Rossanda, la ragazza che amava la politica
di David Bidussa
Nelle autobiografie importa come il protagonista - chi dice io nella storia - mette le proprie carte sul tavolo. Rossana Rossanda deve aver pensato a lungo, e per molto tempo come raccontare di sé prima di mettere mano a questa sua memoria autobiografica. Un testo che richiama altre prove autobiografiche che pur non dichiarate hanno agito profondamente su queste pagine. Da una parte la ricostruzione di un ambiente privato e poi pubblico dove contano le emozioni, e non solo gli avvenimenti. Dove pesano le lacerazioni intime e non solo le grandi svolte della storia collettiva (la guerra, la Resistenza, l'Ungheria del '56, il Muro di Berlino, la Cina di Mao, il '68) e dove, d'altra parte, pur non tirandosi indietro rispetto a nessun passaggio problematico vige un senso di austerità, una misura del'Io, per certi aspetti un contenimento di sé.
Non è difficile con chi Rossanda si accompagni idealmente in queste sue pagine. Da una parte sono le riflessioni autobiografiche di un'altra donna, per la precisione Simone De Beauvoir, forse la storia in pubblico più articolata culturalmente (da Memorie d'una ragazza perbene fino a La cerimonia degli addii, Einaudi), e le pagine asciutte, austere di Luigi Pintor (Servabo, e Il nespolo Bollati Boringhieri).
Il titolo che ha dato a questa sua scrittura - La ragazza del secolo scorso (Einaudi, 390 p.,€ 18,00) - ha molti tratti del libro di formazione più che del libro di bilancio. In quella lunga storia sullo sfondo stanno le mote trasformazioni del paese, quelle private, intime, e quelle pubbliche.
Quelle private: la metamorfosi della propria famiglia, un ambiente borghese, consumato lungo le due rive dell'Adriatico tra Pola e Venezia (meglio il Lido), la caduta economica che sconvolge il proprio quadro famigliare; gli anni di formazione universitaria; la scoperta del proprio corpo; la passione per l'arte, l'incontro con Antonio Banfi, il lento apprendistato politico; le scelte che coinvolgono i propri affetti.
E quelle pubbliche: la sua attività politica a Milano tra anni '40 e anni '50; la sua esperienza di dirigente politico, i viaggi politici in Ungheria, in Urss nel 49, a Cuba nel 1967 nelle conversazioni incerte con Castro e Carlos Franqui, la mestizia di un viaggio in Spagna nel 1962, il senso di spaesamento di fronte alla tomba di Hegel a Berlino e a quella recente di Brecht; le inquiete giornate parigine del maggio '68, fino alla espulsione con Magri e, Castellina, Pintor dal Pci. In mezzo le pagine degli incontri e dei confronti con Togliatti, Amendola, lo scambio con un uomo cortese come Natta e il rispetto per la sua sconfitta venti anni dopo.
Con la politica c'è stata la passione, la lenta pratica con il privato dei militanti, l'impegno e gli anni della Casa della cultura a Milano a ripensare una politica culturale dopo la sconfitta dell'aprile 1948. Forse una delle pagine più rappresentative riferite alla sua sfera pubblica è quella in cui Rossanda (pp. 328-329) descrive il proprio narcisismo ferito.
Nel privato sono le pagine dedicate alla lenta morte della madre (pp. 228-230) e ai dialoghi che si vorrebbero intessere con chi non c'è più, a testimoniare di una cifra letteraria di grande spessore e di un tormento che sa trovare le parole per dirlo. Con pudore e riservatezza. Senza nascondere niente.