Veronesi e il sindaco che vorrei
di Corrado Stajano
È singolare quel che sta succedendo a Milano a proposito delle candidature alle elezioni amministrative che si terranno fra otto mesi. A un giornalista del Tg3 che gli chiede se ha in mente o meno di diventare sindaco, Umberto Veronesi, oncologo illustre, già ministro della Sanità nel governo di centrosinistra di Giuliano Amato, non dice né sì né no. Il suo mestiere è occuparsi della sanità, risponde, ma ha capito che potrà farlo anche da sindaco. Ci sta pensando. Entro ottobre darà una risposta. Fine del primo tempo.
Secondo tempo. In un’intervista alla Prealpina, quotidiano di Varese, Veronesi fa un passo avanti. Mostra una maggiore disponibilità, entra nel merito. Che tipo di sindaco vorrebbe essere?, gli viene chiesto. «Indipendente. Né di destra nè di sinistra». Ha stima per il sindaco Albertini e per quello che ha fatto, apprezza la politica di Roberto Formigoni, il presidente della Regione, il quale, proprio sulla sanità, fonda gran parte del suo potere.
Terzo tempo. Tognoli e Borghini, ex sindaci socialisti diventati berlusconiani, accolgono festosi la notizia. I Ds sono d’accordo anche loro: è lui il candidato, la marcia in più. Poi è una gran bagarre. Rifondazione comunista si oppone duramente, il verde Pecoraro Scanio, che chissà cosa c’entra, dice che l’aver detto «né di destra né di sinistra» è soltanto una mossa strategica. Le associazioni, i movimenti residuali sono contrari, parlano di una candidatura imposta dall’alto. Albertini e Formigoni ricambiano le affettuosità. Nando dalla Chiesa, responsabile milanese della Margherita, è severo: «Come pensiamo di poter candidare una persona che rappresenti i nostri valori se poi la stessa persona può tranquillamente abbracciare i valori del centrodestra?».
Spunta anche il fantasma del conflitto di interessi. Veronesi è il fondatore e il direttore dell’Istituto europeo di oncologia che riceve finanziamenti dalla Regione.
Quarto tempo. Incontri, baruffe, polemiche, riunioni. Comunicato ufficiale: «Spetta al Cantiere (del Centrosinistra) la decisione ultima in ordine alle modalità di individuazione del candidato sindaco, compresa quella delle eventuali elezioni primarie». Il linguaggio non è chiarissimo, ma pare di capire che si tratta di una specie di armistizio favorevole a Veronesi che sta zitto.
Perché colpisce questa vicenda che in fondo non avrebbe ragione d’essere visto che Veronesi deve ancora pensarci su e sciogliere le sue riserve?
Perché permette di analizzare quelle che oggi sono le modalità della politica, i rapporti tra politici professionali e cittadini, la distanza (non colmata) tra società politica e comunità.
Milano sta attraversando una crisi grave. Altro che modello Milano. È stata malgovernata da un amministratore di condominio, come ama definirsi il sindaco Albertini. Piena com’è di problemi ha la necessità di affrontarli e di risolverli. Esiste una classe dirigente più colta e intelligente di quella che ha in mano le leve della città, ma è stata isolata dalla maggioranza politica o si è isolata da sé. L’opposizione, tagliata fuori dalla mancanza di strumenti d’informazione, non riesce o non è in grado di svolgere una funzione che vada al di là della testimonianza. I leader della politica nazionale non sembrano rendersi conto della grama sorte di Milano, stremata dopo dieci anni di governo di centrodestra che ha rivelato tutte le sue insufficienze e dopo l’aperitivo della Lega.
La città, stanca, malridotta, incattivita, senz’anima ha bisogno di una scossa politica, morale, culturale. Che cosa significa «né di destra nè di sinistra»? Un pastrocchio, l’eterna compromissione in un tempo che esige scelte non ambigue?
È successa l’ira di Dio dentro le mura di Milano negli ultimi vent’anni. Regole e principi sono saltati. Una volta tutto sembrava susseguirsi quietamente in una sorte di antica vocazione retorica, pareva che a contare fossero soltanto il merito, l’intraprendenza, il lavoro ben fatto. Una piccola America. E invece, a fare da selezionatrice, era la corruzione, diffusa in tutti gli strati sociali e in tutte le parti politiche, affiorata prepotentemente alla metà degli anni Ottanta, la Milano da bere di Craxi. La corruzione è sempre esistita e seguita a esistere oggi, in modi più sofisticati. Allora persone di idee opposte si ritrovavano con naturalezza intorno allo stesso tavolo per spartirsi i soldi delle mazzette, per gestire le carriere, il successo, il guadagno.
Adesso le ruberie e il malaffare di quegli anni sono stati cancellati dando le colpe di tutto quanto è accaduto ai giudici di Mani pulite, attribuendogli ogni responsabilità, rimettendo sugli altari i ladri, gli uomini corrotti che sono diventati rispettabili, col marchio del martirio.
In tutti questi anni Milano non ha voluto discutere, darsi una ragione, capire come tutto quanto sia potuto accadere nella capitale «morale». Bisognava trovare tempo fa, dopo il 1992, il modo di ricominciare, tirando fuori idee e progetti e questo non si è verificato. La città, durante i due mandati di Albertini, non è stata coinvolta, è rimasta del tutto separata da quel che è stato deciso nei palazzi pubblici. Tutto è andato avanti sciattamente in modo mediocre, mentre è mutato l’assetto sociale. Sono scomparse la grande industria e la classe operaia che pesavano la loro forza su uno dei due piatti della bilancia e facevano da contrappeso creando un sistema vivibile, con la borghesia colta e con quella solo volenterosa sistemate sull’altro piatto. È tutto più difficile, oggi, con un ceto generale e indifferenziato.
Ma anche così non è mai tardi per ricominciare, come succede dopo i disastri di una guerra. È tempo di fare i conti col passato e col futuro, di ripensare a progetti che diano ai cittadini la voglia di fare.
Alla Festa nazionale de l’Unità di Milano, in certe sere, si vede con quale attenzione gli uomini e le donne che per tutta la vita hanno sperato di cambiare la vita seguono i dibattiti, la mafia, l’informazione, il lavoro. Con quale passione partecipano, informati, ben coscienti di quel che è successo e succede. Non bisogna proporgli cinicamente un candidato sindaco che non è «né di destra né di sinistra». Bisogna avere il loro stesso coraggio, alimentare la loro speranza. A Milano, soprattutto a Milano.