La Via maestra al Caos
di Siegmund Ginzberg
Il colmo sarebbe che, a ormai quasi tre anni esatti dall’inizio dell'invasione che avrebbe dovuto «liberare» l’Iraq, riescano a far rimpiangere agli iracheni la tirannia di Saddam Hussein. La cosa più agghiacciante non è nemmeno il caos che rischia di trascinare il Paese in una guerra civile - questo lo sapevamo già - ma l’impressione di totale impotenza di fronte al crescere del caos. Il fatto che più nessuno sembri in grado di fermare questa spirale, pure prevedibile ed anticipata.
Non sono in grado di farlo gli americani. I loro 130.000 soldati bastavano e avanzavano per conquistare, si sono rivelati insufficienti ad assicurare un minimo di ordine per gli occupanti, non avrebbero la minima possibilità di intervenire efficacemente in una guerra civile di religione, tra sciiti e sunniti. E del resto non ci pensano nemmeno: si sa che da qualche tempo la preoccupazione principale di Washington non è più garantire una stabilità duratura in Iraq, ma come ritirare i propri soldati, o trincerarli in basi imprendibili, senza più doversi curare più del necessario di quel che gli succede intorno. Non si capisce più nemmeno se la stabilità, la preservazione dell'unità dell'Iraq, la sua «viabilità» democratica come dicono, sia ancora un fine o solo la scusa per potersene andare il prima possibile.
L'ambasciatore Usa, Zalmay Khalilzad sta facendo del suo meglio per far da paciere, dispensare buoni consigli. Ma nessuno sembra più starlo a sentire. Appena il giorno prima dell'attentato alla moschea d'oro di Samara, che ha scatenato questa nuova apparentemente inarrestabile spirale di violenze, aveva insistito a perorare la formazione di un governo di unità nazionale che non escludesse in sunniti, e per l'esclusione dal governo, o almeno dai ministeri dell'interno e della difesa, degli esponenti sciiti legati a milizie di parte o coinvolti nelle torture e negli squadroni della morte punitivi contro i sunniti. Ha persino minacciato di tagliare i fondi se non lo ascoltavano. Ma è stata vista come un'ingerenza, dagli uni come dagli altri. Se non è stato questo a scatenare la crisi, probabilmente ha pesato nella scelta del momento da parte di chi ha acceso la miccia. La maledizione è che a questo punto, qualunque cosa facciano o dicano gli americani, anche le più sacrosante, la tendenza è che gli venga attribuita la colpa di tutto quello che va male.
Erano gli ultimi a poter volere che saltasse in aria una delle moschee più sacre agli sciiti. Ma le folle inferocite accorse sulle macerie scandivano in coro che l'attentato sarebbe stato tutto «colpa degli americani». Al minimo, li accusano di non aver fatto nulla, o non aver fatto abbastanza per difendere i luoghi santi. I litiganti se la prendono con chi li vorrebbe separare. I sunniti accusano gli Stati uniti di non fare abbastanza per difenderli dalle vendette degli sciiti. Gli sciiti cominciano a parlare addirittura di un «secondo tradimento» da parte degli americani, dopo quello del 1991, quando fu incoraggiata la rivolta sciita e poi abbandonata ad una spietata repressione da parte di Saddam.
Più terrificante ancora è che, per la prima volta, sembri essere divenuta inascoltata la voce calmieratrice del grande ayatollah Ali Sistani. L'ultraottantenne religioso si era precipitato subito dopo l'attentato di Samara in televisione a perorare la calma. Ma poi aveva aggiunto che se gli altri (il governo, gli americani) non riescono a proteggere le moschee sciite, «lo faranno i fedeli, con l'aiuto di Allah».
Aveva anche, in una dichiarazione successiva, categoricamente proibito ritorsioni ed attacchi contro le moschee sunnite. Ma il suo invito non ha impedito che ne fossero attaccate, bombardate coi razzi e incendiate a decine.
