Guglielmi: dimentichiamoci il mito Questa non è più una città diversa
di Marco Imarisio
«E cosa vuole che le dica? Un episodio schifoso che si commenta da solo per la sua gravità».
Angelo Guglielmi, romanziere, critico, cofondatore del Gruppo 63, storico direttore di Raitre, dall'estate scorsa è assessore alla Cultura a Bologna. Qui ci ha vissuto e studiato, ma viene considerato l'altro «straniero», dopo Sergio Cofferati, etichetta che almeno gli consente di esprimersi con franchezza.
Professore, ci sarebbero anche quei passanti che vedono e tirano dritto.
«Verso le loro case, i loro rifugi. Bologna è una città come tutte le altre, perfettamente italiana».
Dove l'aggettivo «italiano» non va inteso come un complimento.
«C'è ormai una sorta di indifferenza diffusa per il vicino, per chi è in difficoltà, che comincia dai capi, da chi ci dovrebbe governare, e si trasmette fino al singolo individuo».
Piove e ci sono in giro bestie che violentano le donne, governo ladro.
«Intendo dire che per un complesso di cose, tra le quali il pessimo esempio della nostra classe dirigente, in questo Paese si è creata una sorta di durezza e spietatezza reciproca».
E la diversità di Bologna, tanto evocata negli ultimi mesi?
«Non c'è più, non esiste. È un posto che ha i problemi di ogni altra città. A Parigi, poco tempo fa, c'è stata una donna violentata a Saint Germain de Prés, tra macchine e pedoni che facevano finta di niente. Molte analogie con quello che è successo qui, non è vero?».
Magari uno si illude che qui possa essere diverso, no?
«Appunto, si illude. E non si tratta soltanto di indifferenza, che pure c'è. Dietro questo chiudere gli occhi, c'è anche la paura di essere coinvolto, in qualche modo ferito. Un comportamento debole che nasce dall'insicurezza che ormai tutti indossiamo come una seconda pelle».
Lei non si stupisce?
«Non molto. Quei bolognesi che girano la testa esprimono un comportamento particolare e censurabile, ma frequente in tutti i luoghi in cui la violenza esiste e si manifesta in modo visibile».
Se siamo qui a parlarne, è soprattutto perché Bologna è la città del dibattito sulla legalità, non crede?
«Chiaro. Ma si è trattato di un dibattito virtuale, che ha ingigantito ogni singolo problema. Più la conosco, più penso che questa non sia una città difficile o particolare».
Cosa intende per dibattito «virtuale»?
«Parlo a livello di media: della legalità non importava nulla a nessuno. Interessava Cofferati, e il suo passato».
Appunto, passato.
«È comunque un uomo che ha portato in piazza tre milioni di persone, che per un certo periodo ha rappresentato il futuro di una sinistra diversa. È un uomo sul quale sono ancora puntati gli occhi di tutti. È ovvio che ogni sua decisione venga passata al microscopio».
Solo questo?
«Non molto di più. Il dibattito sulla legalità era una questione di politica locale, e come tale si è ricomposta in tutta tranquillità».
«Virtuale» potrebbe anche significare che non è cambiato molto.
«E cosa voleva che cambiasse? Ai lavavetri saranno state fatte sì e no tre multe, le quattro baracche sul Lungoreno sono rimaste lì, sgomberate soltanto nei giorni scorsi dagli assistenti sociali».
Le sembra un bilancio esaltante?
«Credo che la partita vera si giochi adesso, sul modo di applicare la legalità, e il sindaco lo sta facendo con misure intelligenti che però ai media interessano meno».
Non la colpisce una città dove il 90 per cento degli abitanti è favorevole alla battaglia di principio sulla legalità e poi alcuni di essi girano la testa davanti a uno stupro?
«Questi episodi capitano ovunque, la violenza sulle donne è una piaga universale, come, temo, l'indifferenza. E in fondo sia i dati bulgari di quel sondaggio che la meschinità di quel che è successo riflettono in modo diverso la stessa paura, la stessa decadenza».
Non è brutto che sia arrivata anche nella città- oasi?
«Non ritengo che a Bologna vi sia una emergenza diversa da quella di Parigi, o Milano, o Roma. E sarebbe ingiusto dire che questa città è più indifferente di altre. Semplicemente, bisogna togliersi dagli occhi l'immagine mitologica di Bologna, e accettare il fatto che purtroppo è esattamente come ogni altra grande città italiana».
è durissima da commentare, però voglio provarci. Mi spiace per la donna.
Comportamento degli astanti indegno.
