qui giace OneMoreBlog2.31
«I'm a picker, I'm a grinner, I'm a lover and I'm a sinner, play my music in the sun» (Steve Miller)
luoghi:
HP OMB 2.31 |
HP OMB 4.x |
archivio mensile |
archivio sezioni |
Alberto Biraghi
Nove vite da donna
Lento, inconcludente, scombussolato, retorico, improbabile. Si potrebbe andare avanti con altri 30 aggettivi per dire l'inutilità assoluta di queste nove storielle artefatte, capitoli da Libro Cuore postmoderno troppo melensi per lasciare quel po' di emozione che ancora si conserva del povero Tamburino Sardo. Recitato e diretto bene (in fondo è quello che conta per vincere un premio a una mostra del cinema in cui una giuria premia opere che sarà sorbita solo da qualche cinefilo), interpretato da un paio di attrici di rango (Sissy Spacek e Glenn Close), questa accozzaglia di banalità riesce ad annoiare a partire dal quinto minuto alla fine.
Si salva la prima scena, quella di Sandra, fresca carcerata e madre di una bambina da cui la separa il vetro blindato della stanza per le visite. Oggettivamente forte e incisiva, lascia l'amaro in bocca perché finisce per aria, vero coito interrotto visivo. A seguire tutte le altre, con la quasi partoriente che (ri)perde la testa per un vecchio amante (dimostrando il regista non ha mai avuto a che fare con una donna in quelle condizioni, quindi non sa che è tanto concentrata sulla sua pancia da fottersene perfino delle avances di Johnny Depp o George Clooney) e l'ex moglie del vedovo sordomuto che si fa scopare nel retrobottega del becchino. Tutto il resto è coerente. Un film da evitare come la peste. Oppure da vedere, per capire quanto riusciamo a essere boccaloni e quanto sia ampio lo scollamento tra pubblico e critici.
PS a margine: visto all'Eliseo di Milano, oggi, quarto giorno di programmazione in anteprima sulla rassegna, c'erano otto persone in sala. Fortunatamente la voce si deve essere già sparsa, per fortuna.
06.09.05 00:31 - sezione
cinema