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Alberto Biraghi
Follie di Brooklyn

C'è di tutto e di più in questo
dodicesimo libro di Paul Auster, uno degli scrittori più geniali e affascinanti dei nostri tempi. C'è il suo stile impeccabile, inimitabile, che si fa ammirare a ogni capoverso. C'è un nuovo protagonista antieroico, il sessantenne Nathan Glass che probabilmente è riuscito a sopravvivere a un cancro ai polmoni. E ci sono i coprotagonisti, perfettamente connotati psicologicamente, con le loro nevrosi e le loro complicazioni esistenziali. Eppure, rispetto ai migliori tra i suoi romanzi precedenti (per noi - tra gli altri - il penultimo Oracle Night, Mr. Vertigo e il capolavoro In the Country of Last Things) c'è un vuoto, forse poco definibile, ma chiaramente percepibile.
La storia è complessa. Nathan torna nell'amatissima New York per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita. Qui - per una serie delle coincidenze care ad Auster - ritrova Tom, un nipote che amava molto e che aveva perso di vista. E' l'inizio della storia che porterà Nat e Tom a riscoprirsi e imparare di nuovo a piacersi, arrivando a impostare una nuova vita che coinvolgerà amici, parenti e nuovi conoscenti in una girandola di piccoli eventi che costituiscono il nocciolo della storia.
E' forse questo mancare di un contenuto allegorico forte (gli elenchi del telefono del protagonista di Oracle Night, la civiltà devastata da non si sa quale calamità naturale o umana di Country of Last Things. In Brooklyn le situazioni sono realistiche, le ambientazioni reali, le vicende - salvo poche eccezioni - perfettamente credibili. Questa scelta comporta da un lato la possibilità di godere non distratti della prosa di Auster, dall'altro toglie forse di mordente a un libro che si regge per la maggior parte sulla capacità descrittiva di cose e persone che l'autore sa mettere in gioco. E così, si scorrono le pagine imparando a conoscere i personaggi a un punto tale che capita di visualizzarli con estrema chiarezza. A questo si aggiunga uno scontatissimo lieto fine che lascia davvero perplessi sulle intenzioni di Auster e si può avere un'idea abbastanza chiara di un romanzo che - perfettamente riconoscibile formalmente - è atipico nella produzione dello scrittore.
A scanso equivoci sottolineiamo che il giudizio è sostanzialmente positivo e che quel po' di mancanza dio entusiasmo rispetto ai lavori precedenti deriva soprattutto dal confronto con gli stessi e dalle aspettative che ogni “paulausteriano” pone sul proprio idolo letterario. In assoluto, ovvero confrontato con l'altra letteratura contemporanea, fa comunque un'ottima figura.
05.04.06 00:22 - sezione
libri