Ma che ci fanno i Giornalisti?
di Roberto Cotroneo
L’altra sera a «Porta a Porta» il presidente del Consiglio e delle Televisioni Silvio Berlusconi pareva più lucido del solito. Nel senso che il trucco, quella roba coprente che - spiegano i truccatori televisivi - serve a toglierti quel lucido dalla faccia, era stato dato con molta parsimonia. Faccia a parte, i contenuti invece erano sempre i soliti. Ormai è un canone. Inizia con il minutaggio, come lo chiama lui, e dice che Fassino, D’Alema, Rutelli, Capezzone, e quant’altri, hanno occupato il video molto più di lui, e proprio per questo ora lui si deve rifare.
Di fronte a questa affermazione il conduttore “di turno”, è proprio il caso di definirlo in questo modo, cincischia qualcosa, come a dire, ma su Presidente cosa dice, e lui insiste. Dopo il minutaggio c'è l'armeggiare dei fogli, da cui consulta dati che paiono più indiscutibili dei dieci comandamenti, e infine quel modo di condurre i dibattiti e di dare le risposte che non porta a un contraddittorio o a un dialogo, ma è una prova di forza. Meglio: un comizio. Solo che da un po’ di tempo i comizi sono preparati sotto forma di dialogo. Dove da una parte c'è Berlusconi che parla senza fermarsi, dall'altra domande sparse, di quelle che si possono sempre aggirare.
Così dopo i programmi di intrattenimento, dopo il mesto Martelli, è toccato a Vespa ospitare il premier. Ora, ci sono una serie di cose interessanti da dire sulla puntata di Vespa, che non riguardano le opinioni, ma i fatti. Prima cosa interessante: ormai non si parla più di giornalisti o di conduttori, ma di “registi”. Il regista è il principe della trasmissione. Lui conduce, lui ha in mano il destino politico di Berlusconi. La sua inquadratura conta più di un Ponte sullo stretto di Messina realizzato in un mese soltanto. Il regista lo deve rendere meno calvo, meno rugoso, più alto (ma tanto sta seduto), più giovane e più simpatico. Perché tutto questo possa avere un plausibile successo Silvio Berlusconi va inquadrato da lontano. Il più lontano possibile, si potrebbe dire. E nel paradosso c'è come sempre una verità.
Non è la prima volta che Berlusconi va a «Porta a Porta», ma l'altro ieri il nervosismo era maggiore. Soprattutto tra i tecnici. Il lettore forse non sa che tutti gli ospiti di una trasmissione vanno, come si dice in termine tecnico, microfonati. Ti fanno spostare la giacca, ti mettono una scatoletta lampeggiante applicata alla cintura, dietro, che non si vede. Poi ti fanno passare un filo, spesso da dentro la camicia e ti applicano il microfono, piccolo e poco visibile sul bavero della giacca. Peccato però che quel microfono non funziona sempre. Soprattutto nei programmi dove ci sono i dibattiti. È il regista a renderlo via via attivo, appena qualcuno mostra di voler parlare, o viene interrogato dal conduttore. La cosa è comprensibile: si evita che in una trasmissione possano mettersi tutti a parlare contemporaneamente, con effetti incomprensibili. Quando capita poi, che c'è qualche ospite un po’ troppo fluviale, basta tenere il microfono spento e non inquadrarlo che scompare quasi dalla trasmissione.
Bene, con Berlusconi avviene l'opposto. Se si facesse il minutaggio delle inquadrature dedicate al premier, si scoprirebbe che in video c'era quasi soltanto lui. E che i giornalisti ospiti in studio non sarebbero stati in grado di interromperlo. E forse è stato meglio così. Perché non deve essere stato facile per nessuno dei tre. E soprattutto perché sui tre giornalisti c'è un mistero.
