Un ingegnere-ultrà al ministero della Giustizia
di Roberto Roscani
L’Italia non ha un Guardasigilli. L’Italia, nelle stanze del ministero che un tempo si chiamava di Grazia e Giustizia, non ha neppure semplicemente un politico della destra. No, ha un ultrà. Castelli è come Di Canio. Al calciatore viene «naturale» fare il saluto fascista. Al ministro viene naturale il grido delle curve contro i nemici: «Devi morireee!!!». Castelli blocca la pratica della grazia a Sofri per il semplice motivo che Sofri non è più in punto di morte. Anzi «è libero di curarsi» (e vorremmo ben vedere) quindi niente grazia. Una decisione coerente con l’ottusa determinazione che ha opposto il ministro al presidente Ciampi. Una decisione che getta una luce sinistra sul quel «tormento» che - a sentire qualcuno - aveva colto il Guardasigilli alla notizia della drammatica situazione di salute di Sofri quando, 18 giorni fa il suo esofago si era lacerato. Legando le parole di allora a quelle di oggi è chiaro che Castelli non aveva alcun rovello umano, aveva solo paura di passare alla storia come il ministro che aveva fatto morire in carcere un uomo che il presidente della Repubblica aveva detto pubblicamente di voler graziare. Ora - con la solita superficialità - la paura gli è passata e può tornare l’ultrà di sempre.
Per la destra, che qualche posizione di timida apertura l’aveva mostrata, è il solito schiaffo che la Lega assesta per dimostrare di esistere. Quelli che si erano pronunciati a favore della grazia tacciono (con l’esclusione dell’Udc), gli altri i forcaioli di An applaudono per non farsi togliere la scena. Su Sofri il Carroccio vuol fare un pezzo di campagna elettorale solleticando gli umori peggiori. Ne siamo umanamente addolorati, politicamente allarmati, ma non stupiti.
Adriano Sofri è ancora in rianimazione a Pisa. La sua famiglia ha, con grande discrezione, spento i riflettori. Lui - ci dicono - non è più in coma farmaceutico, dorme molto per effetto degli antidolorifici ma quando apre gli occhi è vigile e cosciente. Ha subito una tracheotomia, non parla ma ora respira almeno in parte con le sue forze. Sta meglio. Un po’ meglio. Il pericolo di vita si allontana ma la guarigione sarà dura e lenta, probabilmente più di quanto fosse prevedibile e sperabile.
Castelli ha cercato di avere l’ultima parola. Ma Ciampi - ed è questa la seconda notizia della giornata - gliel’ha tolta. Poche ore dopo l’annuncio che di grazia il ministro non voleva neppure sentir parlare, il Quirinale ha fatto sapere di aver notificato il suo ricorso alla Cassazione per il conflitto di attribuzioni che lo oppone a Castelli. A dire la verità la notifica è avvenuta il 29 novembre, ma è significativo che il Quirinale l’abbia voluta comunicare proprio ieri. Significa - per dirla in termini semplici - che il presidente non rinuncia ad un chiarimento che sul terreno istituzionale è una contrapposizione drammatica. Ciampi vuole per sé (come scritto nella Costituzione) il potere di grazia che Castelli intralcia rivendicando alla sua controfirma un potere maggiore di quello del Capo dello Stato. Per rientrare in possesso di questa sua prerogativa Ciampi è pronto ad affrontare il giudizio della magistratura costituzionale. Ora Castelli ha tempo fino al 19 dicembre per decidere se «accetta» la sfida. Staremo a vedere. Ci fa solo piacere l’idea che dovrà scegliersi un difensore privato, un avvocato del libero foro, visto che a difendere le posizioni del presidente Ciampi sarà l’Avvocatura generale dello Stato. Stato, quella strana parola che Castelli frequenta poco. Ma, si sa, in curva...