L’Ulivo ha un problema: il Nord
Le «sorprese» dal Friuli e dal Piemonte: un’inversione nel popolo della microimpresa familiare
di Oreste Pivetta
La svoltina del nord divide l’Italia un poco più in alto della linea gotica, un poco più su rispetto al Po. Dove vince la destra: ecco il nord più nord, cioè due terzi dello storico triangolo industriale (Piemonte e Lombardia), il vecchio Veneto eternamente
bianco e il Friuli, l’avamposto del nordest che guarda a Oriente, contro l’isola del Trentino Alto Adige, l’isoletta della Valle d’Aosta e la resistente Liguria. Se si danno i numeri, la differenza (alla Camera) fa poco più di un milione e duecentomila voti, il boccone più grosso (circa novecentomila) in Lombardia.
Che in Lombardia andasse così era prevedibile, anche se le regionali un anno fa avevano mostrato una forbice meno ampia tra i due schieramenti (sempre in numeri assoluti, meno di seicentomila voti tra Formigoni e il candidato del centrosinistra Sarfatti), con una percentuale di votanti però molto più bassa (73 contro l’87 di quest’ultima consultazione). Che il Veneto fosse una roccaforte (mezzo milione di voti in più per la destra) era noto e confermato dopo la performance berlusconiana di Vicenza, emblematica. Le autentiche brutte sorprese per il centrosinistra sono venute dal Piemonte e dal Friuli Venezia Giulia, una regione recentemente conquistata (solo l’anno scorso da Mercedes Bresso) e un’altra da tempo guidata dall’amatissimo Riccardo Illy, esperienze senza ombre. Lo scontro sulla Tav, l’alta velocità del Frejus, che ha visto contrapposte l’anima “governativa” e quella movimentista del centrosinistra, è rimasto chiuso in valle di Susa. In compenso le Olimpiadi con il loro straordinario esito hanno premiato soprattutto Torino. Il risultato a macchia di leopardo separa gli schieramenti in Piemonte di poche migliaia di voti al Senato e segna la parità alla Camera. Niente di nuovo e di locale invece che possa aver orientato il voto friulano.
Allora, probabilmente, per dare una spiegazione si dovrebbe tornare ai messaggi della campagna elettorale e considerare alla vecchia maniera la struttura sociale ed economica di questo Nord, una fascia continua di microimpresa familiare e di villette a schiera, ammaliata dall’idea di pagare meno tasse (o di continuare ad evadere il fisco) e di essere esentata dall’ici, terrorizzata dall’idea che una riforma mettesse il freno a qualche licenza di troppo, preoccupata che qualche ritocco alla flessibilità potesse frenare l’impetuoso sviluppo dell’impresa e del lavoro in nero. Prodi aveva promesso cose semplice: la flessibilità con qualche regola e la lotta all’evasione fiscale per far pagare a tutti meno tasse, colpire le grandi plusvalenze (introducendo semplicemente percentuali europee) e i grandi patrimoni. Il programma è stato percepito come un attentato alla libertà d’impresa, intesa come licenza di fare quel che piace e conviene. Prodi aveva promesso anche la riduzione del cuneo fiscale, parecchi soldi nelle tasche dei lavoratori e degli imprenditori, ma non gli hanno dato retto. Ha raccolto di più Berlusconi con il suo forsennato attacco e con le sue “sparate” dell’ultima ora (vedi l’Ici), che hanno sconvolto i sondaggi, rivelando l’esistenza, come spiega il politologo Alessandro Amadori, di un elettore last minute, dell’ultimo minuto, che decide di fronte al seggio sulla base di ciò che gli è rimasto in testa dopo il martellamento televisivo: una folla consistente, che giunge al dieci per cento dell’elettorato, secondo Amadori, che vota d’impulso e che manda all’aria i sondaggi. Non c’è dubbio che la cacciata dell’Ici era un buon argomento da tenere a memoria per quel popolo di immobiliaristi in villette e appartamenti insediati oltre il Po. Chiuse le grandi fabbriche, dove si costruiva una coscienza collettiva e una cultura di sinistra, il mutamento sociale s’è compiuto e non appare nel segno della modernità: «Un mondo sommerso - ragiona Pietro Marcenaro, segretario dei Ds piemontesi, che hanno comunque raggiunto più consensi rispetto alle regionali - che non riusciamo a vedere, un mondo che non riconosce i nostri linguaggi. Noi non ci occupiamo di loro, loro non si occupano della nostra politica».
La destra vive i suoi problemi: la sconfitta della Lega (tutta a favore di Forza Italia) anticipa turbolenze, prossime scadenze elettorali (le comunali a Milano, ad esempio) cambiando i temi del confronto, riducendo il ruolo dei media, senza l’ipermobilitazione di Berlusconi (cioè la sua difesa di Stalingrado) potrebbero regalare altre novità.
La domanda a questo punto, a un mese delle elezioni, riguarda le possibilità di vittoria del centrosinistra a Milano, una segnale politico che sarebbe fortissimo. «La strada di Ferrante - spiega Amadori - sarà in salita. Il risultato di queste elezioni non l’aiuta. Può rimontare se abbandona la figura di prefetto in aspettativa e se davvero dà l’impressione di giocarsi tutto in politica, se davvero diventa il candidato sindaco». Cioè linguaggio più forte, calore, passione, slanci. Una battaglia.
Ferrante è in aspettativa ? Non si è dimesso ?
la comunicazione ufficiale parlava di dimissioni.
Allora si è dimesso ! Bene, anche non riuscirà a perdere l'aplomb del Prefetto.