Le Banlieues interrogano l'Europa che non c'è
di David Bidussa
In questi venti giorni, nelle periferie di Francia, si sono consumate molte illusioni. Secondo (Alain Finkielkraut, p.e.) la rabbia che popola le notti inquiete e "illumina" le strade è il risultato di un malinteso "Stato assistenziale" che ha protetto i suoi disagiati, e oggi, in mezzo alla sua crisi, paga il prezzo della sua impossibilità di garantirli ancora e dunque per questo subisce la rabbia di chi ha ritenuto che l'aiuto ricevuto fosse una "sine cura" per sempre.
Per altri, invece, (André Glicksmann, p.e.) ciò che va in onda on queste settimane è la conseguenza di un Paese che non crede nell'espansione dell'Europa (il riferimento è al referendum confermativo del trattato europeo di fine maggio poi respinto), che assume una posizione nichilista, egoista di fronte all'allargamento verso Est, vissuto come una la sfida al proprio primato, e che si ritrova rimandato al mittente il suo stesso atteggiamento.
Forse nella rabbia notturna c'è tutto questo. Sicuramente ci sono dei territori perduti della Repubblica. Riconquistarli, tuttavia, non sarà solo l'effetto di un ristabilimento dell'ordine pubblico, come ha richiamato il Presidente Jacques Chirac nel suo appello televisivo. Accanto sarà indispensabile proporre una risposta politica.
Chi oggi con sotterranea soddisfazione si fregasse le mani in barba al vecchio modello giacobino della repubblica laica, avrebbe poco di che divertirsi. Al di là della questione se le periferie "di dovunque" siano uguali o distanti dalla disperazione e dalla rabbia che corre per le strade di Francia, il tema che ci riguarda tutti è che cosa siano oggi la dimensione europea della cittadinanza e i processi di integrazione.
Queste e non altre sono le questioni che abbiamo di fronte. Esse includono vari aspetti oltre il rispetto delle norme, la tutela delle garanzie o la sicurezza. Aspetti strutturali, ma non unici.
Pensare una cittadinanza significa affrontare la fine del modello di accoglienza fondato sul diritto di asilo e proporre una procedura diversa che vede al centro la questione della costruzione politica dell'Europa. In altre parole collegare il diritto d'asilo alla definizione di una cittadinanza europea che travalica il dato identitario della nazione.
E' proprio qui che si colloca il nocciolo della crisi che le luci delle fiamme delle banlieues iscrivono nell'agenda politica dell'Europa che non c'è. Non c'è perché non c'è l'idea condivisa di una identità culturale dell'Europa.
Che cos'è oggi l'identità europea? Non potendosi surrogare in una moneta, per di più non comune a tutti i suoi paesi membri, deve concentrarsi in uno scenario culturale.
Pensare una cittadinanza, significa avere una visione della società che si intende costruire e del profilo culturale che essa deve assumere. A lungo in questi mesi in Europa si è tornati in varie forme a discutere di una identità europea fondata sulle radici giudaico-cristiane del continente. Sono stati così richiamati a diverso titolo i passi delle Lettere di San Paolo sui diritti del lavoratore; la riflessione di San Tommaso sul diritto della persona; il richiamo alla funzione di codice di Diritto Internazionale svolta per secoli dagli articolati della legislazione canonica, direttamente derivante dal Diritto Romano. In questa veste ciò che viene denominato come "identità" significa "continuità" e "fondamento primo". Ma l'identità storica di un gruppo umano è esattamente l'opposto: una cultura e una identità culturale si mantengono nel tempo perché si contaminano, perché si ibridano, non perché risultano "incorruttibili" o "immobili".
Perché questa affermazione non risulti una petizione di principio, occorrono due condizioni: leggere la storia al di là delle battaglie affidandosi a una dimensione in cui la storia si incontra con la geografia umana e storica e individuare una data "culturale" piuttosto che una riferita a un episodio preciso.
Noi oggi in Europa parliamo di dimensione dell'Europa grazie a un grande storico francese che a partire da un libro ha creato e costruito una grande istituzione internazionale di sapere storico al cui interno partecipano individui (sociologi, demografi, storici della cultura, storici dell'economia,…) dove contano non le provenienze culturali, linguistiche, politiche o religiose, ma le eccellenze e dove la babele di lingue, di storie individuali e collettive, ha segnato nel tempo la possibilità di pensare una storia degli europei anche oltre i confini dell'Europa.
Quell'uomo è Fernand Braudel, l'istituzione l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, il libro è La Mèditerranée (trad. it. Einaudi), forse il testo che con maggior efficacia ha rappresentato un modo di scrivere l'Europa e di riflettere sull'identità europea. Un testo al cui interno, appunto, contano i luoghi di scambio, la circolazione degli uomini e delle tecniche, la costruzione delle reti stradali, e la carta dei pellegrinaggi; dove si studiano le stazioni dei viaggi commerciali, le strade d'acqua e i reticoli fluviali; dove le montagne sono interpretate come luoghi dell'incontro e delle connessioni e non come le barriere naturali di divisione.
Il 28 novembre 1985 Braudel moriva. Non è detto che questa debba essere una data fissa, ma potrebbe rappresentare, in occasione di un anniversario, la prima opportunità per riflettere sulle vie dell'identità europea al di là del vincolo nazionale.