Israeliani e palestinesi verso la convivenza fredda
di David Bidussa
Recentemente, in un libro dedicato alle radici della congiuntura politica israeliana degli ultimi mesi (Le metamorfosi di Israele, Utet), Vittorio Dan Segre ha scritto che nello scenario israeliano attuale vengono al dunque due aspetti essenziali della lunga crisi israelo-palestinese: l'impossibilità di uscire da un conflitto, se non con un atto d'imperio, proprio per il carattere non convezionale che ha, ovvero per il suo carattere simbolico privo o relativamente privo di scontri di interessi materiali, concreti e dunque per questo destinato a presentarsi come “irrisolvibile”; e dall'altra la necessità per gli ebrei israeliani di scegliere una soluzione che chiuda la lunga “guerra dei cento anni”, proprio perché la propria condizione di assunzione di sovranità obbliga all'assunzione di diritti ma anche di doveri in politica. Questi due aspetti spiegherebbero secondo Segre la solidità di Kadimah anche oltre la forzata uscita dalla scena di Ariel Sharon.
A pochi giorni dalle elezioni generali del prossimo 28 marzo, è possibile individuare alcune linee della geografia politica del prossimo parlamento israeliano. Alcuni dati sembrano definitivamente acquisiti, per esempio che Kadimah la formazione politica varata da Sharon nel novembre scorso e rimasta orfana del suo leader in gennaio ce la farà ad essere il primo partito. Secondo alcuni sondaggi Kadimah è accreditato ad oggi intorno ai 36-38 seggi su 120.
A ridosso di Kadimah sono accreditati a parità di seggi (17-18) tanto il Likud, il partito della destra da cui è uscito Sharon, tanto il partito laburista guidato da Amir Peretz. Sono i due attori politici interni, in gran parte alternativi, alla costruzione di un possibile patto di coalizione di governo. La loro dimensione alternativa sta nell'idea di cittadinanza sociale a cui guardano: favorevole a una politica di deregolazione il primo, propenso a una politica di welfare rivolto anche alle aree del disagio delle periferie arabo-israeliane il secondo.
Il quarto partito è Shas accreditato con 9-10 seggi, il partito degli ebrei ortodossi provenienti dai paesi arabi, sensibile alle politiche sociali, alla difesa del welfare assistenziale e “etnico”ovvero rivolto esclusivamente alla popolazione ebraica dello Stato. Immediatamente dopo si colloca Israel Beitenu, il partito degli immigrati russi, l'ondata migratoria che negli ultimi anni ha letteralmente sconvolto il precedente quadro di composizione cultural-nazionale del variegato mondo ebraico-israeliano con il suo milione di nuovi arrivati tra il 1991 e il 2000, caratterizzato da un forte programma nazionalista, favorevole all'abbandono dei territori, contrario a qualsiasi ipotesi di cooperazione anche di servizi indispensabili (p.e. uso dell'acqua) in comune con i propri vicini confinari. Questi sono i due attori politici che potrebbero ambire a un ruolo di consolidamento delle due coalizioni, con maggiore propensione verso l'asse della destra.
Bene fermiamoci qui.
A osservarli da lontano questi dati sembrano definire un partito di centro o di asse della bilancia. Questo dato obbligherebbe molte formazioni medio-alte o intermedie a proporre una politica di convergenza verso il centro.
Se fosse così potremmo affermare che la scommessa politica inizialmente costruita intorno alla propria persona da Sharon è riuscita a sopravvivere al suo stesso ideatore, contribuendo a definire un attore politico e a dare risposta alle domande di un'opinione pubblica che contemporaneamente è disponibile a ridurre il sogno della “Grande Israele” (ovvero la definitiva acquisizione della Cisgiordania a Israele) e a valutare l'ipotesi di un margine di sicurezza. Sembrerebbe dunque l'affermazione di un'ipotesi realista che riduce al minino o comprime il sogno politico. E' l'ipotesi della “convivenza fredda” quella che prevale dunque: separare nettamente israeliani e palestinesi; far crescere, di qui e di là, una generazione che rimanga estranea reciprocamente ai propri vicini di confine e poi avviare lentamente e timidamente l'apertura di relazioni.
Questi dati e soprattutto le tendenze se osservate con maggior attenzione dicono anche altro. E' indubbio che una porzione consistente dell'elettorato israeliano oggi attraverso il voto a Kadimah fa sapere che è disposto ad una soluzione di contenimento, comunque a mandare in soffitta il sogno della “grande Israele”. M questo dato non è di per sé un programma politico è solo la sua precondizione. Strutturale infatti non è la questione dei confini, bensì lo stile di vita, il modello culturale, la fisionomia sociale, in breve quale modello di società si ha in animo una volta che si dichiari non essenziale l'acquisizione di territori, ovvero l'espansione geografica dello Stato.
Quale società dunque delineano quelli che appaiono come le ali esterne alla sfida politica? Potremmo definirla una dimensione etnicizzata e nazionalistica, sulla base di una fisionomia della società che sovrappone interessi generali e quindi linee di sviluppo politico con rappresentanza etnicizzata degli interessi conseguente a una “balcanizzazione” del voto. In altre parole: la fisionomia del futuro parlamento per gruppi di provenienza che rappresenterebbero corporativamente interessi, non contrattabili. Il risultato è l'allontanamento della strategia politica e il successo di politiche etniche fondate sulla logica il bene della mia tribù è il bene collettivo. E tanti saluti a una politica complessiva nel Medio oriente.
signor bidussa (posso azzardare un "caro david"?), innanzitutto volevo dire che ammiro molto le sue idee,e questo pezzo mi è molto piaciuto... credo che lei rispecchi esattamente (e non dico solo in questo pezzo) il pensiero dell'ebreo italiano di sinistra, o almeno il mio,se le dà fastidio questo mio modo di "classificarla"... in questo articolo lei ha saputo analizzare in modo coerente una situazione politica difficile. Ultimamente il sogno della "grande Israele" si è rafforzato nelle persone che già lo covavano. Secondo me il motivo è questo (precisando che è un sentimento che non condivido,essendo io di una visuale più moderata): da una parte i sentimenti di risentimento nei confronti di Israele si sono rafforzati da gran parte di quelle persone che partivano già non "ben predisposte"; questo fa sì che i sognatori si aggrapino ai loro sogni, e li usino come scusa per poter sempre difendere idee e fatti agli occhi di altri non giustificabili...vorrei sapere lei che ne pensa...distinti saluti