Perchè le critiche di Turci ai DS potessero avere credito avrebbero dovuto essere fatte ben prima della notizia che dopo 4 legislature non sarebbe più stato ricandidato.
Alberto, voglio costruttivamente e civilmente polemizzare con te. Mi piace molto questo spazio e apprezzo l'intelligenza e la sapidità dei tuoi commenti, come degli altri frequentatori. Però c'è un punto sul quale con te proprio non mi trovo. Ogni qual volta chiami in causa il vecchio Partito Comunista Italiano i tuoi toni sono enfatici e tendi ad esaltarlo in maniera, sia detto senza cattiveria, a mio parere acritica. Mi spiego: condivido il ragionamento di Turci e l'idea di postarlo. Non mi piace il titolo che hai scelto. Scrivere "Quello che fu un gran partito" crea a mio giudizio uno scarto tra Pci e Ds che è vero fino ad un certo punto. Non voglio giustificare i dalemi e i fassini, gnomi politici rispetto a chi li ha preceduti. Ma non credi che le timidezze, le incertezze, l'incapacità di prendere decisioni radicali dell'attuale dirigenza diessina rientri in modo evidente nell'impostazione tattica scelta dai vertici comunisti dal 1945 in poi? Il togliattismo deteriore (fermo restando che il suo ispiratore ha al suo attivo grandi meriti che non sto qui ad elencare) è stata la scuola di formazione di chi ha preso il suo posto, prima al Bottegone e poi al Botteghino. Necessità di doversi accreditare presso i settori moderati quando non conservatori, scarsa capacità di difendere e assumere decisioni connotanti una vera identità di sinistra, atteggiamento tutto sommato benevolo nei confronti degli Usa (vedi le parole di Berlinguer sulla Nato), criminilizzazione e supponenza nei confronti di chi si pone alla sinistra del Partito, bassissima considerazione delle minoranze. Il Pci per certi versi è stato grande, ma aveva al suo interno già i germi che hanno generato i deprecabili vizi di oggi. E mi pare che le parole di Turci, non proprio un barricadero, lo confermino. Aspetto con grande interesse la tua risposta e ti saluto.
mangoni: innanzitutto grazie del commento. Quello che tu lanci è il tipo di dibattito che mi piacerebbe vedeer crescere sotto ogni post. E' un sogno, ma partecipazioni come la tua lo fanno diventare un po' reale.
Vengo al merito.
Sia chiaro: sono consapevole che il PCI non fu perfetto. D'altra parte un partito democratico non lo può essere. Sono anche consapevole che il PCI portasse in sé i germi del declino che porta dal Bottegone al Botteghino, fino al punto più basso di un segretario che mette in dubbio Berlinguer per rivalutare il tangentaro Craxi assegnandogli l'ormai inflazionata patente di "riformista".
Però ci sono due aspetti che rendono abissale la differenza di giudizio tra PCI e DS:
1) il momento storico complesso. Negli anni '70 il PCI dovette combattere una battaglia epica per resistere alla strategia di tensione e terrorismo. Certo, la presa di distanza dal '68 (che tra l'altro si ripete oggi, con segretari e segretarietti che storcono il naso su "girotondi" che ormai esistono solo nelle loro intelligenze limitate) e la perdita di dialogo con la sinistra dura e pura fu un errore politico madornale. Ma è altrettanto vero che il PCI seppe resistere - prendendo decisioni discutibili, ma senza venire meno alla propria natura politica - alle aggressioni del potere mafioso-democristiano.
Oggi i DS cercano di tenersi in vita spostandosi a destra (la storiella del Riformista, per quanto marginale, è esemplare) e rinnegando ogni valore di una storia che ormai non è più loro.
2) comunque, il PCI, nelle sue contraddizioni, seppe avere momenti politici e morali altissimi. Enrico Berlinguer fu uomo incorruttibile, solido, sincero, sano, rispettoso, parco. E talin erano tanti comunisti di quell'epoca. Fecero errori, ma sempre nella certezza di fare il meglio e nel rispetto degli elettori. Oggi abbiamo un presidente che ancora non ha avuto dignità e decenza di darsi dell'idiota e cambiare mestiere per le sciagurate vicende di cui fu protagonista, dalla caduta di Prodi alla bicamerale.
