Steve Earle è un'icona del folk rock e in genere della cultura "left wing" americana. Autentico outsider della società e dello show biz, vive come se fosse il personaggio di una delle sue canzoni. O di uno di questi racconti, pubblicati nel 2001 negli Stati Uniti e portati in Italia - finalmente! - da Meridiano Zero col titolo
Le rose della colpa. Racconti che potrebbero essere messi in versi e musica da Woody Guthrie, Bob Dyòan o Bruce Springsteen (o dallo stesso Earle), incursioni d'autore nell'America che non compare nelle pubblicità al cinema, tra Tennessee, California del sud, Texas. America di musicisti e reduci, che Steve Earle mette nelle pagine con un ritmo che fa scorrere le pagine leggere, alla faccia della drammaticità, come se le storie fossero sottolineate dagli arpeggi dalla sua vecchia Gibson Southern Jumbo (quella che negli anni '90 era finita al banco dei pegni per raccattare qualche dollaro extra da "investire" nell'eroina che lo ha schiavizzato per un decennio, accopagnandolo fino nella cella di un aprigione di stato).
A conoscere la storia di Earle si comprende meglio questo splendido libro, titolo originale Doghouse Roses, dove il protagonista è sempre lui, che di volta in volta si traveste da reduce del Viet Nam, da assassino sfuggito alla giustizia, da scemo del villaggio, da giovane promessa della musica country. C'è sempre lui nel fondo di tristezza e ineluttabilità che emerge dalla psicologia di ogni personaggio di questo libro, drammatico, ma vivo e vitale. Feroce, ma intriso di saggezza popolare. Intenso, ma capace di scorrere lieve, pagina dopo pagina, facendo di ogni dramma umano una storia di vita vissuta, quindi per definizione, un frammento di eternità, parte del tutto.
Kudos a Marco Vicentini, patròn di
Meridiano Zero, per aver portato in Italia queste splendide pagine. Imperdibile. Come imperdibile è il suo ultimo CD:
The revolution starts.