L'INCIUCIO CONTRO L'UNITA' «COSI' CADDE COLOMBO»
di Francesco Verderami
Saranno certamente accusati di partigianeria per aver scritto un libro sull'«Inciucio», perché già rimanda a rapporti spartitori e di potere nella politica. Ma chi vorrà confutare la tesi di Peter Gomez e Marco Travaglio dovrà smentire la ricostruzione degli eventi, siccome l'architrave della loro teoria è costruita su dati, date e circostanze.
Comprese quelle sulla battaglia attorno all'Unità diretta da Furio Colombo. Davvero strana la storia del giornale fondato da Antonio Gramsci, contro il quale secondo il comitato di redazione si mossero «entità esterne», che l'ex direttore chiamava «loro».
Per «loro» — disse Colombo quando lasciò l'incarico — «siamo stati un ingombro quotidiano per ogni possibile compromesso che si giocava in altre stanze». Ed è proprio per essere stati «un ingombro» che, secondo i due autori, si scatenò l'«attacco concentrico» di Silvio Berlusconi «e dei suoi quotidiani», insieme a un pezzo dei Ds e di giornali amici. Era già stato singolare il modo in cui si era svolto il funerale del giornale, ai tempi del fallimento nel luglio del Duemila. Gomez e Travaglio raccontano che non si vide nessuno. «Il bell'Alfio Marchini», ad esempio, che «nell'Unità avrebbe messo una ventina di miliardi», per «sfilarsi poco dopo aver concluso con la benedizione del governo D'Alema un affare mica male»: l'acquisto a Napoli, dalla Banca d'Italia, di cinquemila appartamenti in centro. «Prezzo stimato: 821 miliardi di lire. Prezzo pagato: 490 miliardi. Tutto regolare si capisce».
Ma nella redazione «il bersaglio del risentimento» era l'attuale presidente dei Ds, ex direttore della testata, che rese visita solo il giorno delle esequie. L'Unità «con un buco di 200 miliardi di lire», apparteneva ancora alla Quercia, sebbene fosse ormai «una società in liquidazione, nella mani del professor Viktor Uckmar». Toccò a Walter Veltroni e Pietro Folena, che stavano al Botteghino, disbrigare la faccenda: si rivolsero a Massimo Ponzellini, «banchiere amico di Romano Prodi, ma poi anche di Giulio Tremonti», perché cercasse finanziatori. Arrivarono così ad Alessandro Dalai, «editore di sinistra e proprietario della Baldini & Castoldi ». Grazie a lui nel giro di otto mesi il giornale tornò in edicola, con una nuova società, la Nie, e due «liberal» alla guida della redazione: Furio Colombo direttore e Antonio Padellaro condirettore.
Sulle prime i vertici ds consideravano l'Unità «una piaga purulenta di cui liberarsi». Inizialmente D'Alema ebbe «un atteggiamento di silenzio sospettoso». Con Colombo aveva «un rapporto gelido», quanto a Padellaro, lui era l'autore del libro Senza Cuore, che lo aveva «ferocemente infilzato ». Ma avvenne «il miracolo», il quotidiano prese slancio nelle vendite, «e per i Ds divenne un problema», perché la linea editoriale «chiuse le porte ancora aperte della Bicamerale», divenne punto di riferimento «dei girotondi, della Cgil di Cofferati, dei movimenti ». E «lanciava l'allarme a ogni avvisaglia di inciucio».
È questo il motivo — secondo gli autori — che porterà allo scontro con i Ds. Per aver criticato nel dicembre del 2002 le aperture del centrosinistra al Polo sulla riforma della Costituzione «da fare "insieme" », Padellaro venne criticato dal capogruppo dei Ds al Senato Gavino Angius, «e fu particolarmente sgradevole la coda della lettera inviata all'Unità», perché faceva riferimento al finanziamento pubblico che il giornale riceve.
Si ruppe la tregua, e ripercorrendo gli eventi nel libro si arriva alla conclusione che per colpire la direzione, «loro» decisero di colpire Dalai, il consigliere delegato della Nie. Lui, che pose il veto all'ingresso nell'Unità di Luigi Crespi, «sondaggista di Berlusconi e proprietario di
Datamedia », «pochi giorni dopo venne rimosso da consigliere delegato». Si narra che in precedenza c'era stato «un diverbio violentissimo con Fassino». Fuori Dalai, l'Unità venne convogliata in un'altra società, in cui entrarono anche le coop rosse. I «registi dell'operazione» furono Giovanni Consorte, «potente dalemiano alla guida dell'Unipol», e Ugo Sposetti, tesoriere dei Ds. «L'operazione — annotano maliziosi gli autori — consentì al partito di dirottare una decina di miliardi di lire». «Non so chi sia Consorte, né l'ho mai visto», commentò Colombo: «E comunque la nostra linea non muterà».
