Così fan Tutti
di Siegmund Ginzberg
Fanno gli scandalizzati. Ma dov’è lo scandalo? Nell’«americanata»? Nel fatto che un grande giornale italiano ha deciso di fare quel che fanno quasi tutti i giornali americani e buona parte di quelli europei (abitualmente in Francia ed Inghilterra, meno in Germania)? O nel fatto che un giornale per tradizione “moderato” - anzi si potrebbe dire per vocazione storica “filo-governativo”, chiunque sia al governo, sostenga che preferisce che a governare sia qualcun altro? Nel fatto che a differenza delle “dichiarazioni di voto” del passato - ricordate il «votare Dc turandosi il naso» di Indro Montanelli? - stavolta sia netta, senza se, ma, purtroppo? («Non c’è alternativa, purtroppo» è il titolo del ritaglio che abbiamo sotto gli occhi dell’ultima «dichiarazione di voto» dell’Economist per Tony Blair).
Gridano perché temono che gli sposti voti, o per una ragione più profonda, perché una presa di posizione così netta potrebbe avere un effetto simile a quello del bambino che dice «il re è nudo»? Sulla prima cosa li si potrebbe rassicurare. Tutti gli studi che si sono fatti negli ultimi anni in America sull’effetto degli “endorsement”, le dichiarazioni “editoriali” di voto dei giornali Usa alle elezioni presidenziali e nazionali (diverso il discorso per quelle locali), dicono che è minimo. Un effetto «tanto insignificante che si fa fatica a individuarlo», è il parere della stragrande maggioranza dei politologi. La proporzione degli elettori che dicono di essersi fatti influenzare decisivamente dalla presa di posizione editoriale del proprio giornale preferito non supera l’1 per cento. E di questi, buona parte non è nemmeno così sicuro di quale dei candidati sia stato “endorsed” dal giornale che legge abitualmente. Una ricerca del Pew Center sulle presidenziali Usa del 2004 concludeva non solo che «gli endorsement dei giornali hanno avuto meno influenza di quanto avevano nelle elezioni precedenti», ma che hanno finito per «dissuadere almeno altrettanti elettori americani di quanti hanno persuaso». Il mezzo che sposta davvero voti è la televisione. Ma curiosamente le tv non fanno dichiarazioni di voto. Si atteggiano ad imparziali, anche quando non lo sono affatto.
Un giornale in genere non ha bisogno di una dichiarazione ufficiale di voto per esprimere le proprie opinioni. Lo fa già con la sua linea editoriale, che ben raramente è “neutra”. E comunque la cosa che conta è la qualità dell’argomentazione in base alla quale si dichiara la scelta elettorale, mai il solo fatto di fare una scelta. In America tre dei sei giornali di maggiore tiratura - Usa Today, Wall Street Journal,Los Angeles Times - hanno la tradizione di non pronunciarsi editorialmente per l’uno o l’altro dei candidati alla Casa Bianca. Ma nessuno ha dubbi su da che parte stiano: i primi due “votano” quotidianamente a destra. Il New York Times “vota” democratico, e lo dice. Il Washington Post talvolta si è dichiarato equidistante: nel 1988 la “dichiarazione” editoriale concluse che non era in grado di decidere tra Bush padre e Michael Dukakis e che se i due partiti non erano stati in grado di proporre qualcosa di meglio, non gli restava che tirarsi fuori da ogni endorsement. Nel 2004 avevano scelto il perdente John Kerry.
Kerry forse aveva più endorsements sulla carta stampata di George W. Bush. Bush aveva le tv di Murdoch e la pubblicità su tutte le altre. Gli “esperti” americani litigano molto sulla pretesa parzialità dei media stampati a favore dei liberal (anche se c’è chi documenta una pervasiva parzialità, almeno da un edeccnio a questa parte nel senso opposto). Dipende anche dal come si calcola. Le analisi di Editor & Publisher mostrano che dal 1968 in poi il numero dei quotidiani che hanno dichiarato il voto per il candidato repubblicano, di destra, è stato costantemente superiore al numero di quelli che si sono dichiarati per il democratico. Con una sola eccezione non contestata: quando nel 1992 Bill Clinton ebbe più endorsements di Bush padre. Se invece si prende in considerazione la sola stampa “d’elite”, la cosa che salta agli occhi è che nelle ultime sette presidenziali i 20 giornali più importanti che si sono pronunciati lo hanno fatto per il candidato che poi ha vinto. Con due sole eccezioni: Gore nel 2000 (in effetti aveva avuto più voti di Bush, anche se aveva perso) e, forse, Kerry nel 2004. Ma non significa affatto che sia effetto del loro endorsement. Qualche commentatore ha un’ipotesi diversa: che le direzioni dei giornali americani abbiano “scommesso sul vincitore”, più che pronunciarsi in base a preferenze ideologiche. Insomma che abbiano accompagnato, piuttosto che incoraggiato, un orientamento che percepivano già come dominante nell'orientamento dei propri lettori. Che sia questa la vera, inconfessabile, ragione del panico e della concitazione sulla dichiarazione di voto del Corriere?
