Israele, sfida fra ortodossia e laicità
di David Bidussa
Nelle parole di molti commentatori in questi giorni, le novità della politica israeliana sono state complessivamente accolte come la possibile premessa a un epilogo dopo un lungo periodo di congelamento.
A lungo la domanda a cui molti osservatori hanno tentato di dare una risposta in questi anni verteva intorno all'identità del paese: è stato così il tema del peso dei partiti religiosi, della possibilità di costruire una società ideologicamente e culturalmente coesa; della insistenza sulla "mission" di Israele rispetto a un quadro mediorientale turbolento, ma anche nei confronti di una identità ebraica che doveva e deve misurarsi con la sfida dei radicalismi e la rinascita dei nazionalismi e di fatto la persistenza delle diaspore. Da ultimo il dato che una delle città più popolate di israeliani oggi non si trova in Israele m al di là dell'Atlantico. Nessuno ha intenzione di riportarli "a casa" (anche se il fatto che una parte consistente di israeliani, nati in Israele, seconda o addirittura terza generazione di residenti emigri dal paese costituisce un indicatore delicato nell'ideologia del sentirsi lì "a casa" e fuori "in pericolo"), tuttavia il fenomeno esprime un disagio non trascurabile.
Chiedersi di chi sia figlio quel disagio implica domandarsi che cosa sia oggi concretamente la società israeliana. Possiamo rinchiudere le novità strutturali intorno a tre temi:
1) Emigrazione russa. Dei circa 750.000 russi che sono entrati in Israele nel periodo 1990-2002 250.000 provengono dalla Russia vera e propria, 220.000 dall'Ucraina, 140.000 dall'Asia centrale, Georgia, Armena e dall'Azebaijan, mentre 115.000 provengono dagli Stati baltici e dalla Moldavia.
E' un'emigrazione in gran parte costituita da fasce giovanili, non sono nuclei familiari con bambini piccoli, hanno una caratteristica di forte orgoglio identitario nazionale, non contrattano con le identità nazionale israeliana, esprimono una capacità lavorativa tecnica o facilmente spendibile sul piano delle nuove tecnologie. Il che significa: rifiuto di una ideologia che presume la creazione di un cittadino israeliano, rifiuto di abbandonare l'uso della propria lingua madre (parlano ebraico, ma la stampa di riferimento rimane quella in cirillico; premono perché il russo sia riconosciuto come terza lingua nazionale); rifiuto, soprattutto, di una supremazia del codice religioso sui propri stili di vita. In breve la loro posizione è quella di "russi in Israele".
2) nuove forme di povertà. Riguardano trasversalmente settori di popolazione israeliana stabilizzata da almeno due generazioni, coinvolgono alcune fasce di popolazione ebraico-israeliana di immigrazione recente e di non facile inclusione culturale (ovvero gli ebrei etiopi arrivati in Israele alla fine degli anni '80). Anche in questo caso il termine di scontro con il processo di inclusione è dato dal confronto con i codici dell'ortodossia
3) Presenza di manodopera straniera nel circuito produttivo e nel mercato del lavoro in Israele. A lungo questa realtà è stata costituita dai palestinesi dei territori occupati. Ma da almeno 6 anni non è più così. Oggi la manodopera presente in Israele viene a contratto temporaneo dal sud-est asiatico, è parte dell'espansione del mercato del lavoro cinese, o indiano o in parte est-europeo (Romania). I contratti sono a progetto specifico, durano dai 12 ai 24 mesi, la media di orario di lavoro quotidiano è intorno alle 10 ore. In breve nel processo di terziarizzazione della società ciò che è avvenuto è contemporaneamente lo stravolgimento dello stato sociale tradizionale e lo sconvolgimento del quadro della composizione etnica del lavoro.
Questo è uno degli aspetti che consente, p.e., di non avere rilevanti problemi produttivi o lavorativi nell'economia israeliana in conseguenza della Seconda Intifada o della chiusura dei punti di valico.
Ma questo quadro dice anche di altro. Ovvero indica che la crisi interna si esprime su tre questioni: forme della nazionalizzazione culturale; determinare un quadro di certezze e garanzie sociali; delineare il futuro della regione.
Lo scenario dell'accordo di Oslo fu reso possibile da una certezza: ovvero che il quadro di equilibrio demografico obbligava a una separazione statuale di due realtà che s erano a lungo pensate una inclusiva dell'altra: da una parte la leadership palestinese non ha mai cambiato le proprie carte geografiche appese ai muri dietro le proprie spalle perché riteneva di poter tornare a casa; dall'altra una parte consistente della società israeliana (sostanzialmente quella che per un lungo quindicennio ha espresso la leadership politica tra anni '70 e anni '80) ha ritenuto che si potesse costruire una Grande Israele senza palestinesi.
Entrambe queste due dimensioni sono arrivate a un punto di non realizzo. I palestinesi sanno che dentro Israele il tasso di crescita demografica non arriverà presto al pareggio dopo l'abbandono di Gaza. Gli israeliani, di contro, hanno un processo di nazionalizzazione che oggi non funziona come ha funzionato per tre generazioni, semplicemente perché i russi, ovvero quella fascia di immigrazione che negli anni '90 ha reso possibile stabilizzare il rapporto demografico, hanno espresso chiaramente la loro avversione all'invasività culturale e normativa dei partiti religiosi.
Il nucleo originario della crisi politica risiede qui. Nella scommessa politica dei prossimi mesi, nella possibilità che si dia una svolta di centro e perciò almeno nella forma del mercato politico l'arcobaleno dell'offerta politica sia definitivamente "normale" è data dalla capacità di portare dalla propria parte quella massa consistente di cittadini inquieti che hanno garantito la esistenza materiale dello Stato in questo decennio e che semplicemente hanno mandato a dire in tutto questo periodo che non sono disposti a sopportare la "costituzione materiale" di Israele, ovvero la divisione dei ruoli sancita negli ultimi venti anni: da una parte un nucleo di produttori di reddito, dall'altra i detentori elle regole dello Stato. L'effetto è che la partita per una possibile scrittura laica delle regole del gioco ha ripreso la sua corsa.