Riscoprire la politica. Il debutto della legislatura
di David Bidussa
La necessità di recuperare un rapporto con il paese che avverte non solo la distanza dalla politica, ma anche una disaffezione rispetto alla politica che deve essere preoccupazione del Parlamento recuperare, costituisce uno dei passaggi più salienti dei discorsi di insediamento sia di Fausto Bertinotti, sia di Franco Marini.
Nei due discorsi sono stati espressi propositi comuni: senso di responsabilità politica e istituzionale come uno dei compiti fondanti di questa legislatura; il richiamo alla maggioranza come all' opposizione all'impegno e alla responsabilità per la ricerca di soluzioni efficaci ai problemi; l'appello infine che sia garantita una nuova coesione sociale, « in un paese unito e solidale». Tutti questi temi sembrano indicare che la legislatura alla fine parta con un progetto e all'interno di un orizzonte delineato.
Ma è davvero così?
L'apertura della nuova legislatura, soprattutto al Senato, è stata in linea con lo scenario che ci tormenta da più di venti giorni. Proviamo a riepilogare: siamo entrati in una seggio con una scheda incomprensibile e una legge elettorale improbabile; ne siamo usciti con un risultato che ha espresso una maggioranza con un fotofinish tormentato; abbiamo messo piede - o almeno la televisione ci ha fatto entrare collettivamente - nelle sale del Parlamento con la speranza di assistere a un colpo d'ala della politica. Ci siamo risvegliati improvvisamente con il più classico manuale Cencelli: un sistema di segnali trasversali di messaggi in codice.
La maggioranza è arrivata in affanno a un appuntamento che aveva davanti a sé da più di un anno. Come le truppe inglesi e americane al momento del loro ingresso a Bagdad: mandato a casa Saddam Hussein rimaneva il problema di che fare la mattina dopo. Dalla cronaca di questi due giorni - soprattutto al Senato - la politica come esercizio di razionalità e di interesse pubblico esce distrutta da un confronto muscolare, destinato a sottolineare una litigiosità nella maggioranza, a indicare a spaccatura con il “paese reale” e a ampliare un territorio di incomprensione.
A partire dalle vicende di questi ultimi due giorni sul campo del confronto della politica, prima del profilo di auspicio dei due discorsi di insediamento, resta irrisolto il nodo politico. Ovvero: l'attuale maggioranza ha ottenuto un risultato con difficoltà. Le sue difficoltà, tuttavia, non sono esclusivamente riconducibili al meccanismo parlamentare e non riguardano solo la composizione certo variegata della coalizione. Riguardano l'assenza di un soggetto politico capace di esprimere e di imporre i tempi e le necessità dell'ora. Molti diranno che è la debolezza di Prodi. E' vero e non è vero al tempo stesso. E' un errore scaricare l'intera questione sulle spalle del leader della coalizione.
Nei prossimi mesi l'andamento e l'operato del governo Prodi e i tempi della partita politica che si giocherà nell'Unione ovvero la formazione del Partito democratico non rappresenteranno una partita sola. Saranno due partite distinte ed entrambe decisive.
Il governo avrà le sue scelte obbligate. Avremo un mese politico praticamente bloccato dalla questione del Presidente della Repubblica e tutto poi sboccherà nel mese di giugno con margini strettissimi per pensare una legge finanziaria che non potrà non essere rigorosa e dove forse le scene muscolari di questi giorni si ripeteranno.
Sul fronte del partito democratico il tema sarà la definizione di un gruppo dirigente, dell'approntamento di un vocabolario politico e culturale che ancora non è definito, ma che deve liberarsi dei residui di ideologia che ancora si trascina dietro.
La politica dovrà muoversi con decisione, determinazione libera dai ricatti interni e dalle rendite di posizione. Soprattutto occorrerà una cabina di regia, che è proprio ciò che è mancato tra venerdì e sabato. Ovvero un ceto dirigente che sappia concludere e chiudere con fermezza le questioni e non solo fare la mediazione estenuante. Questa sì alla fine la causa della disaffezione rispetto alla politica.
Non c'è niente di peggio di chi, scrivendo banali ovvietà e stupide fesserie, è invece convinto di aver fatto un'analisi politica profonda ed originale.
un segnale positivo almeno da Tina Anselmi (una presidentessa della Repubblica se qualcuno volesse?): "Attualizzeremo la Costituzione". Sentita poco dopo le 19.10 su RadioPop.
Carolina
Il consenso e l'accordo non sono delle condizioni date: le si conquista, anche con fatica, anche stropicciandosi il vestito. Veniamo da cinque anni in cui il confronto parlamentare è stato ridotto al rango di orpello, è emerso il litigio verbale come sostituto povero e le decisioni vere da collegiali sono diventate editti del capo o accordi tra i vertici presi al di fuori degli organi di rappresentanza.
Questa richiesta da vari commentatori di un'uscita dal berlusconismo linda e senza spettinarsi crea secondo me un'attesa non realistica.
Il ritorno alla politica vera implicherà che diversi soggetti con punti di vista convergenti ma non coincidenti si ricomincino a parlare e anche a dissentire. Pretendere che i politici se ne stiano semplicemente zitti, come traspare tra le righe da molte opinioni, è contraddittorio visto che sono lì per fare l'esatto contrario e assomiglia un po' alla richiesta piovuta sui manifestanti del 25 aprile di stare disciplinati in fila e non farsi sfuggire una parola di troppo.
Dobbiamo riabituarci alla gestione del confronto, quello vero. Poi è chiaro che la conta delle poltrone e i protagonismi non sono il migliore degli spettacoli con cui cominciare.
Agli inizi del novecento opinioni del genere venivano etichettate con una espressione emeblematica: "Fa lo scettico blu", in assonanza con la mitica Bugatti Torpedo blu, immortalata da Giorgio Gaber.
Una matefora indubbiamente efficace.
Il giornalsita gioca, sia pure con albilità, a fare lo 'scettico blu': è comprensibile, sono tempi e situazioni non limpidissimi.
O:-)
Strano il ricorso di Tina Anselmi ad un così brutto neologismo.
:O