Una tragedia italiana
di Alberto Crespi
«E dopo questa scena dovrebbe essere chiaro che il Caimano è ispirato a Silvio Berlusconi». La giovane regista Jasmine Trinca è in auto con il produttore Silvio Orlando e gli sta raccontando la trama del film che sogna di realizzare.
Gli ha appena spiegato che il protagonista, detto «il Caimano», è un imprenditore che ha costruito un impero grazie alla corruzione e alla creazione di holding all’estero; e che, per questo motivo, i magistrati indagano su di lui e si accingono a processarlo.
Quando sente il nome «Berlusconi», Orlando inchioda e tampona la macchina davanti a lui. «Ma sei pazza? Stiamo andando alla Rai a proporre un film su Berlusconi? Io Berlusconi l’ho pure votato!». L’uomo che è stato tamponato, e che sta inutilmente aspettando di compilare la constatazione amichevole, lo rimbrotta: «E te ne vanti?!».
È uno dei pochi momenti comici di un film impressionante. Dopo averci raccontato uno straziante dramma familiare in La stanza del figlio, Nanni Moretti ci porta con Il caimano nella tragedia dell’Italia berlusconiana. Il film è potente, amaro, profetico. Sembra girato ieri mattina, non nel 2005. E spieghiamo subito perché, sgomberando anche il campo dai molti equivoci che una stampa ansiosa e pettegola ha seminato nelle ultime settimane. Tutti hanno tentato di indovinare la trama e tutti hanno sbagliato, perché la strategia del silenzio imposta da Moretti ha fatto centro sul punto più importante del film: il fatto che Nanni, nel Caimano, compare anche come attore, e che attore!, perché nell’ultimo quarto d’ora interpreta Berlusconi. In precedenza, il film nel film immaginato dal produttore Silvio Orlando vedeva nei panni dell’imprenditore/Caimano un sosia grottesco e derisorio interpretato da Elio De Capitani. Ma nel finale, quando Jasmine Trinca dà finalmente il primo ciak, il Caimano ha improvvisamente il volto di Nanni Moretti. Una Pm - Anna Bonaiuto - lo incalza, un giudice - Stefano Rulli - lo condanna. E lui, dopo aver rivolto alla Pm uno sguardo ferocissimo, reagisce. «Non sono io l’anomalia in questo paese, sono i comunisti... Con la mia condanna la nostra democrazia si è trasformata in un regime... Ma io sono stato eletto dal popolo e posso essere giudicato solo dai miei pari». Dettaglio importante, anzi, decisivo: non solo Moretti interpreta Berlusconi senza cercare la minima somiglianza (e come potrebbe, alto e bello com’è?), ma pronuncia le sue battute senza l’ombra di un sorriso, senza traccia di bonomia, distruggendo quel luogo comune - che circola anche, talvolta, tra i suoi avversari - secondo il quale Berlusconi sarebbe, alla fin fine, «simpatico». Dandogli il proprio volto, Moretti ottiene l’incredibile risultato di togliere a Berlusconi la maschera che questi si è costruito con anni e anni di lifting, trapianti di capelli, filtri alle telecamere e barzellette a raffica. Il Caimano interpretato da Moretti è il Berlusconi di Vicenza, quello che si porta la mano alla gola per far capire a tutti cosa pensa di Della Valle: pur girando il film mesi fa, Moretti ha azzeccato i toni aspri di questi ultimi giorni di campagna elettorale.In questo, è un film allarmante, che semina angoscia. Un grande monito sui colpi di coda che un Caimano può sferrare quando si sente sconfitto.
