Religioni in cattedra? No, dietro la lavagna
di DAVID BIDUSSA
In pochi giorni il panorama culturale in Italia sembra modificato profondamente. Due i nuovi elementi sulla scena. 1) Il risultato del tavolo di discussione e di confronto alla riunione di martedì 7 marzo della "Consulta per l'islam italiano" con il Ministro Giuseppe Pisanu. 2) La richiesta per la presenza dell'ora di religione islamica nell'ambito dell'orario scolastico.
La prima novità. Nella riunione della Consulta è passata a maggioranza la posizione di una maggioranza di musulmani moderati e laici contro le posizioni espresse da Nour Dachan, presidente dell'Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia) tesa a imporsi come rappresentante egemone dei musulmani in virtù del controllo di un buon numero di moschee.
In quella sede in forma ufficiale e per la prima volta è stata espressa la condanna del terrorismo, la richiesta ai Paesi musulmani di rispettare la libertà religiosa, la denuncia di ogni predicazione contro cristiani, ebrei e occidentali, il sostegno del diritto di Israele a convivere al fianco di uno Stato palestinese, la dichiarazione contro una "identità islamica" separata e conflittuale con la "comune identità nazionale italiana", la dichiarazione pubblica contro ogni discriminazione nei confronti della donna.
La seconda novità. La questione dell'ora di religione islamica nell'ambito dell'orario scolastico Nella giornata di giovedì, infatti, è giunta l'opinione del Vaticano per l'intervento del cardinale Raffaele Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace, che esprime parere favorevole all'ora di religione islamica nelle scuole italiane per gli studenti musulmani. "L'Italia non faccia marcia indietro. Il rispetto non deve essere selezionato", ha detto il cardinale.
E' allora nato un nuovo clima di tolleranza e di convivenza?
Ne dubito. Non perché non si possa dare tolleranza o possibilità di dialogo. Ma perché più semplicemente la questione dell'apertura di una dimensione laica non passa solo per l'ampliamento dei diritti culturali (pur essendo questo un fatto non negativo) di una minoranza fini a ieri tollerata.
C'è un problema che oggi passa attraverso la dimensione del religioso e che non è risolto dall'allargamento dell'offerta religiosa all'interno della scuola. Il suo aspetto sostanziale non è tanto se nelle discussioni che assisteremo nelle prossime settimane, prevarrà un'opinione favorevole o contraria a questa iniziativa. Nei fatti all'interno di questo conflitto su liceità o meno dell'insegnamento religioso nel sistema scolastico (con schieramenti che vorranno difendere una presunta laicità, e settori di "nuovi entusiasti" della fede che grideranno alla "tirannia del laicismo") si rischia ancora una volta di perdere di vista il vero problema che è costituito dalla presenza stessa di un insegnamento specifico sui fatti e fenomeni religiosi, sia come codici culturali, che come moduli comportamentali. Le religioni infatti non sono codici o regole da osservare, ma sono fatti antropologici, culture e strutture da studiare. Diversamente se affrontate come studio delle regole si trasformano di fatto in "dottrina".
Il problema così torna di nuovo ad essere la questione non dell'insegnamento della religione o di diverse fedi che si dividono i propri appartenenti e "affiliati", rivolgendosi ad illustrare i codici di appartenenza e le forme del credo, bensì della religione come un insieme di valori e della dimensione storica che permette che questi si strutturino nel tempo. Uno dei passaggi significativi verso l'integrazione passerebbe anche per qui: la scuola infatti ha un ruolo fondamentale per l'integrazione, e questa finalità è di fatto annullata sulla base delle separazione tra le etnie o le professioni religiose. Un tema su cui insistono - per motivi diversi - sia Mario Scialoja, responsabile della la sezione italiana della Lega musulmana mondiale, che si è espresso a favore non di un'ora di religione islamica ma di una presenza nell'orario scolastico di una materia come "Storia delle religioni", sia l'Aduc, (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori): che ha dichiarato la propria opposizione ritenendo che l'insegnamento religioso "non si debba impartire nelle scuole di Stato, che per definizione dovrebbero essere aconfessionali".
La dimensione della laicità, sembra dunque allontanarsi sempre più decisamente E si allontana proprio in relazione a un distorto, o a un presunto, multiculturalismo. C'è una crisi nelle società europee che si accresce proprio nel momento in cui esse si aprono a nuove presenze e queste chiedono spazi culturali riconosciuti.
