblichi per Mondadori (e comunque D'Alema è scandaloso di suo). Il tipo perde un po' smalto quando paragona Mondadori a Marzullo, ma alcune considerazioni sono interessanti. E comunque, dopo aver conosciuto un piccolo editore (meridiano zero), sono tendo a essere d'accordo con il sogno di Di Consoli.
wu ming 1 hai fatto indigestione di fulmicotone in croazia?
mi pare che le parole di questo signore siano sensate, che male c'e' a pubblicare con la mondadori?
per il resto leggiamo bene tra le righe, chi si occupa di editoria lo sa da tempo, in realta' se non e' zuppa (mondadori) e' pan bagnato (rizzoli).
Il mio commento mi pareva chiaro, non pensavo ci fosse bisogno di spiegarlo. Il riferimento è a questa frase:
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Chi invece pone domande, «è sfigato» e reitera la «tiritera antiberlusconiana», come sostengono i Wu Ming, autori Einaudi.
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Dov'è che avremmo "sostenuto" queste cose? Quei virgolettati non sono nostri. Non abbiamo mai negato l'entità del problema, quindi non ci siamo mai permessi di definire "sfigato" chi lo sollevava, né abbiamo mai usato la parola "tiritera", abbiamo sempre parlato di "annosa questione", che ha tutt'altro significato. Visto che su tale questione abbiamo speso tempo, neuroni, energie, e le nostre riflessioni sono pubbliche, mi piacerebbe essere tirato in ballo per le opinioni che ho, non per quelle che fa comodo inventare per puntellare un capoverso.
con la scusa del mercato ci si fa anche portabandiera della millantata democrazia del presdelcons .
.....esistono ancora una "destra" e una "sinistra"?..