Io non mi rassegno
di Marco De Luca
Sono un cittadino italiano di 59 anni. Laureato, borghese, idee progressiste non troppo drammaticamente contraddette, credo, dalla prassi di vita quotidiana. Soffro, come milioni di altri italiani mediamente rispettabili, curvo sotto il peso degli ultimi cinque anni di questo indescrivibile governo. Scrivo questa lettera a molti indirizzi (leader di centrosinistra, giornalisti battaglieri, associazioni) spinto dal convincimento che la vittoria elettorale sia a rischio altissimo di scippo. Non cerco uno sfogo, cerco una strategia di contrattacco.
La certezza della vittoria non è un’affermazione da veggente o da millantatore; è la semplice proiezione di una tendenza costante e progressivamente più netta fino alla verifica più recente, quella regionale, dopo la quale nulla di diverso è sopraggiunto politicamente - anzi! - che potesse invertirla. Cause molteplici e note hanno fatto salire in quota questo centrosinistra deludente del quale la diagnosi di Moretti (febbraio 2002) fu allora ed è tuttora fotografia impietosa e fedele; deludente soprattutto per due ragioni: le contrapposizioni interne che impediscono in modo evidente di proclamare un programma chiaro, condiviso, sottoscritto da tutti, fosse anche di un solo punto, dico uno (che ne so: aboliremo la «Moratti», o riscriveremo la riforma della giustizia) e la priorità - sempre - alla salvaguardia del peso del proprio partito nella coalizione e della propria corrente nel partito invece che a vincere, cioè ad abbattere questo governo, cioè a chiudere questo capitolo vergognoso della storia italiana. Le «notizie dall'Unione» sono, in questo senso, quotidiane docce gelate. Ma fa niente! Milioni di italiani - io fra questi - ci siamo sbattuti in tanti modi contro il disastro in cui eravamo precipitati e per questo centrosinistra che un po’ ci blandiva (noi, la famosa «società civile»), un po' ci sopportava, un po' ci mobilitava... E di forza, passione, indignazione, in questi anni ne abbiamo fatte sentire a fiumi, continuamente. Io, per dire, ero al Circo Massimo con Cofferati e a San Giovanni con Moretti, al corteo contro la guerra e a piazza del Popolo con Prodi. E qui a Milano, giù in piazza a ogni manifestazione. Piccole cose. Ma alla fine tutti insieme – voi politici più o meno grintosi, voi giornalisti più o meno incalzanti, voi associazioni più o meno mobilitanti, noi cani sciolti più o meno costanti e visibili – questo dannato carrozzone l'abbiamo tenuto insieme e portato. Sapendo che vincere le elezioni sarebbe stato niente di più che la conditio sine qua non.
Ma adesso avviene quello che sapevamo. Io sapevo, e non mi sento Pasolini per questo. Chiunque fosse dotato di un minimo di sensibilità politica o semplicemente umana, sapeva; da quella sera del 14-5-2001 sapevamo con angoscia che gli italiani avevano consegnato l'Italia a Berlusconi e che lui non gliel'avrebbe restituita. Che questo problema inedito e drammatico si sarebbe posto, per il quale non erano previsti né antidoti né rimedi istituzionali: Berlusconi avrebbe governato contro il Paese, il suo risicato vantaggio di partenza sarebbe stato rapidamente e largamente perduto, ma l'ultimo coerente atto «governativo» sarebbe stato il rifiuto a sottostare alle regole; a essere, nelle regole, sconfitto. La prova provata, se ce ne fosse bisogno, sta avvenendo sotto i nostri occhi: gli argini sono stati rotti cambiando d'imperio la legge elettorale; poi è seguito ciò cui stiamo assistendo e molto altro, molto peggio, seguirà.
Facendo ora il veggente dico che Berlusconi non mollerà Palazzo Chigi. Io non so se questo modello di governo sia regime o altro altrimenti definibile. Ma credo che agire per conquistare o riconquistare il potere spezzando in questo modo le regole della democrazia sia un tentativo di colpo di stato. Il sistema radiotelevisivo è occupato dispoticamente. L'insofferenza all'autorità del presidente della repubblica è sempre più esplicita, addirittura dichiarata, fino alla contestazione e alla trasgressione. Scorrettezze, abusi – acclarati o indagati – del capo del governo e dei suoi apostoli vengono ribaltati in profluvio e a casaccio su esponenti dell'opposizione, sul suo leader e sugli organi di informazione non omologati e non omologabili.
Cosa fare? Io chiedo se non siamo noi, i cittadini italiani democratici, a mancare da questa scena dove tutti gli altri attori sono ormai presenti per un copione dal brutto finale. Voi bravi politici ironizzate e vi indignate, compatite e replicate, smentite e sfidate: zero, roba d'altri tempi, diciamo di un mese fa; tutto irrimediabilmente politically correct, tutto ligio al regolamento condominiale. Voi bravi giornalisti, dopo disamine personologiche acute e nello stesso tempo stantie, esprimete chi argomentata preoccupazione – qualche volta allarme – chi commovente speranza – camuffata da previsione – che lui si bruci il dito, la mano, che si schianti sul traguardo, trafitto dalla sua violenza. «Inaudito», «senza precedenti», «disperato», «fuori controllo»... Queste e simili le leggo e le sento non da mesi, ma da anni. Cosa fare? Ci affidiamo alla speranza che il troppo stroppi (in linguaggio moderno, l'effetto-boomerang)? Ai sondaggi che per ora tengono? E ammesso e non concesso che continuino a «tenere», non li abbiamo già avuti, qua e là nel mondo, gli esempi di esiti che smentiscono i sondaggi? E soprattutto: non sappiamo che l'esibizione della violenza, della trasgressione, della sfida consapevole e sfrontata alla legge spaventa e seduce?
Nulla – non voi politici, non Ciampi, non voi giornalisti – riesce a essere d'ostacolo. E a me non va questa attesa surreale, aspettare il 10 aprile per sapere se dal giro della roulette russa, in mano a Berlusconi fino al 9 (ultimo comizio al seggio), parte il colpo e mi (ci) stende o se miracolosamente fa cilecca. Ammesso che questo 9 aprile ci sia. Chiedo, facendo di nuovo il veggente: abbiamo gli aggettivi, le frasi, gli editoriali pronti, i capelli in cui infilare le dita della costernazione per quando imbavaglierà il TG3 (le cogliete le prime avvisaglie?..)? E per quando, a metà marzo, a sondaggi eventualmente ancora sfavorevoli, decreterà il rinvio delle elezioni perché ci sarà «la fondata minaccia di atti volti alla destabilizzazione del Paese, in occasione dell'imminente consultazione elettorale, da parte di gruppi eversivi di cui non sono stati finora accertati collegamenti con frange delle forze politiche d'opposizione»?
Io non mi rassegno. Io non ci sto. Io chiedo: noi sudditi, di fronte a questo previsto attacco finale a diritti e a tutto un sistema democratico costituzionale sudati a sangue da generazioni, da noi stessi difesi contro mille insidie in misura proporzionale ai decenni delle nostre singole vite; noi possiamo solo stare a guardare, sperando che abbia ragione il versante d'opinione ottimista? stare ad aspettare che il 9-4, se dio vorrà (dio, non Dio), scatti il grilletto della roulette russa e ci sveli la nostra sorte?