L’impatto del film, che Moretti ha fortissimamente voluto nelle sale prima del voto, non deve però cancellare tutto ciò che il film stesso contiene. È, ad esempio, un film sul cinema: a tratti assai buffo (Nanni dev’essersi follemente divertito a «inventare» i vecchi film prodotti dal personaggio di Orlando: come quello iniziale sulle «nozze laiche» dei marxisti-leninisti) e più spesso dolente, perché ci racconta un cinema italiano che ha perso la memoria, dove i critici straparlano, i divi sono vanesi e i vecchi maestri come Giuliano Montaldo non riescono più a lavorare. Non a caso il cast è pieno di registi, in piccole parti (oltre a Montaldo, compaiono Paolo Virzì, Carlo Mazzacurati, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Jerzy Stuhr e lo stesso Michele Placido, il divo cialtrone che accetta il ruolo del Caimano e poi si ritrae). Attraverso il cinema, Moretti riflette sulla deriva morale, culturale e politica di questa Italia. Il Caimano ci dice chi siamo, da dove veniamo e, purtroppo, dove andiamo. Sperando che il finale vero, il 9 aprile, sia diverso da quello del film
Il finale di Moretti
di Roberto Cotroneo
In un giorno di pioggia romana si è aperta la scatola magica del Caimano, il film segreto, misterioso e attesissimo di Nanni Moretti; il film su Berlusconi, a 16 giorni dalle elezioni.
La scatola magica si apre con una domanda preventiva, quella di Romano Prodi, che ha detto: «I film di Moretti si vanno a vedere, poi vedremo se è utile o dannoso alla campagna elettorale». Mentre Berlusconi ha dato invece una risposta prevenuta. «Lo andrà a vedere?», gli hanno chiesto, e lui: «No, assolutamente no». E va bene. Le due affermazioni sono speculari. Qui si tratta di rispondere se Il Caimano sarà utile o dannoso alla campagna elettorale. E si tratta di capire se sarebbe il caso che Berlusconi questo film andasse a vederlo. Così, tanto per documentarsi.
Cominciamo con la prima domanda. Il Caimano può influenzare la campagna elettorale? Risposta: probabilmente no, non parla né agli elettori di destra e neppure agli elettori di sinistra. Di fatto non parla agli elettori, parla agli spettatori italiani. Dunque non è un film politico se diamo alla politica un significato militante. Se invece vogliamo dire che la strategia di comunicazione del film operata da Moretti è assolutamente politica, allora diciamo qualcosa di vero: nessuna conferenza stampa, non una parola, tranne un dettaglio, ovvero che il film era su Berlusconi. Su questo dettaglio poggia tutta la strategia di comunicazione di Moretti. Intendiamoci, non stiamo parlando soltanto di un regista, ma stiamo parlando di un uomo che ha dato il via ai girotondi. Stiamo parlando di uno che nel febbraio 2002 è salito su un palco e ha detto, rivolgendosi a Fassino e Rutelli: «con questi qui non vinceremo mai». Stiamo parlando di un uomo che da anni riflette sulle nevrosi della sinistra. Insomma, l'uomo del «D'Alema, dì qualcosa di sinistra».
Il Caimano è un film sull'Italia che abbiamo attraversato in compagnia di Berlusconi: delle sue televisioni, dei suoi quartieri residenziali, di Forza Italia e del suo governo. Qui Moretti esce da certi schematismi ideologici, mette in scena questo Silvio Orlando disimpegnato, un po' trash, cineasta antisinistra, ma con una sua dolcezza e saggezza, aggiunge una moglie che è Margherita Buy, e racconta una crisi coniugale, che è anche una crisi economica e creativa del produttore. E poi fa entrare la giovane Jasmine Trinca, regista speranzosa, autrice della sceneggiatura di un film che si intitola Il Caimano. E facendo questo mette in piedi tutta la superficialità di questo paese, la pochezza di un certo modo di fare gli attori, di fare gli intellettuali, la viltà, che è qualcosa che non ha un colore o una appartenenza politica, ma è trasversale.