Guardate cosa capita di leggere sul sito del partito di Banana. Sono cose da pazzi!
"Attenzione, sembra il piano di rinascita nazionale di Gelli: i giudici, i banchieri alle primarie, la Confindustria, i sindacati e infine il sancta santorum cioè il Corsera
Paolo 69, Spazio Azzurro, 8/03/2006"
http://www.forza-italia.it/
Ma come si può imbastire un serio confronto politico con gente che riesce ad affermare certe castronate? Cosa ci possiamo aspettare per il futuro? Diranno forse che tra il 1922 ed il 1945 ci fu in Italia una feroce dittatura comunista che gli Angloamericani provvidero ad eliminare? MA, dico io!
comunque oggi Libero e Giornale gongolano scrivendo a tutta prima pagina che il corsera ha perso il 20% delle copie a Milano e il 5-6% a Roma...
Sono sempre di più delle copie che vendono i due "giornali" quotidianamente...
Vorrei fare la classica voce fuori dal coro. Io pur essendo di sinistra e pur sostenendo l'Unione e pur odiando il portatore nano, non sono d'accordo con l'uscita di Mieli nell'editoriale. E spiego perchè:
1. Ritengo che un giornale che, come giustamente ricordato da Ginzberg, può palesare il suo punto di vista con la linea editoriale (ne abbiamo esempi ovunque) non debba entrare nella lotta politica prendendone parte ma raccontando e fornendo spunti di riflessione a chi legge il giornale. Il discorso vale soprattutto per il corriere della sera che è il quotidiano più venduto e teoricamente, ma solo teoricamente, più oggettivo (anche se "leggermente" filogovernativo).
2. Perchè dare ragione a Berlusconi? che continua la litania sul fatto che tutti i giornali sono contro di lui? Non è che un uscita di questo genere possa portare più mali che beni alle sorti dell'Unione?
3. Parlo da studioso di politica economica e forse un po' da tecnico e sognatore. Mi piacerebbe che il maggior giornale italiano riportasse notizie e proponesse domande e lasciasse al lettore organizzare il proprio pensiero cercando di influenzarlo il meno possibile. Lo so che lo stile della campagna elettorale è tutt'altro che questo ma a mio modestissimo avviso la differenza tra l'Unione e la destra dovrebbe stare proprio nel non scendere alle bassezze di quest'ultima, non nell'utilizzare i suoi metodi comunicativi. Io credo in questo tipo di democrazia. Scusate se sogno....
Ricordate che "...ognuno è libero di pensare ciò che scrive il suo giornale". Questo rende purtoppo impossibile confezionare in prodotto obiettivo, perchè non sarebbe riconoscibile da alcun target. Finchè i giornali dovremo comprarli.......sarà così. Spero anch'io (ingenuamente) che un giorno accada quello che sogna Alex, ma lo credo possibile solo su internet, non in edicola, nè in TV.
Mirabili le riflessioni di Siegmund Ginzberg.
Una domanda, ma non a lui: Il Corsera ha confermato il calo di vendite ?
Libertè, egalitè, fraternitè !
Che modo di ragionare...!
una cosa è buona se tanta...
vero populismo...!
Spero che il popolo Italiano
dia un prova di maturità politica...
scrollandosi da dosso questo modo di intendere
la politica e l'amministrazione della cosa pubblica...
Per il mantenimento dell'Unità nazionale, delle regole fissate dalla nostra Costituzione e dell'Indipendenza dei tre poteri costituzionali,
base per una vera Democrazia.