Primo mistero, che obbedisce a un postulato iniziale. Dato che il presidente del Consiglio dei Ministri (e delle Televisioni) è il presidente del Consiglio dei Ministri, non dovrebbero - come accade in tutti i paesi del mondo - essere in studio i direttori dei quattro giornali italiani più diffusi e più autorevoli? Non ci sogniamo che invitino «l'Unità», giornale verso il quale il premier non mostra una spiccata simpatia, ma non sarebbe degno di un ruolo istituzionale, avere là seduti Ezio Mauro, Paolo Mieli, Giulio Anselmi e Ferruccio De Bortoli? Pare di no. L'altro giorno c'erano tre ottimi colleghi. Nell'ordine: Maria Latella, che tra le altre cose ha scritto la biografia di Veronica Berlusconi. Poi c'era Mario Orfeo, che dirige un diffuso e glorioso giornale regionale, «Il Mattino». E infine c'era Augusto Minzolini, cronista spiritoso e intelligente, il maestro del retroscena politico, che lavora alla «Stampa». A parte il fatto che Minzolini è stato chiamato da Berlusconi, «Minzo», e che questo appellativo così intimo e confidenziale non deve aver fatto piacere a un giornalista di una testata come «La Stampa», autorevole e molto sabauda. E forse in quel momento Minzolini si è pentito di essere andato in quella trasmissione. Cosa penseranno d'ora in poi i lettori di un giornalista che il premier, anche in pubblico, chiama «Minzo»?
E che sensazione daranno ai telespettatori dei bravi giornalisti che non riescono neppure a fare la fatidica seconda domanda? Dopo la prima risposta, svicolante e per nulla soddisfacente, o imprecisa, non c'è mai nessuno che riesce a fare a Berlusconi la fatidica seconda domanda. Quella vera. Gli ottimi colleghi pensano di andare in trasmissione, sedersi e parlare in un programma di informazione, e poi si accorgono che è il regista che fa l'informazione, è lui che inquadra Berlusconi, è lui che li tiene fuori limitando la possibilità del contraddittorio. E allora? Allora cosa rimane?
Pensiamoci un attimo. Berlusconi negli ultimi tempi è andato dappertutto. Si è fatto intervistare da due giornalisti che fanno uno spettacolo di intrattenimento, e che il pubblico identifica come dei “conduttori”, termine ambiguo: Luca Giurato e Monica Maggioni. Poi si è fatto intervistare da un ex ministro e politico che i telespettatori identificano con tutto tranne che con il giornalismo: Claudio Martelli. Poi si è fatto intervistare da Paolo Bonolis. E giornalista, lo sappiamo bene, Bonolis non è. Poi ha fatto un faccia a faccia con Rutelli, affaticando persino uno come Mentana. Che doveva ricordargli appena gli era possibile che non stava lì per dare solo la parola a uno o all'altro. E infine il «Porta a Porta», con quei giornalisti che paiono invitati a una festa. «Minzo è venuto al cancello della mia villa alle Bermuda, mica potevo lasciarlo fuori». Figuriamoci, era anche in clima di vacanze. No che non poteva. Ma come potevano difendersi i tre giornalisti che stavano là seduti da un comportamento sempre un po’ troppo ammiccante, sempre un po’ troppo confidenziale, sempre un po’ troppo collusivo di Berlusconi? Il modo migliore per togliere peso e autorevolezza all'interlocutore, che non ha la possibilità di tracciare quella linea per terra che dice: di qua, oltre questo, non si passa.
Ed è proprio la linea per terra il punto su cui riflettere. Quella linea che dice: oltre non si va. Oltre c'è un mestiere che non si discute. Invece così non è, invece siamo sempre, come dice un vecchio detto, a pettinare le bambole. Chiacchiere, dati forniti a casaccio, cose che non stanno né in cielo e né in terra ma che nessuno riesce più a contestare, e non per incapacità, ma perché le trasmissioni sono strutturate in modo tale da non lasciare spazio a domande vere. Così nessuno riesce a mettere seriamente in dubbio le affermazioni di Berlusconi: un po’ perché si è stanchi di cercare di arginare uno che toglie il respiro a chiunque, un po’ perché quando stai per parlare non ti inquadra nessuno, un po’ perché a furia di rapporti poco formali si finisce per essere tutti sempre meno credibili.