Però Nanni Moretti questa volta non si mette sul piedistallo, non chiede ai leader di fare qualcosa per liberarci da Berlusconi. Non se ne cura. Berlusconi per quasi tutto il film non c'è. C'è Orlando, che ha votato Berlusconi, che è un produttore vecchio stampo e senza una lira, che è uno che non ha barattato nulla, che non si è venduto, perché non aveva niente da barattare e niente da vendere. E oggi l'unica cosa che gli interessa è il dolore della separazione dalla moglie. Il produttore Orlando non ha passioni, non ha certezze. Quando gli arriva in mano la sceneggiatura sugli affari di Berlusconi neanche la legge, e va a proporla in Rai. Si addormenta dopo una pagina. Sposa la possibilità di farne un film perché non ha più un perché di niente. Non ci crede. Non lo fa per guadagnare. Non lo fa perché odia Berlusconi. Lo fa perché una cosa vale l'altra.
Però lo sogna Berlusconi, sogna il film che potrebbe girare. E in quel film c'è il giovane Berlusconi immerso nell'avventura delle televisioni private. E lì Moretti fotografa quell'Italia che stava cambiando, gli studi di Canale 5 di allora, le ballerine seminude, il pubblico delle massaie felici di qualcosa di nuovo. Neanche lì giudica. Neppure in quel caso. Il registro di quei sogni è grottesco, quanto è grottesca la vita del produttore. In un Italia che non sa decidersi, in un'Italia stordita da vent'anni di berlusconismo. Certo che si capisce che questo è un film sul post-berlusconismo, è un film disperato perché fotografa un paese che ha perso ogni identità. Ed è per questo che Berlusconi dovrebbe vederlo. Per la prima volta c'è qualcuno che gli spiega quali danni ha fatto non soltanto il suo governo, ma una cultura che lui ha incarnato dalla metà degli anni Settanta. E come quei danni non siano più recuperabili, se non forse in decenni. Ed è per questo che Prodi dovrebbe preoccuparsi un po'. Perché ci sarà da ricostruire quello che è stato bruciato, ci sarà da combattere un qualunquismo che non appartiene più soltanto al centro destra ma ha finito per invadere, come una metastasi, anche parti del centro sinistra. Questo film non è un «C'era una volta Berlusconi», ma è «Guardate che Italia ci è rimasta», dopo che proprio il vorace Caimano ha divorato tutto, a cominciare dalle nostre coscienze.
Però una cosa c'è che non si spiega: gli ultimi quindici minuti. Sono qualcosa che va oltre, e che non appartiene alla capacità, per una volta potentemente visionaria, di Moretti. La parte finale del film si salda con il Moretti dei girotondi e della strategia di comunicazione sul Caimano. Quei minuti finali sono quelli dove lui fa Berlusconi. Berlusconi processato. Berlusconi condannato, a sette anni. Berlusconi eversivo. E i giudici che lo hanno condannato, alla fine non riescono a uscire dal palazzo di Giustizia perché la folla è inferocita, e gli lancia le bottiglie molotov. Cosa è quel finale? Una premonizione?
Personalmente credo che il film dovesse finire senza Moretti, senza il tribunale, senza i magistrati, senza la condanna. O se proprio voleva, che lo facesse in modo sfocato, sognato, sgranato, in bianco e nero, con un audio difettoso che lasciava solo intuire vagamente le parole, che sono sempre le stesse e che conosciamo benissimo. Ho la sensazione che per Moretti deve essere stato difficile trovare un finale del film. Ma quel finale è un cambio di registro che mal si accorda con tutto, soprattutto con la fotografia del berlusconismo, quasi perfetta, che ha poco a che fare con la fotografia un po' facile di Berlusconi interpretata da Moretti alla fine. Ma sono poco più che dettagli. Il finale lascia perplessi (e ricorda troppo Il portaborse), perché non ha il potere di indignarci, ma non ha neanche la potenza raggelante di un vero incubo. Ma è poco più di un dettaglio. Dopo il 10 aprile Il Caimano, anche con quei quindici minuti finali, sarà l'unico punto di partenza per capire cosa i nostri occhi si sono rifiutati di vedere in questi anni e quante occasioni abbiamo perso per arginare questa decadenza: anche a sinistra
Cotroneo perfetto.
