Vivere all’estero vergognandosi del signor B.
di Maurizio Chierici
L’irritazione per il voto degli italiani all’estero si aggrappa ad una considerazione superficialmente logica: non conoscono la situazione del nostro Paese. Perchè mettere naso nei nostri problemi? In apparenza può essere vero. Guardano da lontano con nostalgia e la nostalgia deforma l’Italia dei ricordi scivolati da una generazione all’altra. Trasforma la quotidianità del lavoro e dei pensieri in un posto immaginario nel quale i sentimenti prevalgono sulla concretezza... Anche perché chi è fuori non si scontra coi i problemi della nostra vita: soldi che non arrivano alla fine del mese, ragazzi dispersi dal precariato. E le trasmissioni di Rai International non fanno capire niente. Per non parlare dei Tg pensati per chi vive tra Aosta e Palermo ed infilati come biscotti nei quiz impossibili da risolvere se il brasiliano di Santa Catarina non sa quanto è lungo il fiume Olio; Tg spesso indecifrabili per gli esclusi dalle furbizie dei palazzi di Roma. Ma gli italiani fuori sanno un’altra cosa: non vogliono un Paese dove l’autoritarismo che per anni ha pietrificato le speranze del continente latino in balia di governi forti, diventi l’autoritarismo di un potere mediatico dal quale le nuove generazioni cominciano a liberarsi. L’idea del ritorno al passato li angoscia. Mirko Tremaglia, ministro dalle tasche vuote, icona inventata come idrovora racccogliconsensi, ha sinceramente sfidato ogni equilibrio politico per allargare agli emigranti, padri, figli, nipoti, il diritto di voto del quale altri Paesi d’Europa godono da tempo. Tremaglia ha insistito con la noncuranza di un ruvido sincero. Batti e ribatti è riuscito a convincere i recalcitranti della Casa della Libertà promettendo forzieri di elettori amici. Nessuno immaginava il boomerang. Quando ha cominciato nel nome della nostalgia, la sua Italia di Salò emozionava i vecchi che avevano attraversato il mare. Ma il tempo si è allungato, il mondo cambiava: figli e nipoti diventano protagonisti di altre realtà. Sbiadiscono le nostalgie che tenevano a galla le memorie dell’Italia libro e moschetto. Un anno fa il ministro di un ministero ridotto a due stanze e tre impiegati, aveva annunciato un viaggio elettorale fra gli italiani di San Paolo, festeggiamenti solenni, primo passo della rincorsa elettorale. Servivano soldi per organizzare la festa. Nessun miliardario o piccolo commerciante italo-brasiliano voleva mettere mano al portafoglio. E il viaggio trionfale è diventato una cerimonietta pagata dal ministero con firma del ministro. Stessa tiepidezza per il Fini in Argentina. Insomma, gli emigranti si stavano liberando delle nostalgie politiche: solo gli uomini d’affari e i loro dintorni riconoscevano in Berlusconi un’opportunità per allargare la borsa.
La comunità italiana degli Stati Uniti ha cominciato a voltare le spalle alla nostalgia attorno al ‘68 illustrando gli anni confusi in film e libri venduti bene. Gli «eredi dei gangster» hanno disotterrato i loro padrini trasformando i ghetti della diffidenza sociale in western urbani, romanticismo che inzuppava la realtà. Ormai insegnano all’università, fanno politica, gli affari vanno bene: il sogno americano li ha raggiunti. E la passeggiata di Fini sulla Quinta Strada ha loro trasmesso l’impressione di una coreografia fuori tempo, con la Maserati della polizia che lo seguiva a passo d’uomo come nelle commediole Tv del pomeriggio. E appena Berlusconi si è accostato a Bush con l’aria di un Negus rapito dal padrone bianco, gli italiani d’America hanno accolto la devozione col cuore un po’ duro di chi fa i conti sugli interessi della gente alla quale appartiene e diffida degli interessi della famiglia Bush. Bush ormai in caduta libera che ha trascinato Berlusconi nella diffidenza.
Fino a dieci anni fa l’Italia andava in prima pagina sui giornali dei continenti americani solo con Papa, mafia, eruzione dell’Etna, Sofia Loren e tanti palloni. Poi è arrivato il Cavaliere e le prime pagine lo hanno spesso protagonista... I suoi villoni, le sue corna, bandana e tacchi alti lo rappresentano fuori dalla realtà sulla quale ogni italo-americano fa i conti e misura le ambizioni. Nessuno di loro se l’è sentita di riconoscere la patria in quel signore. I giornali del Paese dove vivono e sono nati e sgomitano per un posto al sole, ogni mattina ne raccontano le imprese con sorrisi di compassione. Com’è lontano dalla dignità che l'educazione della piccola e grande borghesia di ogni emigrazione considera eredità virtuosa dei padri. Per usare l’abitudine impropria delle nostre cronache che disprezzano, considerano il presidente di Roma più «sudamericano» che italiano: canta sulla chitarra, barche, zone rosa e mani dappertutto. La settimana scorsa Jornada, giornale messicano, raccontava il colpo di mano della destra del presidente Fox il quale ha svenduto a Televisa ogni frequenza televisiva e radiofonica di stato, assicurandole il monopolio assoluto, comunicazione preziosissima per le elezioni presidenziali di luglio. Informazione imbavagliata, Jornada si disperava: stiamo diventando l’Italia di Berlusconi. Sospiro raccolto da ogni pagina del continente, tra ironia e paura. Come potevano votare se non contro l’Italia del padrone sono io?
