Sono quasi novanta gli anni di Gianrico Tedeschi, ma lui li sbeffeggia per due ore sul palco, più arzillo della metà degli spettatoti (che hanno la metà dei suoi anni), saltando in piedi sulle sedie, correndo avanti e indietro, recitando, cantando, ballando come se il tempo non fosse passato da quando, poco più che ventenne, sopravviveva alla fame e agli stenti nel campo di
Sandbostel. Guerra, tedeschi e prigionia costituiscono una buona fetta del primo tempo della sua commedia
Smemorando, dedicata alla memoria (cioè alla sua vita, perché
«dove non c'è memoria, non c'è vita») ed è giusto che sia così. Chi scrive ha avuto l'onore di sentire gli stessi racconti da un padre il quale - in quanto non collaborzaionista - dovette condividere con Tedeschi (e con Rigoni Stern, Guareschi, Brunello e tanti altri) fame e letti a castello dell'hotel allestito da Adolfo nei pressi di Amburgo e sa quanto questa memoria sia importante.
Sono tante le letture dedicate alla guerra e alla prigionia, letture antiche, ma sempre emozionanti: la Trilogia del lager di Giovannino Guareschi, il brano dell'alpino sfamato dai russi (lo legge spesso anche Paolini) dal sergente nella neve, un inno alla pace e alla fratellanza. Tedeschi l'alpino che non collaborò li legge con affetto e commozione contagiosi, ridando luce a storie che tempo ed eventi rendono ogni giorno un po' più sfuocata.
Ma non è solo guerra. E' anche poesia, quella delle scuole elementari di tanti anni fa, quando si "mandavano a memoria" i versi di Giosuè Carducci davanti a San Guido. E per incanto, quello che ogni studente ha vissuto conme pomposo trombone, diventa lieve e affettuoso quando Gianrico lo porge senza eccessi, come se fosse lui sul treno che passa in una scia di funmo nero davanti ai filari di cipressi.
Nel secondo tempo il repertorio si apre. la memoria di Gianrico Tedeschi spazia, si allarga, sfiora la commedia di Garinei e Giovannini, rende omaggio a Goldoni, al sommo Shakespeare, all'immortale Opera da tre soldi di Bertold Brecht (con una splendida Canzone di Peachum). Tutto sermpre con garbo, eleganza, leggerezza, sicurezza totlae. Il vecchio ragazzino del palcoscenico non ha un istante di cedimento, non ha un'esitazione. prende forza dagli applausi, sorride, si compiace di poter dire ancora qualcosa di importante a un pubblico che pende dalle sue labbra.
I suoi pezzi si alternano a brani musicali "in tema" interpretati dalla figlia di tedeschi, Sveva, che si difende decorosamente, ma che non è e non sarà una star. Ma che con la sua sola presenza riesce a infondere al vecchio leone del palcoscenico una gioia intensa, profonda, palpabile che giustifica in pieno la sua presenza. Buona e azzeccata la seleziune di brani, da segnalare un'eccellente versione tradotta di "If I were a rich man" dal
Violinista sul tetto.
Si esce con la sensazione di aver avuto una fortuna rara, quasi un privilegio. Di aver assistito alla costruzione di un pezzetto della storia del teatro italiano. Il sentimento - come dopo aver visto Eduardo, Gassman, Fo, Parenti, Buazzelli, Soleri e tanti altri giganti del palcoscenico - è di ammirazione e gratitudine.