E l' angoscia sale alla gola, anche senza aver visto il film.
Ragazzi il momento e' gravissimo.
Non diamo argomenti a questi fascisti.
Speriamo di farcela.
Ciao a tutti
ha proposito delle polemiche sulle mancate recensioni al film nei tg mediaset, devo dire che il non aver dovuto acoltare l'insopportabile *voce - cinematografica - del padrone* di anna praderio che commenta un film di moretti, mi ha permesso di trascorrere la serata in maggior serenità e con una travaso di bile contenuto.
Perfino Ferrara ne parla bene:
http://www.repubblica.it/2006/b/sezioni/spettacoli_e_cultura/caimano/ferrara/ferrara.html
Ehm....
Per il vero non mi sembra che la recensione di Ferrara sia proprio positiva.... con i suoi voli pindarici, lo Zeppelin IV prende il culo Moretti, "simpatico" nanofobico che in preda alla sua nevrosi non riesce a dipingere il Cavaliere come un credibile Caimano.
Poi mi sbaglierò ma ad una prima lettura tanto ricavo....
continuo a non capire (i motivi delle censure). ci rinuncio.
Ottima, come al solito, e condivisibile la recensione di Crespi. Non credo, al contrario di Cotroneo, che gli ultimi 15 minuti siano i meno riusciti, anzi. Sono proprio quelli che fanno capire meglio la lacerazione indotta dal berlusconismo nel tessuto sociale italiano. E che fanno piu' rabbrividire nella speranza che Nanni, una volta tanto, non ci abbia preso.
Alla fine è arrivato il giorno. Ricordo quando 5 anni fa, ancora shoccato ed emozionato, uscito dalla sala dove avevo appena visto "La stanza del Figlio", pensai: "per il prossimo cosa si inventa?".
Ero curioso di capire come Moretti avrebbe gestito quel clamoroso successo, conquistato su un terreno diverso, più "popolare", che apparentemente snaturava il suo cinema. Da allora sono successe tante cose, il suo impegno politico, che ho condiviso e alimentato nel mio piccolo e poi la notizia: "Moretti gira un film su Berlusconi". Non nego che, per quanto fossi contento della sua scelta, la consideravo ovvia, un po' vigliacca, la migliore possibilità per sfuggire all'eredità che "La stanza del figlio" gli imponeva.
Invece, andando a vederlo stasera, mi ha stupito. Ho lottato in queste ultime 24 ore per evitare qualsiasi recensione, qualsiasi commento, qualsiasi foto, persino il trailer cercando di rispettare il vincolo di segretezza che Moretti ha voluto in quest'anno e mezzo di preparazione e ne sono veramente felice.
Nanni non ha fatto un film di propaganda, le chiacchiere di quelli troppo stupidi e servi per capirlo le lascio stare, e nemmeno un documentario alla Micheal Moore (o alla Guzzanti, se preferite). Nel raccontare Berlusconi e la sua storia è asettico, imparziale, ha semplicemente mostrato la vicenda umana e imprenditoriale dell'uomo che ci ha governato negli ultimi 5 anni, usando degli episodi chiave ricostruiti come sono avvenuti nella realtà, addirittura con le stesse parole usate in quei frangenti dal Berlusconi "vero": l'avvio dei lavori di milano 2, la prima perquisizione della finanza con il maresciallo "Cesari" (nome geniale), nella realtà Massimo Maria Berruti, che diventa suo collaboratore, la sua conversazione/scontro con montanelli, la discesa in campo del '93, la sua dichiarazione spontanea e i suoi "mi avvalgo della facoltà di non rispondere" nei processi. Chiunque lo accusi di faziosità non conosce i fatti, punto.