Forse tutto questo è anche un po’ la conseguenza di un giornalismo di troppi retroscena, e di battute rubate dietro le mantovane e i tendoni della Camera dei Deputati, e quindi è anche un po’ colpa di un certo modo di fare i giornali di questi anni. Ma certo il risultato non piace a nessuno. Non piace che i colleghi non riescano a fare il loro mestiere come lo sanno fare. Ormai ci siamo rassegnati a vedere Berlusconi ovunque ci sia una telecamera accesa. Vorremmo vederlo almeno una volta in difficoltà, vorremmo vederlo una volta, una soltanto, per poco, pochissimo: silenzioso, zitto, incapace di fare una battuta, stupito di una domanda che non si aspetta. Chissà, la speranza è sempre l'ultima a morire.
Ma non è possibile chiedere che a uno dei dibattiti vengano invitati dei giornalisti esteri? ce ne saranno bene alcuni che parlano italiano.
io non assolvo proprio nessuno invece, dall'estero prendiamo solo le cose peggiori, america e inghilterra hanno una tradizione giornalistica di tutto rispetto, nei paesi normali i giornalisti fanno i giornalisti e i politici i politici, e un giornalista non deve essere simpatico ai piani alti del potere, quando uno di loro 'fa venire l'orticaria' ( bertinotti dixit) vuol dire che è bravo e che andrebbe tenuto in considerazione, non insultato dalla mattina alla sera.
oggi i giornalisti non fanno piu' domande, non mettono mai i politici davanti ai fatti, l'esempio di floris è lampante, davanti a chi asseriva che andreotti è stato assolto non ha avuto il coraggio di dire il contrario magari tirando fuori le carte processuali, dove si dice a chiare lettere che si tratta di prescrizione e non di assoluzione, oggi si fanno passare le opinioni come fatti e viceversa.
altro che assoluzione, ci vorrebbe un bel repulisti, cominciando da quel 'terrorista' dell'informazione di bruno vespa.
sono stati concordati 2 confronti Berlusconi-Prodi (metto prima berlusconi perchè in tv gioca in casa).
"Ci saranno altri due giornalisti scelti per sorteggio da un elenco proposto da ciascun partecipante", dice il corriere.
se prodi mettesse travaglio in quell'elenco... vabbè, sto sognando...
la mia terna è Biagi, Santoro e Travaglio, ma ovviamente Prodi vuole vincerle , le elezioni...:):):)
Prodi non può mettere chi gli pare. I giornalisti che partecipano a quegli incontri sono scelti dopo infinite trattative. Travaglio non sarà mai scelto.
e svegliatevi una buona volta.
il clima di intimidazione nelle redazioni è in atto (e in crescita) da anni, ora si arriva ai licenziamenti in tronco solo perchè si è copiato da internet (a fronte di espliciti ordini, verbali peraltro, dei direttori di copiare da internet)
i giornalisti sono da anni (da sempre, con alterne vicende) in ostaggio del potere, se prima la prigionia era dorata ora è aspra e pericolosa, grazie al cavaliere e, prima di lui, a massimino.
e non pensate agli "eroi" ('stocazzo, eroi), noti, visti e continuamente visibili. nelle redazioni ci sono migliaia di persone sconosciute continuamente epurate, minacciate, ricattate più o meno esplicitamente, terrorizzate da editori sempre più aggressivi e dediti esclusivamente al guadagno.
il ricorso massiccio agli stagisti, gente che quando copia neanche sa di farlo e che fa quaulque cosa gli venga detto perchè non sa valutare appieno origine e conseguenze degli ordini impartiti, rende gli editori sempre più insofferenti del personale a pagamento. che quindi risulta un peso per l'azienda.
non c'è un clima sano nelle aziende editoriali italiane. é anzi velenoso.
detto questo, anche durante il fascismo il giornalismo era dato per morto, e invece è ancora qua.