La crisi si apre allorché è proposta la richiesta di cittadinanza culturale dell'Islam in Europa e allorché inizia a formarsi un Islam europeo. Questo aspetto, infatti, rimettere in discussione un precedente equilibrio tra circuito religioso e circuito politico. Equilibrio che per duecento anni è stato proposto come dimensione laica della vita pubblica. Questo equilibrio oggi non ha retto. Ma era un vero equilibrio? Ne dubito.
In questi due secoli, noi non abbiamo avuto una visione laica dello Stato né laicista né liberale. Semplicemente in base a margini contrattati di spazio pubblico, definiti da concordati, si è assistito a una divisione dello spazio pubblico con un progressivo smarrimento di una dimensione culturale religiosa e un progressivo processo di secolarizzazione.
L'affermazione di Matteo 22, 15-22 ovvero la questione della divisione di competenze tra Cesare e Dio, non ha definito né una pratica laica, né una teologia della laicità. La "laicità reale" è stata una condizione di accettazione di regole astratte che dovevano ridisegnare i confini e i margini dei due partner o dei due contendenti. La Chiesa non ha favorito la laicità, ma ha trovato giustificazione per accogliere le trasformazioni cui non poteva opporsi sulla base di riferimenti teologici che non la impegnavano. Lo Stato ha fatto finta di credere che questo fosse sufficiente.
L'arrivo degli islamici in Europa e soprattutto la richiesta di una cittadinanza culturale da parte loro riapre perciò un conflitto in realtà mai risolto dentro la storia dell'Europa moderna. E questo diventa tanto più radicale proprio perché la dimensione militante con cui si articola l'Islam in Italia (sia quello immigrato che quello italiano) pone alla Chiesa il problema di ritrovare una propria presenza pubblica offrendosi come risorsa identitaria collettiva, non come partner dello Stato, ma come alternativa allo Stato. Un passaggio che si coniuga con l'idea di identità come tratto genetico (naturale, innato, invariato nel tempo, una fisionomia che sembra attrarre molti in Italia a iniziare dall'attuale presidente del Senato). L'identità, invece, non è un fatto genetico o un dato naturale, è un processo storico fondato sull'ibridismo, ovvero sull'intercultura. Per capirlo occorre una dimensione pubblica laica. Che per ora non c'è, che non si intravede e su cui, invece, molti discettano con scarsa chiarezza culturale e politica.
ma infatti. niente ora di religione a scuola. al massimo ore di religioni comparate, di antropologia culturale, di cultura (arti, filosofie, pensieri) connessi alle religioni. tanto la fede è una scelta. poi oltretutto con gli ebrei cosa fai? conti il numero? o confidi che tanto vanno alle loro scuole? ma se qualcuno di loro fa le scuole pubbliche? cos'è, è il numero che conta? e gli animisti? uno si dichiara animista, già non sai cosa sia, e ci sono gli esperti, magari, ma insegneranno all'università, come minimo, non nelle scuole. e piantiamola!!! oltretutto, a me pare proprio cretina la storia della "Consulta islamica": perché si rischia, se si canna, di dare soldi proprio a bigotti che annienterebbero i propri eretici o altri se non noi; perché ci dev'essere un atteggiamento laico in cui ognuno ha la propria fede o non fede, ma nel pubblico non ha rilevanza; e perché per l'appunto sembra appartenere a modelli astratti ideologici "identitari" che non si sa manco che cosa vogliano dire. e questo senza dire che cosa ho visto io del politichese "ecumenico".
Carolina
ps la "CI" è un'imitazione di cose d'oltralpe altamente distruttive. e non lo si vede solo nelle ex colonie quanto e perché lo siano, ma lo si è visto proprio in Francia. da noi poi mi immagino solo i maneggi che non ci sono. bazzaaaaaa fanculo alla "CI" e a Pisanu!!! (oltretutto al massimo si occupasse di religione qualcuno che ne sa qualcosa. qui mi paiono tutti grandi atei alle prese con cose che non interessano loro da lontano).
C.
Carolino, sei cretino e, sospetto, reazionario. comunque sospetto di reazionarismo molto di più certi tipi di elucubrazioni più o meno ecumenicopoliticanti (per intenderci, per me Magdi Allam NON è "un liberale"). ergo ci son cose molto più importanti di te al mondo. smettila!!!
Carolina
"Non voglio entrare nel merito delle opinioni ma in quello dei fatti,
giacché alcuni di quelli qui riportati sono gravemente inesatti.
1. Non è vero che "nella riunione della Consulta" sia "passata a
maggioranza la posizione di una maggioranza di musulmani moderati e
laici contro le posizioni espresse da Nour Dachan, presidente
dell'Ucoii".