Mi sembra che ci sia molto da rimpiangere, no?
Grazie delle belle parole, mi fanno davvero tanto piacere. Veniamo al dunque: quello che tu dici è vero, le contingenze con cui dovette confrontarsi il Pci furono gravi e urgenti e certe scelte furono dettate dalla necessità di "restare a galla". Però, resta come tratto comune una tendenza a sbagliare proprio quando ci può essere la svolta. Un esempio: amministrative del 1975 (non ero nato ma mi sono informato), il Pci vola al 33 e passa per cento, undici milioni di vota e nel paese si crea un'aspettativa straordinaria che coinvolge anche settori della sinistra cosiddetta extraparlamentare. Non c'è dubbio che i fatti del Cile abbiano traumatizzato l'intera sinistra mondiale, ma la scelta del compromesso storico avrà effetti devastanti sul movimento operaio e progressista italiano. Quello fu un gravissimo errore, a mio parere, fu forse l'ultima grande occasione della sinistra italiana di proporsi autonomamente come forza di governo. Nel giro di pochi anni, il disastro: morte di Moro, riflusso, Craxi, isolamento del Pci soprattutto nel post-Berlinguer, totale incapacità di cogliere la portata degli avvenimenti dell'Est europeo (perchè si era moderati in Italia ma filosovietici all'estero), nascita del Pds e farsa criminale del berlusconismo che va a pescare insieme agli alleati anche tra i ceti popolari demotivati e disillusi dai partiti di sinistra. Non che la colpa sia tutta da addebbitare al gruppo dirigente che fece quella scelta, ovvio, però la delusione di quelle aspettative sorte ormai più di 30 anni fa ha contribuito non poco a logorare dal suo stesso interno l'intero movimento operaio e democratico. Se parliamo della Bicamerale, hai perfettamente ragione. E forse è vero come dici tu: quegli errori furono fatti in buona fede e c'era alla base una riflessione etica di altra risma. Però quel modo di ragionare, quella tattica incerta, quella necessità di legittimarsi è rimasta come un marchio indelebile. Naturale che dirigenti di statura più bassa dei precedenti l'abbiano declinata in operazioni di basso, quando non ridicolo, cabotaggio. Come dire: l'attuale mediocrità poggia su basi senz'altro più nobili, ma ugualmente da rimuovere. Perchè forse il punto è proprio questo e la luce si rivedrà quando la sinistra sarà capace di riorganizzarsi a prescindere dal Botteghino, quando questi dirigenti saranno in una condizione paritaria rispetto a tutte le altre intelligenze del paese. La dico tutta: quando la sinistra avrà una dirigenza forte, saldamente ancorata agli ideali socialisti e, perchè no, comunisti, intransigente ma non ottusa, autocritica, purchè formatasi al di fuori del Pci-Pds-Ds (come il nano malefico).
Saluti neocomunisti
Errata corrige: volevo dire "come dice il nano malefico", ma penso che si capisca lo stesso. Comunque, forza, cosa avete da dire voialtri frequentatori?
Per quei pochi rudimenti di storia del PCI che ho, non sarei così severo nel giudizio sul compromesso storico berlingueriano, mangoni.
Da una parte il distacco dal pcus era assolutamente doveroso, ed è ciò che oggi ci permette di sorridere quando i berluscones se ne escono con i crimini staliniani come ottima ragione per non votare prodi...
Dall'altra la ricerca del dialogo con la DC, per lo meno con la sua parte "perbene" (penso appunto a Moro), non va vista come una resa al nemico, ma come una presa di coscienza della necessità di costruire una base solida, in cui le varie anime democratiche del paese si potessero riconoscere. E per questo era necessario una certa trasversalità, ovviamente senza cedere a compromessi inaccettabili. E infatti andò tutto a monte, Andreotti che scompagina all'ultimo momento la formazione di governo concordata, la vicenda Moro, e tutto ciò che ne seguì.
E qui, come sappiamo, i misteri sono davvero tanti, teorie del complotto ce ne sono a dozzine, e forse non sono nemmeno tanto lontane dalla realtà dei fatti.