è uno dei tanti rami, il più flessibile e debole, sotto attacco del potere.
serve coscienza del panorama complessivo e a forza di travagliare, santorare e biagiare mi sa che il panorama s'è perso di vista.
rotafixa, il male non sta solo in cio' che dici tu.
che d'altronde aveva gia' scritto giorgio bocca con "il padrone in redazione".
il male e' anche nell'orrendo pressappochismo di cui e' intrisa la societa' italiana, la cultura italiana, il pensiero italiano.
abbiamo cio' che meritiamo, almeno finche' non cambieremo.
le mie critiche sono rivolte ai personalismi e ai leaderismi, come ho imparato a fare da quando ho scoperto l'esistenza del fascismo nel passato (passato?) del mio paese.
trovo irritante rivolgersi a leader, guru, guide di questo o quell'altro. malsopporto tifoserie, fossero anche di giornalisti o di segretari di partito.
trovo che avvendere incensi sotto le icone sia in ogni settore di attività umano sbagliato e primitivo.
ciò che voglio sottolineare è che il sistema italiano, fragile e sprovvisto di capacità critica (a tutti i livelli, in tutti i settori), di rispetto di sè e quindi dell'altro (a tutti i livelli e in tutti i settori), impaurito e ringhiante di paura non possa che produrre scarsa capacità critica, scarso coraggio nella lotta ai poteri, fulminea dedizione a chi comanda, chiunque sia. da qui (anche) una classe giornalistica poverella e paviduccia. ma vanno aiutati anche non cedendo agli imput che arrivano dai poteri.
è facile e remunerativo ironizzare sul sistema informativo itagliano: farlo sottrae consenso (i poveri di mente si allineano alle ironie e alle batture dei leader), aumentando lo spazio di manovra del potere.
oggi in prima pagina del manifesto c'è un ottimo articolo sulle strane "dimissioni" del direttore della "gazzetta dello sport", un giornale non propriamente politico. indovinate di che si parla? diritti tv sul calcio, juve&milan, mediaset, rcs e il patto di sindacato ecc ecc.
scusate i refusi, scrivo di getto
un'altra possibilità, comunque si chiamino questi professionisti, è che siano passati lentamente dal rango da "artigiani" a quello di "intellettuali". Con un profilo sociale molto diverso.
Carolina
quel che mi sorprende, tanto, è che ci sia gente che paga per leggere certa rumenta: i lettori del foglio, del giornale, del riformista e via andando, non si accorgono che vengono, tutti i giorni, sistmenticamente,presi per dei rimbecilliti?i giornalisti vengono mazzulati finchè i giornali che li mazzulano vendono. lasciamoli all'erstinzione, costruiamo nuove risorse, perchè si può, se non altro si deve.
Dani, però leggendo con calma i quotidiani (alcuni al luogo consono, s'intende :-D) c'è sempre maggior possibilità di farsi un'idea personale. Poi pensa che ci sono degli studiosi autorevoli che difendono perfino i tabloid come strumento di partecipazione democratica. Nel senso che alzano un po' di polvere da sotto il tappeto dei potenti, in qualche modo, anche loro. Io sono per tutti i tipi di mezzi, ma se possibile cumulativi, perché la pretesa di unicità secondo me è più un problema, almeno da un punto di vista filosofico, che non il fatto che in una data fase - della democrazia - i media tendano più o meno verso un pensum o "un altro".
Dopodiché ovviamente si hanno le proprie preferenze. Io certi non li sbircio proprio nemmeno.
Carolina
Caro,non ho mai detto di essere in favore della censura, nè di fare snobismo di classe, dico solo che il giornale, per esempio, è un coeacervo di controsensi e malafede pazzesco: un conto è difendere un idea, un conto prendere il lettore per fesso. i foglietti di pettegolezzi,di moda,di sport se divertono, ben vengano. ma ogni mattina, per es, alzo la tapparella e vedo un manifesto enorme che dice:"più tasse sui tuoi risparmi?no, grazie"e mi sento presa in giro, anche se fossi di destra mi sentirei così.perchè il ragionamento non quaglia:se non paghi le tasse allora hai più risparmi- e fin qui- però hai meno servizi quindi devi pagare di più quel che prima pagavi di meno.. Questo dico. i loro ragionamenti in genere non funzionano, i feltri di turno prendono il lettore per uno privo di capacità logiche, è semplicemente osceno.
Carol..Io nn insulterei "il luogo consono".. A volte è 1 fucina d'idee ;o)
Sia Dani che Giorgia: :-D :-D :-D
Carolina