Il Boss raccoglie il testimone del folk
di Alberto Crespi
Bruce Springsteen ha tutto il diritto di non saperlo (e se invece lo sapesse?), ma il fatto che il suo nuovo disco esca in tutto il mondo il 25 aprile è stupendo. Perché non è un disco qualsiasi: si intitola We Shall Overcome °© The Seeger Sessions ed è un disco di cover, ovvero di versioni di canzoni non scritte da Bruce. È un disco dedicato a Pete Seeger, e contiene pezzi resi famosi da questo grande cantastorie sul quale varrà la pena di dire due parole. Perché tutti sappiamo chi è Bruce Springsteen, ma non tutti siamo obbligati a ricordarci chi è Pete Seeger, e già il fatto che Bruce ci spinga a questo lavorìo di memoria racchiude il senso profondo di questo nuovo disco. Pete Seeger è l’anima del folk militante americano. Il 3 maggio compirà 87 anni e il disco di Bruce sarà un bellissimo regalo.
Nato nel 1919, è stato compagno di strada, e di lotta, di Woody Guthrie, ma viene da un contesto sociale completamente diverso: Seeger va considerato un intellettuale «prestato» al folk. Ha studiato a Harvard (anche se, come Bill Gates, non si è laureato), ha lavorato alla Library of Congress di Washington, è un ricercatore di musica folk come Alan Lomax. Nel 1940 formò un gruppo insieme a Guthrie e girò tutta l’America cantando dovunque ci fosse gente che lottava per i propri diritti: scioperi, manifestazioni, «hoovervilles» (erano le baraccopoli nate durante la Depressione: avevano preso il nome dal presidente Hoover). Nel 1942 entrò nell’esercito e fece la guerra, usandola come occasione per raccogliere centinaia di «soldier songs», canzoni militari. Nel 1955 venne chiamato a testimoniare davanti al famigerato comitato McCarthy, durante la caccia alle streghe. Si offrì, a mo’ di testimonianza, di cantar loro una canzone: quelli non la presero bene (i fascisti, chissà perché, hanno poco senso dell’umorismo, in America come in Italia) e lo condannarono a un anno di galera per oltraggio alla corte.
È considerato un virtuoso del banjo, uno degli strumenti classici del folk americano di origine irlandese: e fu proprio un concerto di banjo che lo stregò a 15 anni, convincendolo a diventare un musicista. La fama di Pete Seeger è dovuta più alle sue qualità di interprete, che di autore: una sua cover di Guantanamera, celeberrima canzone cubana quanto mai attuale (il titolo significa «ragazza di Guantanamo», ma cosa sia Guantanamo lo sappiamo, ahinoi, benissimo), è rimasta indimenticabile, così come le sue esecuzioni dell’inno pacifista We Shall Overcome.
È curioso che Springsteen dedichi un album di cover a un artista che a sua volta ha cantato soprattutto cover (di brani popolari, d’autore spesso ignoto) nella sua carriera, ma la cosa è giusta, perfino simbolica: dare a un album, nel 2006, il titolo di Seeger sessions significa rendere omaggio non solo al grande vecchio Pete, ma a tutta la secolare tradizione della musica popolare americana. È quanto Springsteen fa da anni. Soprattutto agli inizi della carriera, i suoi concerti erano, per i giovani americani ed europei, delle autentiche «ripetizioni» di storia della musica. Grazie a lui, migliaia di rockettari degli anni ’70 e ’80 hanno scoperto l’esistenza di Woody Guthrie, dei Creedence, di grandi artisti neri come Wilson Pickett e Sly Stone, di cantanti bianchi come Roy Orbison. È rimasta celebre l’improvvisata fatta alla E Street Band quando Bruce, durante un concerto, annunciò all’improvviso l’esecuzione di Midnight Hour: non l’avevano mai nemmeno provata, ma era giunta in quel momento mezzanotte e a Bruce sembrò la cosa giusta da fare.
