Chi dà il prestigio a una donna?
«Nei partiti ci sono anche delle donne che vi lavorano da anni, ma non vengono evidenziate. Ho sentito Livia Turco, giorni fa a Radio24, dire che non si sarebbe potuto scegliere una donna per il Quirinale perché non aveva lo stesso prestigio di D’Alema. Già, ma chi glielo dà il prestigio a una donna?».
Una bella intervista a Dacia Maraini su l'Unità di oggi a proposito di donne e politica.
da l'Unità del 15 maggio 2006
Intervista a Dacia Maraini
«Quando le sedie del potere sono poche, gli uomini non
cedono mai il posto alle donne. Ma è un problema che ha radici profonde. Le quote servono, la spartizione mi preoccupa meno»
di Natalia Lombardo
«Non mi scandalizza la spartizione del potere, è nella logica della democrazia. Certo gli uomini non cedono spazi alle donne, ma è un problema che ha radici profonde». Dacia Maraini, scrittrice, non dà importanza alle diatribe fra partiti nella formazione del governo, quanto ai problemi reali che si dovranno affrontare.
Le sembra che siano previste abbastanza donne nel governo Prodi?
«No, sono pochissime rispetto alle nostre aspettative. Certo i posti sono pochi e se in teoria sono tutti d’accordo nel dare spazio a una donna, quando le sedie attorno al tavolo sono poche gli uomini non cedono mai il posto. Semmai ne aggiungono per accontentare tutti... gli uomini».
Le piacerebbe una donna vicepremier?
«Sì, ma so che è difficile. Pensavo anche a Tina Anselmi al Quirinale, ma non è mai stata proposta».
C’è chi critica un ritorno al «manuale Cencelli». È d’accordo?
«Ma no, è un governo di coalizione. La spartizione è prevedibile, sta nella logica della democrazia. Mi sembra il male minore, magari potevano pensarci prima. Ma capisco che ci siano tante persone che hanno lavorato da anni e ora si sentano in diritto di avere un riconoscimento».
Nei partiti ci sono anche delle donne che vi lavorano da anni...
«Sì, ma non vengono evidenziate. Ho sentito Livia Turco, giorni fa a Radio24, dire che non si sarebbe potuto scegliere una donna per il Quirinale perché non aveva lo stesso prestigio di D’Alema. Già, ma chi glielo dà il prestigio a una donna?».
È la solita questione di accesso negato ai vertici della politica?
«Sì, non solo nella politica. Nella scrittura per esempio: il mercato è aperto alle donne che scrivono, e sono tante, ma sui giornali, nelle panoramiche dove si stabiliscono i valori e i modelli letterari, le donne spariscono».
Giornalisti e critici sono più maschilisti degli editori?
«Del pubblico, che è composto soprattutto da lettrici. È difficile che si indichi una donna come modello, non si ha fiducia in quello che fa».
Colpa delle donne che lasciano agli uomini lo spazio?
«Colpa no, mancanza di fiducia, piuttosto. E come si può avere quando sei abituata da generazioni a sentirti dire che non devi competere o avere ambizioni, che ti devi sacrificare, devi stare un passo indietro? Sono voragini culturali profondissime con radici lontane. Quindi le donne faticano a farsi avanti e certo l’ambiente non le favorisce».
Anche nella politica?
«A parole gli uomini dicono che è giusto che le donne vengano rappresentate, ma nei fatti concreti non cambiano. Allora come posso sperare di prendere il posto di Amato, Mastella, Di Pietro o qualcun altro?».
Si è visto con la legge sulla quote rosa. Che ne pensa?
«Sono d’accordo, almeno con una legge che impone delle regole può cambiare la cultura. La discriminazione esiste: dalle statistiche Onu risulta che le donne nel mondo guadagnano la metà rispetto agli uomini. Le quote rosa non sono un ghetto, ma una battaglia, come per gli Usa le leggi contro la discriminazione razziale».
Se la spartizione delle poltrone è il male minore, qual è il peggiore?
«Il debito pubblico, le finanze a rotoli, la scuola, come fermare la fuga dei cervelli, il lavoro, cosa fare della Legge Biaqi. Sono questioni fondamentali. Ecco, io leggo articoli su questi temi, quelli sulle spartizioni no. E l’Iraq? Altro che missione di pace, lì c’è una guerra civile con centinaia di morti al giorno. Ah, dimenticavo lo strapotere di Mediaset: hanno occupato frequenze che appartengono a tutti e ora se si parla di cedere una rete dicono che è una vendetta. E allora?».
Il centrosinistra discute su come rompere il duopolio Rai-Mediaset.
«Macché duopolio: la Rai è pubblica, l’altra è di proprietà del signor Berlusconi. C’è un privato che si è impossessato dell’etere, il conflitto d’interessi esiste anche se non è più premier, e va risolto perché è una questione molto sentita. Ma la cosa più grave è che le questo dominio televisivo ha portato a un imbarbarimento e un abbassamento del linguaggio di comunicazione».
Alla cultura il governo Berlusconi ha tolto risorse, lei cosa si aspetta dal centrosinistra?
«Che facciano come Veltroni: ha puntato sul turismo e sulla cultura, infatti Roma ha ridotto debiti e disoccupazione e cresce il benessere.
Scuola, cultura e turismo: sono le grandi ricchezze dell’Italia, vanno usate al meglio».
E per la ricerca?
«Senza ricerca si muore, non so come possano trovare i fondi ma devono farlo. Far pagare le tasse a chi non le paga, sono i più ricchi e non i poveracci con una casa acquistata coi risparmi di una vita. Com’è possibile che crescano le licenze per barche e auto di lusso mentre tante persone si impoveriscono? C’è un’Italia sepolta che evade il fisco, si arricchisce e non sta alle regole, come si è visto nel calcio. Il governo berlusconiano ha dato l’esempio nella spregiudicatezza, nel disinteresse verso lo Stato o nella mancanza di solidarietà. Come la Lega che vuole spedire a casa chi fugge dalle carestie e dalle guerre, basta che nessuno tocchi il suo orticello».