Da quel momento invece cambiò tutto, cominciò «lo stillicidio» di notizie sul cambio di direzione. Nel libro, edito da Rizzoli, sono ricostruiti gli scontri riservati e quelli pubblici con i diesse e con il Cavaliere. Ogni pagina è infarcita di riferimenti niente affatto casuali, come il paragrafo su «la merchant bank» in ricordo dello scontro tra Travaglio e D'Alema, dal quale il giornalista attende ancora la querela. È un crescendo che si trascina fino alla staffetta con Padellaro, soluzione voluta da Colombo, e non da «loro», perché «non era quello che sognavano i normalizzatori».
«L'inciucio» racconta insomma di un inciucio non riuscito, ma è nell'epigrafe del capitolo l'idea che Gomez e Travaglio si sono fatti della vicenda: «Ti inviteranno a un incontro per far la pace. Se tu ci andrai, ti uccideranno. E chi te lo proporrà offrendosi come garante, quello è il traditore». È una citazione dal Padrino.
ma preferisci berlusporko a questi ?
si può ancora fare una scelta !?
bo ! forza borsellino allora !
Molto ma molto illuminante. Compro subito il libro.
Travaglio ha colpito ancora, bene, e il libro è uscito da appena tre giorni, iniziano i primi j'accuse....
CASO UNITA’/ Parla Alessandro Dalai, ex consigliere delegato del quotidiano «L’inciucio contro l’Unità? Fu un piano targato ds» «Mi chiamò Veltroni, ma D’Alema era ostile al progetto»
ROMA - Racconta la sua storia coniugando i verbi al presente, come se non fossero passati già due anni da quando è stato rimosso. E si capisce che Alessandro Dalai teneva al progetto della «nuova Unità», che il suo allontanamento da consigliere delegato della società è una ferita non del tutto rimarginata, sebbene oggi - ripensandoci - ritenga sia stato «un errore aver accettato la proposta». Perché secondo l’editore di Baldini Castoldi Dalai , la guerra attorno al quotidiano che portò al dimissionamento del direttore Furio Colombo, non si scatenò dopo il ritorno del giornale in edicola, «ma prima». Sul punto non concorda con la tesi espressa da Peter Gomez e Marco Travaglio nel libro l’ Inciucio : «Il progetto - a suo dire - è minato fin dall’origine». «Quando il banchiere Massimo Ponzellini mi contatta, prospetta l’idea di una public company, e nel disegno i Ds - allora proprietari del quotidiano - cederanno la testata a una nuova società, e non avranno più alcun ruolo». Così lei decise di accettare.
«Mi pare un’idea geniale, un’operazione di mercato con un chiaro intento di aiutare comunque i Ds. L’obiettivo è dar vita a un giornale indipendente, da posizionare alla sinistra di Repubblica . Lì c’è uno spazio, e per occuparlo mi affido a due giornalisti liberal come Colombo e Antonio Padellaro. In quel momento i Ds si tengono lontani, hanno solo l’interesse a evitare il fallimento. L’ Unità è una società in liquidazione con 200 miliardi di debiti. Cosa grave è che la società del quotidiano è la stessa del partito: se fallisse, in qualche modo fallirebbe anche il partito. Il segretario della Quercia Walter Veltroni annuncia ai suoi parlamentari che "l’ Unità non è più nostra, ma di una nuova società e dei suoi nuovi azionisti". La Nie . Tutto sembra andare per il verso giusto».
Invece cambiò tutto.
«Mi accorgo che il partito sta rimettendo le mani sul giornale e già prima di arrivare in edicola il progetto è mutato. L’autonomia - garantita attraverso un solo membro del cda come rappresentante dei soci, e i restanti consiglieri espressi da intellettuali non solo italiani - viene sorpassata dall’ingresso dei soci nel Consiglio. Questo minaccia l'indipendenza di gestione. Forse dovrei lasciare, ma così l’ Unità non vedrebbe la luce. Proseguo ma intravedo un rischio forte, che a discorsi di mercato si risponda con logiche di partito».
