Ha dovuto cedere anche i giocattoli
«Ho dovuto rinunciare a Repubblica e L'Espresso, ho dovuto vendere televisioni in Italia e all'estero, catene di giocattoli (sic), Blockbuster e persino la Standa, visto che le giunte rosse non mi davano più le licenze». Marco Travaglio commenta le fanfaluche televisive del Cavaliere, in questi giorni protagonista di un presenzialismo televisivo senza precedenti, quasi sempre intervistato da uno dei suoi dipendenti.
da l'Unità dell'11 gennaio 2006
Blockbuster Keaton
di Marco Travaglio
È largamente positivo il bilancio della prima giornata della tournèe del Cavalier Bellachioma nel variegato panorama televisivo italiano. Cioè nel cortile di casa sua. Per ottimizzare i tempi, il premier ha optato per una soluzione "a strascico" o - a giudicare dalla postura di conduttori e semiconduttori - "a tappeto". Il lunedì era tutto dedicato a La7, che in teoria sarebbe di Tronchetti Provera, ma in realtà è come se fosse sua. Lì infatti a intervistarlo ha trovato un suo stipendiato, Giuliano Ferrara. Poi, già che c'era, è sceso di due piani e s'è accomodato al Processo di Biscardi sulla poltroncina solitamente occupata dalla valletta, inverando così una celebre battuta di Enzo Biagi: "Se avesse una punta di tette, farebbe pure l'annunciatrice". Anche lì le domande erano affidate a un suo dipendente, Lamberto Sposini, che l'ha messo alle corde sul tema scottante degli schemi del Milan. E' stato l'unico accenno,peraltro involontario, al conflitto d'interessi. Viste le circostanze, in entrambi i programmi, pareva brutto interrogarlo sull'auto-condono di cui era appena giunta notizia da Milano: quello che gli ha consentito di bloccare ulteriori accertamenti del fisco sulle sue eventuali pendenze plurimilionarie con la modica cifra di 1850 euro, una bella botta ammortizzata in due comode rate. Avrebbe potuto parlarne più tardi D'Alema a "Porta a Porta", avendo la fortuna di trovarsi di fronte l'artefice di cotanto miracolo, Giulio Tremonti in persona, ma il programma era stato registrato al mattino quando la cosa era ancora ignota. Provvederà lo stesso Vespa, o Mimun, o magari Anna La Garofana, o più probabilmente Bonolis, quando Bellachioma passerà a visitarli. Nell'attesa, il premier ha potuto denunciare l'odioso privilegio che consente alle cooperative di "pagare meno tasse", veramente intollerabile agli occhi di chi non le paga per niente e poi fa il condono. Sacrosanta anche la denuncia del "collateralismo fra Unipol e Ds":del collateralismo fra Unipol e Fininvest (azionista della Hopa di Gnutti, a sua volta azionista di Unipol) non ha detto nulla, anche perché nessuno gliel'ha chiesto. Così come nessuno gli ha chiesto del collateralismo fra lui e Fiorani, alla cui scalata all'Antonveneta partecipava Mediolanum (di cui sono soci un certo Doris e un tal Berlusconi). Visto il poco tempo, si è deciso di sorvolare anche sui conti aperti e i soldi versati da Fiorani a beneficio di una mezza dozzina fra sottosegretari ed esponenti del suo partito e della sua maggioranza. Sarà per la prossima volta.
Quando persino Ferrara non riusciva più a trattenere le risa - a proposito del "regime" a base di espropri proletari che attende l'Italia in caso di vittoria di Prodi - Bellachioma ha sfoderato un colpo da maestro: la lista dei danni subìti dal suo gruppo a causa della politica: "Ho dovuto rinunciare a Repubblica e L'Espresso, ho dovuto vendere televisioni in Italia e all'estero, catene di giocattoli (sic), Blockbuster e persino la Standa, visto che le giunte rosse non mi davano più le licenze". Per la cronaca, Repubblica e l'Espresso li restituì al legittimo proprietario, De Benedetti, dopo che un giudice che prendeva soldi da Previti e Pacifico gli aveva consegnato su un piatto d'argento la Mondadori, annullando il celebre Lodo. Quanto alla Standa, portata al disastro dalla sua gestione e poi ceduta, le giunte rosse non c'entrano nulla: tant'è che nel '93 il Cavaliere inaugurò due ipermercati Standa proprio in due dei comuni più rossi d'Italia, Casalecchio sul Reno e Grugliasco, costruiti dalle odiate coop rosse (al reperimento dei siti si occupavano, in tandem, il compagno Greganti e il berlusconiano Brancher). Ma lui, come dice Ritanna, è sempre stato "un grandissimo imprenditore". Non grande: grandissimo.
Strepitoso anche il racconto dell'epurazione di Biagi, Santoro e Luttazzi, cacciati dalla Rai contro il suo parere: "Non sono stato io a penalizzare questi signori,ma l'autorità preposta alla verifica della par condicio". Ora, visto che l'Authority non ha mai addebitato alcunchè a Biagi e Luttazzi, mentre per Santoro comminò alla Rai una multa provvisoria (come per un'infinità di altri programmi Rai e Mediaset, mai chiusi) mesi dopo il diktat bulgaro e la chiusura di "Sciuscià", sarebbe interessante sapere di quale Authority parla Bellachioma. Si chiama per caso Agostino Saccà, quell'Authority?