I muri dell'identità. Occidente e Islam
di david Bidussa
Una nuova malattia ha invaso la nostra quotidianità: l'ansia di identità. Così Ci avverte Gad Lerner nel suo ultimo libro (Tu sei un bastardo, Feltrinelli). Il problema è maledettamente serio e ha conseguenze sulla qualità della nostra vita quotidiana.
L'avvertimento di Lerner ha un senso e sarebbe sbagliato prendere la questione sottogamba, anche perché la ricerca spasmodica di identità presenta dei risvolti tutt'altro che rassicuranti. All'origine sta il recupero strumentale del passato, ovvero l'uso politico della storia.
Il ricorso all'impalcatura della storia come discorso e palinsesto esplicativo diviene impellente e necessario allorché un complesso sociale si spezza e non garantisce più di un racconto avvolgente e protettivo. Il dopo Muro è questo e gli effetti della globalizzazione sono anche un'ansia identitaria che si trasforma in "invenzione del passato". La caduta del Muro - salutata come l'ingresso in una nuova universalità - non ha impedito che riemergessero frontiere mentali e immaginarie. Una di queste è la scena del conflitto fra oriente e occidente (più precisamente fra cattolicità in armi e Islam armato) che si consuma a Lepanto il 7 ottobre 1571. A lungo dimenticata o taciuta, quella scena è venuta a popolare i sogni tanto di una parte consistente dell'Europa nuova , tanto di un Islam che cerca il suo riscatto e legge l'11 settembre come la risposta islamica alla sconfitta subita a Lepanto, in termini di intelligenza, di scaltrezza nell'attacco e, soprattutto, di vulnerabilità dell'avversario.
In queste domande inevase sta anche una nuova stagione del sentimento di parte del mondo cattolico e della cattolicità.
In molti negli ultimi mesi si sono chiesti se non fosse il caso di riaprire una battaglia per la laicità e molte uscite non solo da parte della Conferenza episcopale italiana ma anche degli stessi politici italiani (a destra e a sinistra) hanno fatto capire che per la laicità sono tempi di quaresima.
Laicità non significa solo dimensione critica rispetto alla fede. Significa anche possibilità di rappresentare interessi al di fuori e oltre le appartenenze di fede. Ovvero stabilire un principio di convenienza che non chiami in causa prevalentemente - per non dire esclusivamente - l'iscrizione a un club per nascita e per consuetudine o perché si condivide ideologicamente un credo (politico, idelogico, teologico,..). E' così che laicità significa avere una dimensione della storia passata che permette una coscienza storica nel tempo presente fondata su un fondamento critico.
Nel corso del Novecento, del resto, di istituti per la buona storia da ricordare e da imparare a memoria ne abbiamo avuti di diverso genere e di diverso orientamento. Pensavamo forse che la scomparsa del Muro permettesse un diverso approccio alla coscienza storica di ciascuno di noi. Non è così forse perché pur entrati cronologicamente nel XXI secolo siamo ancora immersi in un "lungo Novecento" in cui coloro che si sono sentiti minacciati dalla laicità tentato di riscrivere a propria gloria la storia.
La fuoriuscita dalle ideologia è stata il reingresso veloce nell'alveo protettivo dell'identità. In questo nuovo guscio un ruolo non indifferente gioca oggi l'assunzione del cristianesimo come ideologia politica contemporaneamente universalistica e particolaristica. Non c'è contraddizione tra questi due aspetti apparentemente contrapposti. Nel messaggio che alcuni giorni fa Benedetto XVI ha inviato al Presidente Marcelo Pera per cui i diritti discenderebbero da Dio c'è questa candidatura universalistica. Meglio elezione della propria parte a universo. Infatti l'avocazione dei diritti e della loro origine a sé da parte di Benedetto XVI dice semplicemente di un'equazione per cui Dio e Chiesa coinciderebbero.
Ma anche particolaristica. E' di questi giorni la proposta leggibile nella Newsletter "Corrispondenza Romana" del Centro culturale Lepanto relativa al varo di un corso triennale di Laurea in scienze storiche promosso dall'Università degli studi europei di Roma.
Dopo aver dichiarato la marginalità e la subalternità degli storici praticanti nella cultura generale perché - cito testualmente - "prigionieri del cliché storiografico progressista e laicistico affermatosi dopo l'illuminismo", e auspicato la nascita "di uno storico libero da tali cliché per diventare così anch'egli fermento evangelico nella Chiesa e nel mondo", così viene indicata la finalità della proposta. "per chi abbia a cuore il bene della Chiesa e della società si tratta di riplasmare [il corsivo è mio] una figura di storico (…), e, di conseguenza, di identificare e di avviare i percorsi formativi, i cui esiti si traducano in circoli virtuosi - dal discente al futuro ricercatore e docente -, i quali creino nel tempo un'infrastruttura che modifichi la situazione attuale".
Sotto nuova veste sono rinati il dipartimento di dottrina dello Stato o l'Istituto per marxismo-leninismo. La lotta di civiltà all'Islam alla fine si rileva essenzialmente una "guerra civile" a quei "profeti maledetti di Parigi" veri Robinson malefici che non hanno mai cessato di popolare gli incubi dei buoni "Venerdì". Da tutte e due le parti sono i laici (i "non puri") a costituire l'obiettivo su cui concentrare il "proprio fuoco".