Lo scandalo Pera
di Antonio padellaro
Il “Corriere della Sera” di ieri, 2 dicembre, ha pubblicato il testo di una intercettazione telefonica della Guardia di Finanza che coinvolge pesantemente il presidente del Senato, Marcello Pera, in un’oscura faccenda di sottogoverno. Trattasi di una conversazione dell’8 giugno 2004 nel corso della quale il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi avanza all’imprenditore Marcellino Gavio precise richieste sulla persona da nominare alla presidenza della Salt, l’autostrada ligure-toscana. Il tono delle confidenze è concitato poiché, si apprende, la seconda carica dello Stato non vuole sentire ragioni e pretende che su quella poltrona vada il suo raccomandato, costi quel che costi. Un certo giorno il povero (si fa per dire) Gavio se ne esce con una sorta di pietoso lamento: «Sono andato da Pera e mi sono sentito una girata da fuori di matto perché non facciamo il presidente... Adesso vediamo cosa possiamo fare per aiutarlo a far ‘ste strade...». Pera viene esaudito ma nasce un nuovo problema perché, sostiene Gavio, il nuovo presidente, imposto a furia di urlacci «è un medico che non sa nulla di autostrade e dovrebbe accontentarsi di prendere i soldi e non intralciare il loro lavoro». Poi, è sempre Gavio a riferire che secondo Pera Berlusconi era d’accordo, ma secondo Gavio, Berlusconi non sa nulla.
Ne esce fuori un bel quadretto di impicci all’italiana. Uomini di indiscusso potere, impegnati in trame e maneggi sicuri della loro impunità.
Infatti, in un paese normale, che non è l’Italia, il così poco commendevole comportamento di un personaggio al vertice delle istituzioni avrebbe certamente suscitato reazioni sconcertate e pressanti richieste di chiarimento. Inutile dire che se questi chiarimenti non fossero stati solleciti ed esaurienti, a Parigi, Berlino, Madrid e in ogni altra capitale che si rispetti le richieste di dimissioni per un personaggio che mostra così scarsa considerazione per il suo ruolo, sarebbero fioccate copiose. Qui da noi, naturalmente, nulla del genere è successo. Il presidente Pera che tra un incontro in Vaticano e uno scontro di civiltà non disdegna interventi di natura più terrena (le sue «stringenti indicazioni» per favorire l’Enel nella compravendita della società del gas di Lucca sono state denunciate dal sindaco della città, suo ex pupillo di Forza Italia) ha tranquillamente trascorso la giornata distillando raccomandazioni cautelose su etica pubblica, bioetica e uso dei preservativi. Nessuno ha osato disturbare il sant’uomo impegnato nel suo alto magistero. Nessuno si è scandalizzato del fatto che un medico «che nulla sa di autostrade» sia stato piazzato dall’illuminato (dall’Enel) discepolo di Popper a intascare pingui emolumenti e a non rompere le scatole.
Cambiamo scena (ma non argomento) e dalle stanze ovattate di palazzo Giustiniani trasferiamoci nei maestosi saloni della Banca d’Italia. Anche qui siede un illustre personalità, il governatore Antonio Fazio che, secondo Giuseppre Oddo e Giovanni Pons, autori del libro L’Intrigo, sarebbe il destinatario di un lungo elenco di omaggi inviatigli dal banchiere Fiorani allo scopo di ingraziarselo. Tra i regali registrati nel computer dell’ex numero uno della Banca Popolare di Lodi spiccano, accanto a rare edizioni di san Tommaso e sant’Agostino (letture predilette di un altro uomo profondamente devoto), ecco una collana d’oro di Pomellato e un prezioso orologio Baume & Mercier. Di Fazio si è parlato, incessantemente, per tutta l’estate, complici (anche qui) certe troppo affettuose conversazioni telefoniche con il suddetto Fiorani nei giorni chiave della scalata Antonveneta. Per mesi, sul Governatore, sono piovute le più pressanti richieste di dimissioni, da parte del governo e da parte dell’opposizione. Il caso Fazio ha monopolizzato l’attenzione dei banchieri centrali di tutto il mondo. Nel domandarsi come fosse possibile che un personaggio così criticato restasse al suo posto la stampa internazionale ha consumato, inutilmente, tonnellate d’inchiostro. Non solo Fazio non si è mosso di un millimetro ma, poco a poco, i suoi avversari hanno come mollato la presa. Se non fosse per quel bracciale di Pomellato riemerso da una lista riservata di lui ci saremmo dimenticati tutti quanti. Situazione tipicamente italiana.