Moretti ha fatto un "film" nel senso più proprio del termine. Gli omaggi al mondo del cinema trash, il dolore privato del divorzio e la difficoltà di gestire il rapporto con i figli che vedono i loro genitori separarsi, i momenti di comicità (puramente morettiana, ma anche piacevolmente grossolana a tratti), l'allegoria surreale dell'infinita ricerca del pezzo mancante del lego, i personaggi originali nella loro umanità così naturalmente caricaturale, la realtà italiana attuale con l'ingombrante figura di Berlusconi sullo sfondo e in realtà sempre presente, tutti questi elementi sono miscelati alla perfezione, con sincerità, senza "mestiere", senza mezzucci.
Molti diranno, o hanno già detto, che il film è "pessimista". Quella frase: "Berlusconi ha già vinto" che riecheggia e sembra inequivocabile.
Beh, io non sono d'accordo. Non perchè non creda che il "cattivo" di questo film e degli ultimi anni della nostra storia abbia "cambiato la testa degli italiani con le sue televisioni", questa è una realtà innegabile, ma perchè partendo da questa verità è nella dimensione del personaggio di Silvio Orlando che Moretti colloca il suo punto di vista e alla fine, nonostante tutto, il protagonista vince la sua sfida impossibile riuscendo a girare di nuovo un film dopo averlo inseguito per vent'anni.
Sarà un successo o il suo flop definitivo?
Si vedrà.
Gabriele: bellissima recensione. Sull'affermazione che "Berlusconi ha già vinto", non riesco a non fare mia un'idea che Ivan Scalfarotto esprime nel suo libro che sto leggendo in queste ore. Berlusconi non è il male, è il sintomo di un'Italia divisa in due, con una parte sana e consapevole che lotta ogni giorno per non cascare nella trappola. Nanni è con noi e ci aiuta a vedere la realtà da un punto di vista più alto.
Ho visto il film. Non voglio produrmi in una recensione, ma concentrare l'attenzione sulla parte finale. Un Moretti cupo, spaventoso, incattivito fino al midollo che ci mostra Berlusconi analizzandolo dal di dentro, come se quella fosse la sua vera anima, la sua vera ed inequivocabile essenza. Dietro i sorrisi e le pacche si nasconde la figura di un uomo convinto di governare per diritto inalienabile, incapace di pensare che altri poteri possano opporsi a lui. Ecco cos'è diventato, 70 anni dopo, Charles Forster Kane: un uomo convinto di potere da solo incarnare quasi la metà di un paese. Geniali i commenti sugli alleati: "I fascisti li ho portati al governo, ho rassicurato i democristiani che si flagellavano, la Lega mi insultava. Non mi hanno fatto neanche una telefonata". Agghiacciante la chiosa: "Presidente, hanno chiamato dal tribunale. Sono pronti". "Bene, anche noi siamo pronti".
Il finale "incendiario" non è una profezia, nè quello che potrebbe essere il "colpo di coda" del Caimano. Piuttosto, è la rappresentazione immaginifica dello stato di cose cui si è giunti dopo anni d'incultura, rozzezza, spregio delle istituzioni. I valori un tempo condivisi sono venuti meno definitivamente. La Costituzione è carta straccia e i suoi valori per una parte di italiani equivalgono a parole prive di significato. Cosa accadrà? Non si sa, ma la rivolta è la metafora di un paese così spaccato come neanche il terrorismo era riuscito a fare. Un "mala tempora currunt" che suona sinistro e ammonitore, ma da non prendere come un vaticinio.
Film di grande spessore, non c'è dubbio.
Troverò mai una recensione di un film che non anticipi pezzi di trama o addirittura il finale, e cerchi di entrare nel cuore del film senza descriverne l'involucro? Pochissimi riescono a farlo. Il resto, gli osannati Kezich, Mereghetti e compagnia bella sputtanano intere mezz'ore di trama nelle loro recensioni strapagate, incapaci di andare a fondo.