Sono stati uccisi gli imam di almeno tre moschee sunnite di Baghdad, Al Sabar, Al Yaman, al Rashdi. Un quarto, lo sceicco Abdul Qadir Sabih Nori della moschea di Amjed al-Zahawi è stato rapito da miliziani armati. Quelle distrutte sono 27 nella sola capitale. Al che - ed anche questo è la prima volta che succede - l'Associazione dei religiosi sunniti ha additato la responsabilità di «certe autorità sciite» per aver incoraggiato le manifestazioni. Non hanno nominato Sistani, ma tutti hanno inteso che, per la prima volta, ce l'avevano con lui.
Eppure, se la spirale di violenza era stata finora evitata, ci si era fermato tante volte sull'orlo del baratro di una guerra civile di tutti contro tutti, il merito non era stato certo della presenza delle truppe occupanti, bensì della accorta moderazione dell'anziano ayatollah. Ogni volta che scoppiavano bombe massacrando sciiti, o rischiava di scatenarsi la spirale delle vendette e delle ritorsioni, era stato lui a proibirle con le sue fatwa. Ci hanno raccontato di quando i capi di un clan sciita, che avevano subito vittime in un attacco ad opera di bande sunnite contro una festa nuziale si erano rivolti a lui per chiedergli il permesso di intraprendere una spedizione punitiva. «Vi proibisco di farlo, non lo autorizzerei nemmeno se ammazzassero i miei figli, non dovete farlo nemmeno se ammazzano me, l'unità dell'Iraq è più santa di qualunque vendetta», gli aveva risposto. La cosa aveva retto sinora, appesa ad un filo. Ma cosa può succedere se anche questo baluardo si rivela troppo facile, se finiscono per non ascoltarlo più?
Proseguono, nell'impotenza generale massacri che chiamano altri massacri. La conta dei cadaveri ieri superava il centinaio. Ciascuno sembra volersi far giustizia da sé. Le forze dell'ordine del governo ufficiale si rivelano impotenti di fronte al montare della furia, o stanno a guardare. Quando non sono loro a soffiare sul fuoco. Sono stati i poliziotti a linciare nel carcere di Bassora una decina di «arabi stranieri» che vi erano detenuti come sospetti di terrorismo. Nessuno ha voluto o potuto muovere un dito quando a Samarra un gruppo di miliziani ha fatto scendere dalle auto e ucciso una cinquantina di sunniti che avevano appena partecipato ad una manifestazione di protesta «bipartisan», sunnita e sciita, contro l'attentato alla moschea.
Nel momento in cui gli iracheni, per la prima volta sunniti compresi, erano andati in massa a votare, era sembrato che si affacciasse la possibilità di passare dalle violenze alla politica, anche grazie al fatto che nessuno, nemmeno la coalizione di formazioni sciite, aveva ottenuto una maggioranza che poteva essere vista come imposizione prepotente sugli altri. Ma ieri i sunniti hanno rotto le trattative in corso con sciiti e curdi per la formazione del nuovo governo, «finché non saranno portati dinanzi alla giustizia i responsabili degli attacchi contro i sunniti».
Già chiuso l'esile spiraglio che sembrava essersi aperto? Persa l'ultima occasione? Forse no. Ma se la spirale non si ferma il rischio è che finiscano dritti verso la guerra civile e verso la spartizione dell’Iraq tra sciiti, sunniti e curdi. Con conseguenze spaventose, da far rimpiangere Saddam, e non solo agli iracheni.
L'unico paese "libero e pacificato" con il coprifuoco anche diurno. Attendo solo il sedicente opinionista che esterni sul fatto che sia un'usanza irachena, acciderbolina come sono strani questi arabi.
Carolina
Ci pensavo proprio ieri. Credo che il tasso di mortalità in quel paese e largamente cresciuto da quando è caduto Saddam. E questo ci riporta al vecchio problema del meno peggio. Insomma è giusto esportare un modo di pensare a cannonate e sperare arrogantemente che sia un sistema di valori universale? In più ormai sappiamo bene che la caduta di un potere forte acutizza gli scontri interetnici (vedi la caduta del URSS)
Questa cosa non è stata ancora afferrata bene dagli USA. Strano.
ellroy, io credo che gli USA ( o almeno una parte di coloro che comandano) conoscano perfettamente le possibili conseguenze della caduta del potere e cerchino di utilizzarle a dovere
io credo che gli scontri interetnici siano voluti e preseguiti dagli usa per mezzo di gruppi terroristici che non necessariamente sanno per chi lavorano.
probabile che all'interno dell'amministrazione usa ci sia chi vuole accendere un fuoco che faccia precipitare la situazione, coinvolga gli sciti e quindi l'iran.
la cecita' di tale politica e' figlia della follia oscurantista e fondamentalista che impregna la casa bianca di questi tempi. oltre che figlia di una 'sana' voglia di arraffare petrolio da parte di quei poteri economici che sono i veri comandanti del vapore. altro che il pupazzo bush!