Bologna. Bologna già da qualche anno, mi dice una carissima persona che ci vive anche un po' sfottendo, si sta "milanesizzando". ;-) Che la città fosse ancora fra quelle a misura d'uomo, e di donna, era in discussione da tempo, e mi spiace. Non è che vista "dall'interno" abbia mai fatto impazzire, alla fine penso che Milano abbia comunque un'attitudine più aperta su tante cose.
Però sicuramente veniva in mente che invece sulle cose civiche - rispetto degli anziani e delle persone in genere - il livello fosse forse migliore.
Ora evidentemente no.
Giusto comunque puntualizzare sempre la differenza fra locale e nazionale, e mi pare che Guglielmi abbia fatto anche di più perché ha parlato un po' delle città in genere, anche estere.
Forse - a parte la politica nostrana - quello ai tempi che il mondo sta vivendo e anche ai pessimi fenomeni di cui non riesce tuttora a liberarsi è un richiamo interessante, e che mi fa avere buona opinione di Guglielmi.
Carolina
Io a Bologna mi sono trovato stupendamente, ma erano dieci anni fa e già si parlava della "fine del mito". Resta una delle città più vivibili, commercianti permettendo...
non ne dubito, io parlo soprattutto di questa persona, di Roma, che ci vive da circa 20 anni. Per conto mio, a BO ho vissuto solo un anno per studiare. Sono stata bene, non dico di no. Però un po' che si stesse "milanesizzando" :-) si capiva, almeno fra 1999 e 2000.
Rimane il fatto che io preferisco comunque Milano per mentalità.
A Bologna secondo me molti si fanno delle menate assolutamente inutili, estremamente borghesi, non so se rendo l'idea, mentre il milanese è più "hard" :-) nell'approccio, ma poi il cuore lo apre veramente e secondo me di indole, la situazione non fosse così, passerebbe moltissimo meno tempo a menarsela sull'esclusività dell'ambiente che frequenta, piuttosto che sul da dove uno viene o sull'ascesa sociale o altro che ho visto.
Non c'era molta genuinità, punto. Si vedeva anche sul fatto molto banale che, per dire, per trovare la deliziosa cucina emiliana un po' autentica si dovessero percorrere km, magari sui Colli, perché il centro era pieno di proposte alquanto sfiziose e modaiole, ma più globalizzate che qui, con tutto ciò che si può dire di Milano (comprese alcune sonore schifezze tipo quando aveva preso a moda la nouvelle cousine con la panna ovunque, la rucola ovunque, quel che è peggio le verdurine mignon stile Bonduelle ovunque, anche dove si sganciavano 120 cucuzze a cranio. E meno male che poi è passata).
Poi ciò non vuol dire che per lo meno come idee non ci fosse condivisione e persone interessanti e pure interessantissime e che in fin dei conti il Guazza fosse passato per un 300 voti sì e no e su una cazzata tipo un ponte in più o in meno sulla via Emilia.
Fatto sta che io vorrei una Milano più Milano e una Bologna meno milanesizzata come problemi, ma anche un po' meno provinciale come idee e modi di fare e come costumi (quando eccessivi, per moda al di là dell'innegabile apertura mentale almeno di un tempo, e stereotipizzati, quando lo sono, secondo me per clima, o per piccolezza proprio anche solo di numero di abitanti).
Carolina
Carolina
Il falso buonismo ci stà distruggendo. Criticare Cofferati perchè stà ripulendo la città dalla feccia clandestina (che era feccia pure nel proprio paese di origine, nel senso che i cittadini onesti e lavoratori difficilmente vengono in Italia) è un atto che indica stupidità e ignoranza. Far entrare in Italia una parte di gentaglia e di malavita dei vari paesi non migliora le condizioni di vita di questi paesi ma peggiora notevolmente le nostre. Gli aiuti bisogna darli a chi ha bisogno, non ai delinquenti, cioè a chi pur sforzandosi di uscire dalle proprie situazioni di miseria rimane in povertà nel proprio paese, cosa che invece i tanto altruisti di sinistra non fanno per niente.
Ignorante sesquipedale:
- Cofferati è di sinistra
- molta "feccia" consente ai fighetti come te di abitare in belle casette nuove, costruite risparmiando sugli stipendi e sulla sicurezza
- Andoni Zubizarreta e non zubizarretta.......
Guglielmi ha colto nel segno. E lo ha potuto fare perché non è nato a Bologna, ha vissuto a Bologna ed è tornato a Bologna. Insomma, per capire ed amare Bologna bisogna vivere in un'altra città.
Io lo sto facendo da un anno ed ho capito più cose in questi mesi che in 20 anni a Bologna.
Ora non resta che lavorare ed impegnarsi per conservare quello che è rimasto di buono in questa bellissima città.