Criticavano la linea editoriale?
«Se fossi segretario dei Ds mi potrei rabbuiare, ma la vecchia Unità è fallita, la nuova dev’essere un’altra cosa. E il partito non dovrebbe criticarne la linea».
Poteva chiedere conto a Ponzellini del cambio di programma .
«Lo chiedo più volte anche a Veltroni. Ho la netta sensazione che mi abbia passato il cerino. Il suo ruolo è particolare nella vicenda: si è adoperato per salvare il giornale ma per riuscirci ha chiamato un veltroniano come me inviso a Massimo D’Alema, che fin dall’inizio è contrario al progetto perché erroneamente lo interpreta come una minaccia».
E Veltroni non si mosse per lei?
«Ha già lasciato la segreteria del partito. Quanto ai rapporti tra lui e D’Alema, si sa, sono complicati. Ma siccome ero stato chiamato da Veltroni e Folena, mi ero adoperato, ed ero andato a illustrare il progetto anche a D’Alema, rendendomi però conto della sua ostilità. D’altronde, se penso all’ingresso dell’Unipol nell’ Unità ...».
Cosa vuol dire?
«Appena arrivato, su consiglio di Veltroni, chiedo all’Unipol di far parte della società. L’Unipol rifiuta, tranne entrarci quando esco io. E nella fase che precede la mia rimozione vengo a sapere che dirigenti della compagnia assicurativa partecipano a riunioni per coordinare l’ingresso delle coop rosse».
D’Alema non la voleva?
«Subito dopo la mia uscita, Marialina Marcucci rivela l’esistenza di un accordo tra Veltroni, D’Alema e Folena, in base al quale io sarei rimasto solo per tre anni come consigliere delegato. L’unico a smentire e ad avere verso di me parole di stima è Folena. Dunque...».
Lei era già fuori dall’ Unità quando il giornale ebbe un calo secco di cinquemila copie, su cui persino il cdr volle vederci chiaro.
«Non sono un’amante della dietrologia, ma ricordo un incontro riservato con D’Alema, durante il quale mi venne prospettata una situazione: nel caso il giornale avesse assunto una linea sgradita, il numero delle copie vendute si sarebbe ridotto drasticamente. Non credo che le copie mancanti siano copie "dalemiane", bensì di quanti avvertono che è in atto un processo di normalizzazione, che con Padellaro alla direzione sono certo - in base ai risultati - non avverrà».
Insomma, chi furono gli avversari del vostro progetto, quelli che Colombo chiamava «loro»?
«Non so a chi si riferisce Colombo. Ognuno ha i propri «loro». I miei sono quelli con cui non parlo più, cioè i maggiorenti dei Ds, un partito che ho votato, ma i cui vertici si sono rivelati ostili al progetto della nuova Unità perché lo ritenevano un’usurpazione. Se ci penso, nemmeno Prodi si è speso. Insomma, mi spiace per come sia finita, anche con Piero Fassino, perché lo conosco da sempre. Ricordo persino che pensava di collaborare in Electa, società di cui sono stato consigliere delegato».
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L'intervista è pubblicata oggi dal Corriere.
C'e' qualcosa che non va, e di grosso, nella "sinistra" italiana:
http://www.kelebekler.com/occ/riformista.htm
Leggero' il libro prima possibile.
molto non funziona nella sinistra italiana oggi.
purtroppo si è persa la dimensione critica nei loro confronti perchè berlusconi e il centrodestra hanno rappresentanto e rappresentano un "oggetto" talmente ingombrante da riuscire a nascondere e celare le negatività che serpeggiano con sempre più vigore nel centrosinistra.
battere berlusconi è diventato l'imperativo mentre la volgarità e la questione immorale prendevano il sopravvento.
trovato il nemico (e adesso chiediamoci il perchè di tanti comportamenti e scelte come la mancata legge sul conflitto d'interessi da parte del Centrosinistra, giusto per citare un caso) si sono chiusi gli occhi sul compagno di banco.
Eccome!
Basta leggersi gli atti giudiziari sul processo per il sangue infetto. E sono pure candidati nell'Unione. Berlusconi è quello che è ma qui si tratta di 1500 morti accertati e 60.000 infettati potenziali. Mi meraviglia che non se ne parli.
Consultate il sito www.politrasfusi.it
e alla fine? furio colombo si è candidato nuovamente nel 2006 nelle liste dei ds... ed eletto senatore.