Religioni e diritti civili, la nuova sfida della laicità
di DAVID BIDUSSA
Intorno all'ora di religione è tornata forte la passione nelle ultime settimane. A lungo vissuta come ora senza un programma, l'ora di religione si è venuta trasformando negli anni nell'ora di identità. Come tale viene ancora oggi ridiscussa quando il principio da accreditare sembra essere quello “a ognuno la sua ora di identità”. E ciò sia che se ne parli volendola includere nell'ambito dell'orario scolastico, sia che si proponga di eliminarla dalla scuola.
Se si ammette che l'ora di religione e la religione siano coincidenti, allora basta applicare la norma attuale e fornire a ciascun alunno aderente a un sistema di fede il proprio mentore di struttura. L'ora di religione sarà così l' “ora della sua religione” dando modo e occasione perché sia dato a ciascuno la possibilità di discutere all'interno dell'orario scolastico e separatamente dai propri compagni di classe, perché “iscritti” ad altra fede, di avvalersi della propria “ora di identità”.
Per sfuggire a questa possibilità qualcuno ha proposto la trasformazione dell'ora di religione “storia delle religioni”. In questo senso si affermerebbe ancora la caratteristica di spazio pubblico della “scuola pubblica”. Ovvero luogo dove insieme si definiscono ambiti tematici, percorsi culturali, saperi, discipline. Dove con il termine “insieme” si intende, contemporaneamente, 1) attraverso una pratica di studio che include un'offerta compatta di discipline e saperi e 2) un luogo dove a tutti gli iscritti indistintamente e nello stesso momento si fornisce lo stesso kit di cose da sapere.
Un'ora di storia delle religioni che significa affrontare le religioni non per il nucleo normativo che contengono (e dunque per i catechismi dottrinari su cui si sostengono) ma attraverso le discipline delle scienze umane della cultura (per esempio, sociologia, antropologia, psicologia, linguistica, storia sociale,…). Ovvero discutere della loro storia. Fare la storia delle società umane, dei loro conflitti interni, delle disperazioni o del senso di “fine del mondo” che talora le “strapazza” o le sconvolge è possibile attraverso l'angolo visuale dei vissuti religiosi e dei linguaggi collettivi delle religioni a patto che il tema sia il vissuto, la “religione realmente esistente”, la storia delle pratiche, e non la storia dei dettami formali.
Tutto ciò inaugura una diversa discussione sulla questione della laicità e sulla sua dimensione come regola fondativa delle società pubbliche di oggi. All'origine della dimensione della laicità sta lo scetticismo in breve la questione della presenza di Dio nella storia, il ruolo del finalismo storico, l'idea di linea del tempo finalizzata alla redenzione. E' la disputa sostenuta dagli illuministi soprattutto da Hume, prima ancora e meglio di Voltaire Vi rientra la questione dell'accantonamento della religione nella società dei moderni come liberazione dalla religione. E' il tema dell'anticlericalismo come espressione più compatta della rivendicazione della libertà.
E' un aspetto della storia culturale della laicità. E' l'aspetto oggi che pare non solo in crisi, ma sostanzialmente contraddetto rispetto al proprio fine dichiarato: nato per liberarsi da un'oppressione (il peso sociale della religione come credenza contraria al progresso) e oggi accreditato come macchina oppressiva delle istanze dell'interiorità emotiva e spirituale degli individui.
Ma la laicità come pratica nasce anche come luogo dell'affermazione dei diritti civili e fra essi, e soprattutto, dei diritti individuali. La laicità è stata nel tempo l'affermazione dei diritti oltre le appartenenze primarie, il riconoscimento di diritti individuali come sfera insormontabile e invalicabile di qualsiasi potere pubblico o collettivo sulla singola persona.
Tutto questo non elimina alcuni percorsi della laicità. C'è un paradosso centrale nel pensiero moderno sulla libertà ed è questo: spesso proprio le singole persone e le correnti di pensiero che con maggiore devozione e insistenza hanno professato e dichiarato la libertà come valore politico hanno finito per appoggiare idee o misure che ne riducevano l'ambito o cercavano di soffocarle.
Il risultato di questa metamorfosi è stato negli ultimi anni la crisi della politica, l'abbandono della sfera pubblica la percezione che la difesa e l'affermazione del diritto comunitario permettesse una ritrovata libertà e questa si sostanziasse nel ritrovamento dell'esperienza del vissuto religioso come pratica comunitaria di appartenenza esclusiva.
La laicità ha iniziato il suo declino quando ha smarrito l'individuo nella sfera delle appartenenze totalizzanti, dimenticando così di rivendicare ed affermare la molteplicità e la simultaneità delle appartenenze e delle identità nell'individuo moderno. Ovvero il fatto che un individuo è il risultato della sua storia individuale e del conflitto con la sua appartenenza a una comunità di riferimento, e che tanto la sua singola persona come la sua comunità di riferimento vivono della simultaneità di essere più identità nello stesso momento. Insomma il fatto di essere il risultato di un costante ibridazione con altre appartenenze comunitarie e altri individui.
Nel conflitto tra queste due sfere che devono permanere e non essere soffocate o soggiogate una all'altra sta la ricerca di un'etica pubblica dei moderni. E contemporaneamente la possibilità di una dimensione laica della società. Qui sta la sfida della laicità come affermazione dei diritti nell'epoca dell'esaltazione dell'identità come appartenenza a una sola comunità. E anche la sua risposta al fascino delle fedi.
Mi sembra il solito confuso giro di parole e sentimenti antropo-socio-psicologico etc.
La realtà è assai più semplice (almeno in questo caso). Laicità dello stato significa neutralità rispetto alle opinioni dei cittadini e, di conseguenza, rispetto della libertà individuale; tutte le altre strade portano a preferire l'etica o le credenze di clan, gruppi, etnie, regioni etc. nei confronti della libertà del singolo individuo.
Capito questo si capisce la differenza tra la rosa nel pugno e tutti coloro che si dichiarano laici solo perchè la politica della chiesa non va nella direzione delle loro idee (sempre pronti invece ad applaudire il papa quando, morettianamente, dice "qualcosa di sinistra"; classico esempio certo terzomondismo).
Caro Marco sono assolutamente d'accordo. Ti consiglio, se non l'ha già fatto di leggere micromega settimanale che ha publicato interessanti articoli su ateismo, laicità, chiesa, ecc.
Concordo sulla rosa nel pugno ma debbo dirti che un Intini in lista non mi va proprio giù, d'altro canto le scelte politiche non si misurano solo sulla laicità e un po' oiù di coerenza non farebbe male.
Temo che un crdibile (sotto tutti gli aspetti) "partito dei laici" sia ancora lontano da venire.
sì. Silo più che di fascino delle fedi mi sa che parlerebbe di fascino del "religiosoide". Non solo le sette ma pure tutti quelli che dicono in tv di avere visioni dal mattino alla sera e fuffa varia. :-) Comunque concordo abbastanza. Potrebbero fare anche direttamente corsi di antropologia culturale a dire il vero (esistono laureati in filosofia specializzati in questo, non bisognerebbe inventarsi un nuovo tipo d'insegnanti) e fare una cosa anche un tantino più laica probabilmente.
Carolina