Una road map morale per Israele
di David Bidussa
Può darsi che le parole con cui il nuovo leader del partito laburista israeliano - Amir Peretz - ha esordito all'indomani della sua vittoria nelle primarie interne abbiano sorpreso molti. "Io ho un sogno - ha detto Peretz - che i bambini israeliani e i bambini palestinesi possano bagnarsi insieme sulle spiagge vicino Gaza e dove ci fu violenza possa darsi anche felicità comune".
Nelle parole del sogno che Perez ha pronunciato sabato sera al raduno a Tel Aviv in memoria del decennale della morte di Rabin - la stessa cerimonia pubblica in cui è intervenuto anche Bill Clinton esortando a riannodare il filo imbastito a Oslo - probabilmente sta anche la retorica di chi sa che per inaugurare un tempo nuovo occorra sancire una rottura che riguarda il costume, le mentalità, più che la politica. E' per questo che nella retorica oratoriale di quella sera sono echeggiate nelle parole di Peretz quelle che Martin Luther King pronunciò il 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial nel momento emozionalmente più intenso della marcia su Washington per i diritti civili. "Io ho davanti a me un sogno - queste le parole allora di King - che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza".
Tuttavia Peretz non si è limitato a sottolineare la necessità di una soluzione di pace o a riprendere l'invito di Clinton. "La violenza - ha aggiunto Peretz - sta erodendo l'essenza della democrazia israeliana. Non solo quella che attraversa il conflitto israelo-palestinese, ma anche quella che sta tra noi, dentro Israele. Abbiamo fermato la violenza nei territori, fermeremo la violenza al nostro interno. La persistenza dell'occupazione dei territori è la chiave della perdita dei valori in Israele. Noi abbiamo bisogno di una "road map" morale". La fine dell'occupazione e l'accordo per una soluzione definitiva della questione territoriale sono sinonimi al fine di conservare e proteggere i nostri valori umani."
Dietro a queste parole è automatico intravedere e riproporre le scene di conflitto e di esasperazione che hanno segnato l'abbandono della striscia di Gaza. Ma non solo. Amir Peretz ha intuito che dietro quelle scene che hanno diviso Israele e rispetto alle quali occorre operare per una ricucitura, la società israeliana ha bisogno di ritrovare una prospettiva comune. E' una strada che non ha un solo percorso obbligato.
Uno è quello della tutela e della conservazione degli equilibri interni, dello sforzo nazionale per ritrovare un equilibrio politico e riunificate il paese nel nome dei nemici esterni. E' la linea adottata da Sharon. Essa ha indubbiamente i suoi fondamenti e le sue giustificazioni e presume che si vada a una prospettiva di governo di unità nazionale.
Ma non è l'unica strada. L'altra è quella di prendere atto che la spaccatura non è solo quella relativa alla dimensione dello Stato, bensì alla qualità della vita e allo status sociale quotidiano. Israele è un paese che, costruito con l'obiettivo dell'emancipazione e della libertà, della possibilità di riscatto, o del nuovo orgoglio, oggi vede incrementare la frattura sociale. E' un paese in cui il tasso di disperazione sociale è in crescita; le periferie presentano problemi di degrado e di innalzamento della miseria; il tasso della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà sta salendo a una percentuale a due cifre; il fenomeno della tossicodipendenza è in espansione. Infine, un paese in cui il sistema di protezione sociale è in crisi e le reti pubbliche di assistenza al disagio hanno difficoltà di funzionamento.
Una crisi che non è marginale tenuto conto del fatto che il sistema dello Stato sociale "dalla culla alla tomba", è stato lo strumento fondamentale su cui si è costruita la cittadinanza politica in Israele e la leva che ha permesso rapidamente l'inclusione e la nazionalizzazione culturale e sociale di un paese che è vissuto solo in forza di massicci processi di immigrazione comunitari più che individuali.
Questa crisi ha trovato una risposta politico-culturale. Ed a questa risposta Amir Peretz intende ribattere. Infatti essa non si traduce nella scomparsa di ogni forma di assistenza e di protezione sociale, bensì nella eclisse o nella restrizione del sistema pubblico e della emersione delle reti solidarietà messe in atto - soprattutto nei quartieri degradati e nelle aree urbane povere - dalle strutture di intervento dei partiti religiosi, soprattutto da parte di Shas, il partito dei religiosi sefarditi, il terzo attore politico del paese nell'attuale parlamento.
In breve la crisi dello Stato sociale classico significa arretramento della sfera pubblica dell'assistenza e innalzamento del ruolo delle agenzie assistenziali di tipo religioso. Un aspetto che non riguarda solo un confronto tra le forze politiche interne al quadro ebraico-israeliano ma che coinvolge anche altre forze che pensano la ricomposizione di un conflitto come controllo sociale attraverso la capacità di controllo e di governo del religioso. E' lo stesso progetto che, per esempio, guardando al confronto interno palestinese tra cristiani e musulmani, confronto che ha visto spesso i primi in minoranza e in difficoltà rispetto ai secondi, ha motivato la Compagnia delle Opere a intervenire in modo massiccio in Israele e in alcuni territori dell'Autonomia palestinese dal settembre 2004. Ma è anche lo stesso progetto che ha dato spazio a forze religiose di area musulmana nella società arabo-isareliana, per esempio il partito Balad.
La strada a cui allude Amir Peretz, dunque, non è solo quella della ricucitura de disagio o del trauma postabbandono. E' quella di ritrovare e ricostruire una unità sociale interna rimettendo in campo i fondamenti di una società laica. Al di là del sogno la sua è una sfida che parla anche a noi, al di qua del Mediterraneo.
Trovate un palestinese che mostra la stessa apertura e la pace è vicina.
Ma dubito (profondamente) che il mondo arabo -gli altri stati, intendo- accettino la presenza di israele in quella zona.
pure per la Francia, mi sa. Oggi il capogruppo dei Gollisti al Parlamento di Parigi ha citato come causa delle rivolte nelle banlieue... la poligamia dei musulmani.
Carolina