...tonii graaande teoria! ma sei un Einstein davvero! Manda immediatamente un comunicato stampa a tutti i giornali del pianeta e divulga la tua inquietante scoperta!
PS: ti proponiamo per il Pulitzer?! eh? daaai!
Certo che voi di sinistra siete a dir poco straordinari...come si può arrivare a dire di rimpiangere Saddam? E come dire che i russi rimpiangono Stalin,i tedeschi Hitler e gli italiani Mussolini...
Non dico che rimpiango Saddam. Dico solo che dati alla mano la situazione i Iraq è peggiorata..
Manca poco. Davvero poco. Un paio di settimane e scoccherà l’anniversario numero TRE dell’ intervento americano – conosciuto meglio come guerra- in Iraq.
E, avvicinandoci a quella data, scopriamo che sta esplodendo una vera e propria guerra civile.
Con coprifuochi diurni annessi.
Quelli della capitale irachena sono giorni tragici, e la loro eco si fa sentire forte qui nel nostro paese.
Un escalation che negli ultimi mesi è esplosa a causa di una politica non chiara e certa del ritiro delle truppe, dello scontro di civiltà-religione provocato, a modo nostro, dalle magliette cretine da superman di Calderoli. La situazione è precaria e tanto preoccupante al punto che c’è chi ci mette in guardia da possibili attentati terroristici nello stivale.
Nel mese di dicembre del 2004 l’elezioni “democratiche” dovevano aver chiuso una disputa e un processo che, iniziato come liberazione di un popolo costretto ad un regime dittatoriale, si era trasformato pian piano nell’occupazione dei territori e la continua presenza di eserciti stranieri.
Quelle elezioni hanno ufficializzato la spaccatura all’interno del paese, e messo in contrasto i due movimenti religiosi principali, gli sciiti e i sunniti.
Le conseguenze si vedono oggi.
All’indomani della distruzione della moschea di Samarra, lo scontro nella città di Baghdad ha toccato livelli altissimi e nei giorni precedenti sono morti 150 persone in attacchi terroristici e vera e propria guerra armata.
La politica internazionale passa inevitabilmente per la capitale dello stato iracheno in questi giorni.
I legami che sono emersi tra Iraq e Iran e tra Iraq e stato di Palestina pongono l’estrema attenzione sulle dinamiche medio-orientali.
Ci vorrebbe un’analisi opportuna dei grandi leader del mondo per aiutare a risolvere la terribile tela che è stata tesa ultimamente. Bisognerebbe domandarsi quanto questa situazione ha a che fare proprio con la guerra di liberazione-occupazione americana…
Intanto il presidente Bush, tra una partita di golf e l’altra, si dichiara ottimista,
e in Italia, il ministro della Difesa,Antonio Martino, annuncia che non ci sarà nessun cambiamento sulla tabella di rientro dei nostri soldati impegnati in Iraq.
Ma come?! Non ho sentito bene?! Fino a ieri lo slogan del governo era “ saremo lì fin quando le autorità irachene lo vorranno”, e poi ha annunciato il ritiro a partire dal giugno 2006, e mai come ora che serve un aiuto a stabilizzare un paese in crisi, ve ne volete andare? E gli iracheni? E le autorità ?
Sotto le bombe, nascosti nei bunker e nei rifugi, la popolazione irachena (con la paura di scoprire le introvabili armi di distruzione di massa…) non sa più se benedire o maledire il NOVE APRILE…
Certo che voi di sinistra siete a dir poco straordinari...come si può arrivare a dire di rimpiangere Saddam? E come dire che i russi rimpiangono Stalin,i tedeschi Hitler e gli italiani Mussolini...
Lo chiederei a quelle centinaia di migliaia di morti se stavano meglio prima o adesso