Memorabile il suo racconto dell’incontro con Chuck Berry, che Bruce e i suoi amichetti di gioventù accompagnarono in concerto °© si chiamavano ancora Steel Mill, e suonavano hard-rock °© in quel di Asbury Park, la città del New Jersey dove Bruce è musicalmente cresciuto. Berry era un figlio di puttana come pochi e girava l’America da solo, suonando ogni sera con i gruppetti di disperati che i promoter gli rimediavano nelle varie tappe della tournée: Springsteen e gli altri Steel Mill credevano di incontrare il Vate, l’autore di Johnny B. Goode!, invece si trovarono di fronte un tizio supponente che non li salutò nemmeno, non si degnò di dar loro la scaletta («Ogni volta che attaccava un pezzo guardavamo tutti il nostro bassista, che era il più “colto” di noi, per vedere se lui l’aveva riconosciuto, e cercavamo di andargli dietro») e a fine serata se ne andò con i soldi dell’ingaggio, senza salutare.
Tutto questo per dire che Springsteen è la versione rock di Seeger: un grande autore, certo, ma prima di tutto un interprete a 360 gradi di una tradizione musicale che in America ha anche un valore politico e culturale molto preciso. Cantare le canzoni rese famose da Seeger significa evocare un’America popolare, di sinistra °© o comunque liberal, e sicuramente dalla parte dei poveri e degli oppressi °© diversa dall’America che vota Bush. Diciamo che con dischi come The Ghost of Tom Joad, Devils & Dust e questo We Shall Overcome Springsteen si rivolge soprattutto a quella mezza America che vorrebbe liberarsi dai presidenti-petrolieri e smetterla di «esportare la democrazia» con il sangue dei propri ragazzi. Ma non è certo la prima volta che lo fa. Era, questo, il senso anche di Born in the U.S.A., anche se qualcuno, a cominciare dal presidente Reagan, l’aveva capito al contrario. Ma ai reazionari non manca solo il senso dell’umorismo. Spesso sono proprio stupidi.
Le canzoni incluse nel disco sono Old Dan Tucker, Jessie James, Mrs. McGrath, Oh Mary Don’t You Weep, John Henry, Erie Canal, Jacob’s Ladder, My Oklahoma Home, Eyes on the Prize, Shenandoah, Pay Me My Money Down, Froggie Went A-Courtin’, Buffalo Gals, How Can I Keep From Singing e naturalmente la famosa, commovente We Shall Overcome che anche noi italiani abbiamo cantato qualche volta lungo i cortei. Molte sono canzoni di lavoro, come John Henry, storia di un bambino che già a 3 giorni di età annuncia al padre che il lavoro lo ucciderà. Altre sono canzoni d’amore, come la struggente Shenandoah che, come il film di Malick The New World, canta l’amore impossibile fra un bianco e un’indiana. Nel disco, come già in Devils & Dust, sarà incluso un dvd con due pezzi extra. Preparatevi, compagni springsteeniani: quest’anno il 25 aprile è festa doppia.
stupendo. musica e artisti, articolo, idee, tutto. peccato solo che non potrò regalarlo a un compleanno che corre l'8 aprile. d'altronde ci son date più importanti :-D
Carolina
bel pezzo complimenti peccato che il sig. Crespi voglia mettere della politica anche dove non c'è bisogno. non penso propio che con la musica di Bruce (universale e straordinaria) ci sia da schierarsi da una parte o dall'altra basta quardare i suoi concerti.Speriamo almeno che il sig. Crespi sia lui dotato di spirito e di umorismo,cosa che non credo se riesce a sporcare di politica un mito come Bruce
Ora che il disco ha trovato collocazione fissa nel mio lettore, penso che per un po' non riuscirò a farne a meno. Non si può aggiungere molto altro, Springsteen mi colpisce sempre più duramente.
Roby, è evidente che non sai nulla della genesi e della stessa ragione d'essere di quelle canzoni e che non sai niente neanche di Springsteen. Cos'è questa cazzata dello "schierarsi da una parte"? Eredità berlusconiana, bisogna sempre dire la verità e poi il suo contrario? Certo che la musica del popolo è schierata da una parte, non mi dire che sei cascato nella ridicola propaganda dei Repubblicani che cercano di inglobare (loro sì) il Boss ai "valori americani" (tipo la guerra preventiva e il razzismo di stato)!