Inquadratura finale. A Milano la corte d’Appello conferma la condanna a cinque anni di Cesare Previti, accusato di corruzione nella vicenda Sme. L’ex ministro reagisce paragonando i giudici a dei killer sentendosi vittima di un’esecuzione e di un colpo di pistola. I suoi avvocati e l’intera Casa delle liberta insorgono contro la magistratura «politicizzata». Un coro assordante di proteste e di solidarietà alla vittima Previti che tracima incontenibile dai tg nelle case degli italiani. I quali, se non al corrente delle prove dell’accusa accolte in due diversi gradi di giudizio, possono pensare che in quell’aula di giustizia si sia consumato l’ultimo atto di un’intollerabile persecuzione nei confronti di un innocente. Nessuno spiega che Previti è stato condannato in appello anche per il versamento di 500 milioni al giudice Squillante provenienti dai conti esteri di Silvio Berlusconi, uscito dal processo per prescrizione grazie alle attenuanti generiche.
In quel paese normale, che non è l’Italia, un presidente del Consiglio gravato da una simile zavorra morale ne avrebbe tratto le ovvie conclusioni. Come avrebbe dovuto fare Fazio. Come dovrebbe fare Pera. Ma non succederà. Oggi, nessuno li può giudicare. E domani? Ecco un interessante quesito che sottoponiamo a Romano Prodi e alle assemblee dell’Unione impegnate a spiegarci come cambieranno l’Italia se andranno al governo.
Colloquio Gavio-Lunardi si parla del vicepresidente di Salt voluto da Pera
«Non vale ma è l’unico che ha poteri»
Questo il testo delle intercettazioni pubblicate ieri dal Corriere della Sera che riguardano i colloqui tra l’imprenditore Marcellino Gavio e il ministro Lunardi. Le intercettazioni furono disposte all’interno dell’indagine (poi archiviata) sull’ex presidente della Provincia di Milano, Ombretta Colli.
Il 10 marzo 2004, annota la Guardia di Finanza, «il ministro Lunardi avanza a Gavio precise richieste sulla persona da nominare alla presidenza Salt, l’autostrada ligure-toscana».
Gavio (chiamante): «Ciao Pietro».
Lunardi: «Come stai? (...) Senti, quella persona con cui abbiamo fatto colazione un po’ di tempo fa lì a palazzo Giustiniani (...) Lui mi diceva che ha saputo che oggi c’è un consiglio lì e nominano un ds di La Spezia... No perché, guarda che fareste la fine di...
Gavio: «No! Stai tranquillo di no! Te l’ho detto che facciamo uno interno e poi facciamo entrare Nanni Fabbri... e il sindaco di Sarzana... Non fa il presidente, sicuro!
Lunardi: «Grazie. Però adesso chi è il presidente?»
Gavio: «Presidente faccio Arona, uno dei miei (...) ».
Lunardi: «Ma quello lì di Sarzana è molto di là... Bisognerebbe un pochino ripulire... ».
Gavio: «L’unico che ha poteri è il vicepresidente, il suo di Pera».
Lunardi: «Sì, ma non è che valga molto... ».
Gavio: «No, è un architetto molto scarso... ».
L’8 giugno 2004 Gavio protesta con un suo familiare: «Guarda Mino sono stufo, devo andar da Pera, lui vuole un presidente ma si arrabbiano gli altri... ». Lo stesso giorno, ma in serata, Gavio riferisce: «Sono andato da Pera e mi sono sentito una girata da fuori di matto perché non facciamo il presidente... Adesso vediamo cosa possiamo fare per aiutarlo a far ‘ste strade... ».
Negli appunti della Guardia di Finanza così si legge alla data del 24 agosto 2004: «Gavio dice che domani è in Toscana perché ha problemi con il nuovo presidente che gli ha fatto nominare Pera. Gavio dice che è un medico e non sa nulla di autostrade e che dovrebbe accontentarsi di prendere i soldi e non intralciare il loro lavoro. Gavio dice che secondo Pera Berlusconi era d’accordo, ma secondo Gavio Berlusconi non sa nulla».
Tonii, dove sei? Ci facciamo un pranzo di Natale con i fiocchi! :-)))
Carolina