Il richiamo della foresta. Da Di Canio a Castelli
di David Bidussa
Negli ultimi tre giorni il palco della scena è stato occupato da due colpi di teatro. La prima scena la interpreta Paolo Di Canio. La seconda il Ministro della Giustizia Roberto Castelli.
Consideriamo la prima scena. E' la scena del braccio teso, del saluto tra uomini d'onore che si riconoscono come appartenenti alla stessa associazione. Un popolo cui, come dirà poi Paolo Di Canio, si deve rispetto per i suoi valori. Gli altri evidentemente, non hanno valori, o comunque se ne hanno esprimono dei disvalori. In ogni caso sono feccia, massa, moltitudine, numero di cui non si deve tener conto. L'importante è la fedeltà ai "propri".
Un gesto, che sancisce un patto di fedeltà - un giuramento" - ossia una scelta senza possibilità di revoca. In virtù di quel gesto quel nucleo di "duri e puri" è ora la garanzia politica più efficace di Paolo Di Canio. Semplicemente sono la sua "guardia del corpo".
Questa fedeltà costituisce un tratto importante. Infatti alla fine, al di là dei provvedimenti che il giudice sportivo, la Lega Calcio o chiunque sia preposto a intervenire disciplinarmente nei confronti di Paolo Di Canio, quella fedeltà costituirà il vero nodo importante e della vicenda. Il provvedimento disciplinare nei confronti di Paolo Di Canio, infatti, dirà chi governa il calcio al tavolo, ma non nel campo, e intorno allo stadio, semplicemente perché una falange di fedeli non si dissolve per decreto né si autoscioglie per malinconia. Indipendentemente dal contendere quel gesto al di là del suo giudizio politico dice questo a tutti coloro che intorno hanno assistito e a chi lo ha fischiato o respinto: "Noi facciamo a meno di voi". Siamo meglio di voi e non siamo disposti a patteggiare. Non per coerenza, ma perché non siamo in vendita. Non ci pieghiamo e non ci spezzeremo.
Ora consideriamo la seconda scena. Di nuovo il problema è l'assoluta non contrattazione tra ciò che si è e il complesso del pubblico a cui si deve rendere conto. Nella politica del Ministro della Giustizia al di là delle questioni di merito specifico c'è il giudizio sulla politica come luogo della non mediazione, della dimensione identitaria delle scelte che si fanno. Certo uno potrebbe considerare che la vicinanza dell'esito elettorale rende meno flessibili gli esponenti politici. Può essere. Ma questa inflessibilità non ha un carattere in sé elettoralisico. Si comunica la propria inflessibilità perché di nuovo il problema è dichiarare la propria autosufficienza. Anche in questo caso gli altri esistono solo come "impiccio" a cui rendere conto o con cui perdere tempo per convincerli delle proprie opinioni. Comunque esistono solo per essere ignorati o al più considerati un "disturbo".
Di nuovo il profilo è lo stesso in atto nel caso Di Canio, ovvero il patto di fedeltà con i "propri", di non averla data vinta agli altri. Di nuovo la questione è non mi piego, né mi spezzo. Un identico profilo mentale e culturale che dice che la stagione delle guerre ideologiche in Italia non è finita, che parlare di libertà ed essere democratici non appartiene necessariamente allo stesso lessico e che il richiamo della foresta e del branco è ancora l'asse su ci si snodano e si consolidano fortune pubbliche e carriere. E tanti saluti al confronto delle idee.
e di canio da belpietro l'avete visto ieri in tarda serata?? assolutamente IMPERDIBILE!!!!
il richiamo della foresta è un libro molto belo e veloce