Mi stupisce che un giornali riporti ancora questa bufala l'11 marzo,
dopo che lo stesso ministro Pisanu l'ha smentita il giorno 8:
http://www.agi.it/news.pl?doc=200603081434-1129-RT1-CRO-0-NF81&page=0&id=agionline.italyonline
Quello che in realtà è successo è che tale signora Soad Sbai, che
rappresenta giusto se stessa, il suo mentore Magdi Allam e le bizzarre
attività della Western Union (vedi in proposito:
http://www.kelebekler.com/occ/souadsbai.htm ), si è presentata alla
Consulta con un documento-trappola a sorpresa da "mettere ai voti" in
un organismo che non vota, e che parlava di politica estera in una
sede la cui funzione è quella di occuparsi di immigrati italiani.
Fare una cosa simile senza, per giunta, un minimo di consultazioni
previe con chi dovrebbe sottoscriverlo, tale documento, va bene giusto
se, come accade a diversi membri della Consulta, si rappresenta solo
se stessi.
Siccome l'Ucoii rappresenta 120 organizzazioni musulmane sul
territorio italiano che non erano state né avvisate né consultate,
bene ha fatto Dachan a non firmarlo.
Non è così che si procede, e lo stesso ministro Pisanu ha emesso un
comunicato durissimo di appoggio all'Ucoii per l'imboscata in mala
fede di cui è stata vittima.
2. Non è vero che "in quella sede in forma ufficiale e per la prima
volta è stata espressa la condanna del terrorismo": il comunicato
ufficiale "No al terrorismo" dell'Ucoii risale al 31 luglio del 2005
(http://www.islam-ucoii.it/NOTERRORISMO.htm ), ha valore di fatwa e
richiede espressamente ai musulmani italiani di denunciare qualsiasi
sospetto di attività eversiva in Italia. L'Ucoii non ha bisogna delle
inviate di Magdi Allam, per farsi dire come affrontare l'argomento.
I suoi comunicati UFFICIALI sono reperibili qui:
http://www.islam-ucoii.it/COMUNICATI/comunicati.htm
3. E' quantomeno tendenzioso affermare che l'Ucoii sia "tesa a imporsi
come rappresentante egemone dei musulmani in virtù del controllo di un
buon numero di moschee."
Mi chiedo come verrebbe percepita la stessa affermazione riferita alla
maggiore organizzazione ebraica d'Italia. Come antipatica, a dir poco.
La realtà è che l'Ucoii opera da 15 anni, rappresenta 120
organizzazioni, ha collaborato alla nascita e allo sviluppo della
quasi totalità delle iniziative riguardanti i musulmani in questo
paese ed è l'unica, tra i membri della Consulta, a potere vantare un
radicamento sul territorio reale.
Ora: senza queste inesattezze, l'articolo di Bidussa avrebbe un sapore
diverso e, sì, si potrebbe entrare nel merito.
Così com'è, invece, mi appare come l'ennesima rotellina di un
ingranaggio di disinformazione che, tra tante opinioni più o meno
condivisibili, fa filtrare informazioni false e distorte che, alla
fine, sono ciò che più rimane nella mente di chi legge un giornale.
Io voglio credere alla buona fede delle persone come Bidussa.
Però, e lo chiedo per favore, questo paese è arrivato a un punto in
cui le notizie, prima di essere date, devono assolutamente essere
verificate. Non si può collaborare alla diffusione di bufale tese a
screditare i musulmani italiani e proporsi, allo stesso tempo, come
interlocutori degni di fiducia e rispetto.
Non è il momento e non si è innocenti, se lo si fa."
Cara signora Lia, lei non entra nel merito delle affermazioni di David Bidussa e io non entro nel merito delle sue. Mi limito a sottolineare che commette lo stesso errore che imputa a Bidussa: anche lei fa affermazioni senza informarsi sulle fonti. A sostegno infatti delle sue affermazioni lei riporta il link al sito web di un privato cittadino che certamente non può essere chiamato a testimoniare alcunché e, nel caso specifico, è anche un personaggio molto discutibile e discusso sia su internet che nelle aule dei tribunali. Mi pare molto curioso che lei possa rimproverare a Bidussa di non informarsi sulle fonti di quello che scrive e poi lei per prima cita fonti poco chiare e delle quali, ne sono certo, lei ignora l'effettiva attendibilità. A rigor di logica e di informazione, difficilmente un sito web dove si scrive che “tizio è brutto e cattivo” può essere citato come fonte attendibile, a maggior ragione nel caso in cui quel sito web ha già fama di essere stato più volte smentito (anche da una sentenza in tribunale). Credo comunque nella sua buona fede e sono certo che la prossima volta non cadrà nello stesso errore.
Giacomo