Accanto alla gente qualsiasi, la rete italiana dei partiti ha accompagnato uomini e donne nei momenti complicati della storia dei loro Paesi. Il coraggio del rappresentante Cgil nell’Argentina dei generali P2: senza coperture diplomatiche in solitudine metteva in salvo i perseguitati. Il mondo cattolico dei missionari ha dato coraggio ai diseredati senza diritti. Patronati e vecchi socialisti nutrivano nell’ombra una morale insultata dalle urla delle piazze. I patronati restano pilastri indispensabili in chi non esce dalle difficoltà e il legame con le regioni riunisce la nostalgia alla percezione concreta di come è cambiato il Paese raccontato dai padri o sfiorato in una vacanza. È l’Italia che vorrebbero ritrovare. Le farfalle nere di Tremaglia e i besame mucho di Berlusconi possono essere divertenti, ma il voto è una cosa seria. E lo hanno dimostrato.
Propongo a tutti i compagni di rivolgere un sentito ringraziamento all'ormai mitico senatore Pallaro, quello indipendente ma in realtà già schierato con l'Unione. Si è tradito con una frase troppo bella: "Si pensa che gli italiani all'estero siano tutti fascisti, ma non è così" (ah ah ah). In quel momento ho pensato alla faccia di Tremaglia: anni e anni a rompere i santissimi con questa storia dell'identità italiana, degli emigrati nostalgici e bla bla bla per poi ritrovarsi tutta gente che odia Banana e la sua accolita di delinquenti. Qui s'impone il commento della leggendaria Carolina!
Feltri invelenito riguardo alla storia di Tremaglia e degli italiani all'estero:
" Cinque su sei senatori sono andati a Mortadella. Valeva la pena di battersi una vita per dei pisquani che alla prima prova si sono fottuti il loro benefattore, cioè l'onorato e onorevole Tremaglia?"
http://libero-news.dnsalias.com/libero/LF_showArticle.jsp?idarticolo=71302870
Secondo me il risultato degli italiani all'estero deve essere analizzato obbiettivamente e valutato a 360°: se non sbaglio ha votato solo il 41% degli aventi diritto. Non conosco le quote esatte, ma mi pare la sx abbia ottenuto un 45%. In numeri vuol dire che:
41 elettori su 100 hanno votato
solo 18,45 su 100 a favore dell'Unione.
Non è un pò poco per acclamare e sventolare successi, sostenendo che ..." nessuno di loro (italiani all'estero) se l’è sentita di riconoscere la patria in quel signore...Secondo Fulvio Abbate, il successo elettorale estero del centrosinistra deriva dalla vergogna per un premier-macchietta imbarazzante".?
Buona parte degli italiani all'estero sono l'Italia più moderna, lavorano a New York, a Boston, in Danimarca, in Inghilterra e nelle università migliori dl mondo, sono ricercatori che in Italia non avevano sbocco e risorse costretti ad andarsene. Ci sono missionari,lavoratori e volontari delle Ong e tanti altri che mai e poi mai avrebbero votato il nano. Quelli che non hanno votato probabilmente sono quelli su cui contava il repubblichino Tremaglia.
Se Berlusconi avesse avuto altre due settimane di campagna elettorale, e fosse così riuscito a promettere anche un ingresso gratis al casinò per gli ultracinquantenni, una sera al mese a metà prezzo nei ristoranti convenzionati e un invito al festival di Sanremo per i primi cento ultrasessantenni che si prenotassero ogni anno, avrebbe vinto ancora una volta a mani basse.
I testa a testa vanno bene quando si tratta di eleggere il presidente degli Stati Uniti d'America, o di scegliere tra conservatori e laburisti, ma non in un paese dove i due poli sono soltanto apparenti e ciascuno di essi è in realtà spezzettato in decine di poltrone e poltroncine di sottogoverno e di serbatoi elettorali che nessuno osa toccare. E per questo, in Italia e solo in Italia, votano l’80 per cento degli aventi diritto contro il 60 delle democrazie occidentali. Perché ognuno ha il proprio piccolo tornaconto, la propria piccola raccomandazione, il proprio orticello da coltivare e preservare.
:-DDD ottima quella frase :-D il mio commento più sintetico è il titolo del liberale e liberista in senso americano Wall Street Journal di circa 7 giorni fa: "Don Coglione" :-D
Carolina