Sogni e colpi di teatro, così la politica sbeffeggia la realtà
di DAVID BIDUSSA
Nemmeno nella migliore delle commedie si poteva prevedere che il secondo round del confronto Prodi-Berlusconi andasse a finire così. Da una parte un candidato premier, Romano Prodi, che descrive il paese felice, con uno slancio verso il futuro e che con sguardo incantato guarda al domani spesso evocando il paese che verrà con scarse relazioni con il “paese che c'è” (l'immagine del Mezzogiorno come piattaforma del Mediterraneo verso l'Asia è certamente poetica, ma l'economia ha bisogno di endecasillabi per pensare il futuro?). Dall'altra, dopo varie sbandate l'uscita del motto di spirito, della battutaccia a effetto che elimina sbianca tutte le scene precedenti, manda a dire che tutte le angosce, le riflessioni più o meno turbate e titubanti, e riparametra a realtà secondo la divisione primaria: tra “chi regala” e “chi toglie”. Il nostro futuro non sarà fatto né di felicità ritrovata, né di colpi di teatro in grado di raddrizzare una situazione per molti aspetti preoccupante.
Sia la descrizione, un po' fiabesca e un po' imbarazzante, del futuro “ad occhi aperti ed ispirati”, sia la sortita da paese che non c'è sull'abolizione dell'Ici con cui Silvo Berlusconi ha chiuso il confronto di lunedì sera con Romano Prodi, dicono che è tornata in campo la demagogia, in barba alle tante dichiarazioni sulla concretezza, sulla politica che si spiega e si fa linguaggio semplice, ma non per questo “fantasioso”.
Riflettere di politica e sulla politica significa non farsi rappresentare dal sogno (né dalla sollecitazione di riconoscersi nella felicità, una dimensione che forse si sostiene sulle coccole) né dalla sortita ad effetto costruita sullo stesso meccanismo della barzelletta: non già perché faccia ridere, ma perché si produce seguendo la stessa dinamica di costruzione.
Che cos' è infatti la barzelletta? Nient'altro che una conclusione distonica e “sorprendente” rispetto a un ragionamento o alla costruzione di uno scenario tra caratteri che non prevedono quella uscita finale. Certo le barzellette non è sufficiente solo raccontarle, occorre anche saperle raccontare, ma esse hanno un effetto non perciò che promettono, ma per lo scarto di realtà cui alludono.
Comunque vada alla fine, dunque, in entrambi i casi, anche nella più sonora delle sconfitte, sia che qualcuno buchi il palloncino del sogno ad occhi aperti che ci regalerebbe la felicità, sia che trionfi la versione di una promessa infranta dai cattivi predatori delle tasse, “perfidi Robinson” posti in agguato per assaltare i “buoni venerdì” del risparmio, la storia del destino cinico e baro, oppure quella “del malocchio” è già pronta per essere servita alla bisogna lunedì sera sulle tavole degli italiani.
Niente, invece, è più necessario di una politica meditata capace di imprimere un modello di sviluppo a un paese che appare pieno di numeri ma che non riesce a leggerli, né a interpretare complessivamente la curva che quei numeri disegnano su un grafico. Per leggerli infatti non basta proporre delle tabelle o delle cifre assolute, ma collocare quei numeri all'interno di scelte che spiegano le opportunità, le performances economiche di settore e le prestazioni degli attori sociali ed economici. L'economia come la politica è un prodotto artificiale ed è il risultato di progetti che costano qualcosa, non di propensioni naturali, di sogni o di “brave trovate” che non costano e per di più fanno pure risparmiare. Così come si fa presto a promettere o a descrivere lo scenario fantastico dello sviluppo, si urla nei momenti di disperazione o di rabbia alla pena di morte. Poi nella politica quotidiana si impongono scelte improntate al governo razionale delle cose e degli uomini e delle donne. E quella è un'altra storia