Da Berlinguer al futuro
Nicola Tranfaglia
Alla fine di una campagna elettorale che è stata caratterizzata da una sorta di feroce incomunicabilità tra i sostenitori e gli avversari dell'Unione e da una legge elettorale, voluta dalla maggioranza, che ha distrutto la possibilità di scelta dei candidati da parte degli elettori, mi viene da pensare ancora una volta all'esempio di quello che non fu l'ultimo segretario del Pci ma che, nella memoria di tutti, è rimasto come quello che fece più strada nel delineare la via italiana al socialismo e l'autonomia dall'Urss anche se non riuscì a fare l'ultimo passo.
Penso a Enrico Berlinguer di cui finalmente, grazie alla ricerca straordinaria di Francesco Barbagallo edita da Carocci, abbiamo una bella ed esauriente biografia che ci consente di ripercorrerne in lungo e largo la vicenda politica e umana.
Vale la pena parlarne non soltanto per fondare nella nostra memoria un caso storico importante ma perché dalla opera di Berlinguer,pur incompiuta, deriva limpido il cammino che avrebbe potuto caratterizzare la fase più recente della storia del movimento comunista in Italia.
La scelta della politica non fu per Berlinguer né un caso né una necessità esterna ma la conseguenza dei mesi di carcere passati a San Sebastiano in seguito agli scontri seguiti all'8 settembre del 1943 a Sassari.
Enrico era avviato a completare gli studi giuridici e a dedicarsi alla professione paterna dell'avvocatura ma i pensieri fatti nel carcere cagliaritano lo spinsero a fare una scelta di vita netta: la politica come strumento per cambiare il mondo, abolire le classi, sollevare gli oppressi.
Una speranza di palingenesi sociale che avrebbe accompagnato la sua vita intera e che lo avrebbe spinto a lavorare troppe ore al giorno, fino al limite delle sue forze fisiche e mentali per rispondere alle richieste di chi sta male e vive nella povertà e nel bisogno.
Un simile approccio alla politica che fu di molti giovani usciti da una guerra disastrosa e da un regime che aveva profondamente diseducato gli italiani ha un valore fondativi per il giovane Enrico.
Il suo lavoro nel partito (a cui non si iscrisse alla direzione, secondo la battuta, spiritosa ma infondata, di Pajetta) fu intenso e diede luogo a risultati importanti sul piano teorico organizzativo per l’aggregazione di migliaia di giovani comunisti.
Berlinguer riteneva che la scelta di vita fosse un momento indispensabile di maturazione per un lavoro impegnativo e difficile come quello di una politica volta a cambiare la società e a renderla giusta e moderna, come peraltro recitava l'articolo 3 della Costituzione repubblicana approvata alla fine degli anni quaranta.
Nel giovane dirigente, di cui Barbagallo traccia con chiarezza la formazione e la prima parte del suo impegno politico, c'era una forte consapevolezza del rapporto tra il panorama internazionale, la guerra fredda e il quadro italiano e le esperienze che fece come dirigente delle organizzazioni internazionali dei giovani accentuarono dall'inizio quello che peraltro poggiava sui pensieri di Gramsci in carcere e sull'insegnamento di Togliatti nel partito.
Quest'ultimo, come emerge da questa ricerca, colse con grande intuito quale era il patrimonio culturale e di passione del giovane sardo e favorì la sua carriera interna al partito negli ultimi anni della sua direzione.
Berlinguer diventa vicesegretario del partito negli anni infuocati della ribellione degli studenti e degli operai, della repressione sovietica della Cecoslovacchia, del distacco lento ma continuo dall'esempio del comunismo sovietico.
Non c'è dubbio sul fatto che la rottura del legame di ferro con l'Unione Sovietica non giunge a compimento negli anni della sua direzione per la estrema difficoltà di portare i gruppi dirigenti del partito verso l'ultimo passo e l'opera attiva dei sovietici di creare una scissione di fronte all'atteggiamento di Berlinguer ma sul piano storico si deve riconoscere che Berlinguer compì passi decisivi su quella strada e probabilmente sarebbe giunto al traguardo se l'enorme fatica del suo lavoro politico non ne avesse stroncato la vita nel drammatico comizio di Padova, a cinque anni dalla caduta del muro di Berlino.
È abbastanza paradossale che ora siano proprio gli epigoni della destra comunista che allora si opponevano con forza a quel passo (come dimostrano le pagine che Barbagallo dedica alle aspre discussioni che si svolgono all'interno della direzione del partito e che hanno, ad esempio in Napolitano uno dei suoi più forti contraddittori) ad addebitare a Berlinguer esitazioni nel condurre a termine la definitiva emancipazione dall'Urss.
Certo è che il segretario comunista intuisce con chiarezza i pericoli che si presentano nella situazione italiana e con Moro e con La Malfa imbastisce negli anni settanta un'azione politica che vuole unire le forze politiche che hanno costruito la costituzione negli anni quaranta contro un'eversione antidemocratica che si appoggia ai socialisti di Craxi e soprattutto alle forze di destra rimaste sempre ai margini della repubblica ma ormai all'attacco della democrazia repubblicana.
Seguendo la strategia di Berlinguer che sfocia nell'effimera stagione dei governi di unità nazionale, d'accordo con Moro e con La Malfa, si ha modo di cogliere con chiarezza quanto sia stato importante il suo sforzo per salvare la tradizione democratica e i partiti popolari dall'assalto della destra.
Un assalto che avrebbe avuto ragione degli avversari negli anni della crisi del sistema politica e da cui sarebbe emersa l'anomalia berlusconiana. L'Italia del Cavaliere e dei suoi poco limpidi seguaci nasce allora e non dal nulla,come molti hanno scritto in questi anni, ed è la conseguenza diretta della sconfitta che toccò a uomini pensosi della repubblica come furono Moro, La Malfa e Berlinguer.
Di fronte al degrado della politica in cui siamo precipitati con l'ultima campagna mediatica c'è da rimpiangere ancora la scomparsa di un comunista che aveva nel cuore il senso della democrazia, della giustizia sociale e della libertà.
era un uomo straordinario e che sapeva sorridere e fare anche ottime battute umoristiche.
Carolina
Forza compagni, vinciamo anche per lui.