Il tifoso deluso diserta le urne
di David Bidussa
I dati di affluenza delle elezioni amministrative di domenica 28 e lunedì 29 parlano abbastanza chiaramente. Complessivamente il dato di affluenza alle urne è calato..
Si possono certamente individuare delle cause occasionali, la vicinanza con le elezioni politiche, più in generale la ripetitività di molte scadenze elettorali. Da quando è stata distribuitala tessera elettorale - una sorta di certificato come lo skipass che consente di abbassare le spese per la preparazione elettorale siamo andati al voto otto volte (e ancora non è finita perché al di là di eventuali ballottaggi ci aspetta un'ultima tornata a fine giugno per il referendum sulla “devolution”). E' sufficiente questo andamento per dire che ci troviamo di fronte ad una crisi politica? No per alcuni aspetti e sì per altri.
Consideriamo prima le motivazioni che conducono al no. Essenzialmente si riducono ad una. Ed è sostanziale. Le scadenze elettorali in Italia, da circa trenta anni, - in breve dall'affermarsi della crisi politica intorno alla metà degli anni '70 - svolgono la funzione di referendum impliciti e indiretti sulla solidità o sulla tenuta del governo. In ogni caso più che una critica di solito le elezioni che avvengono nel corso della legislatura hanno la funzione di evidenziare crepe, scontentezze, dissensi, manovre. Tanto nell'area di governo come in quella dell'opposizione.
Questo aspetto dunque non rinvia una crisi politica. Forse se si sceglie una regola elettorale che riduce le occasioni e le concentra in una o due date, questo tipo di malessere risulta maggiormente governabile, comunque non indica una patologia.
Tuttavia il dato di abbassamento drastico della partecipazione non rinvia solo a una questione di stanchezza o di noia per un rito ormai consumato e soprattutto talmente “frequente” e ripetuto da esser percepito come inutile, o come un test di scarso interesse.
L'alta percentuale di votanti, si è ripetuto spesso, riguarda i sistemi politici non democratici abituati a percepire il voto come un momento di censimento sulla soddisfazione del “regime” o come una rivendicazione di diritto riconquistato nelle democrazie appena ristabilite o costituite. La bassa percentuale, invece, viene riconosciuta come propria dei sistemi politici democratici di lunga tradizione (gli Stati Uniti, per tutti).
Nella storia italiana recente la presenza del popolo elettore è stata in parte ricondotta a questa dinamica. Esso è ritornato in campo, si è spesso ripetuto, come colui che si riappropriava della politica. In una versione populistica si trattava in altre parole di riprendersi quello spazio pubblico che veniva percepito come sottratto dai partiti “mangiatutto”. Quindici anni dopo la festa è finita e tutti a casa, dunque? Diversamente: la seconda Repubblica si è finalmente normalizzata e dunque si può passare da percentuali “bulgare” a percentuali “statunitensi”? Non proprio.
Quindici anni fa è nato un ciclo politico, ha espresso una legge elettorale e soprattutto ha dato vita a una nuova classe politica della “società civile”. Questo ciclo si è spento in questi quindici anni: la partecipazione allea decisione delle sorti ha perso il suo fascino; gli esponenti della società civile non si sono dimostrati più attraenti degli uomini di partito. Quindici anni dopo ci troviamo con poche risorse nella società civile; con partiti politici che sono macchine inceppate o che hanno rinunciato “a priori” a produrre classe politica e con luoghi di eccellenza che per un certo periodo sono stati pensati come serbatoi a cui ricorrere per una classe dirigente super partes, oggi decisamente appannati.
Contemporaneamente ci siamo trovati ad assistere a confronti politici più mediocri, in cui le buone ragioni si sono presentate come ragioni banali, e le candidature sono state talora il risultato di un'improvvisazione. E' finito il fascino della politica “fai da te”, della scelta amministrativa come “hobby” dell'arte di governo come “bricolage”.
E' un bene. In epoca di globalizzazione, di scelte spesso strutturali da compiere, di tutto abbiamo bisogno fuorché di qualche amministratore condominiale o di qualche improvvisato Masaniello che ci dia dei buoni consigli su come dormire sonni tranquilli. La politica, soprattutto quella locale, è fatta di scelte ordinarie, di buona amministrazione e di progetti, non di campagne agitatorie. Questo, invece, è stato spesso il volto di un confronto elettorale che pensava di motivare gli elettori incerti infondendo passione. Il risultato è che ha trasmesso tifo, ma non partecipazione. Così come nel calcio anche in politica il tifo da stadio è diventato più prudente e guardingo. Perciò molti devono aver pensato che non ne valeva la pena e ritenuto che quelle di domenica e lunedì erano le elezioni del Monopoli.
analisi lucida, severa, spietata.
E' proprio vero, si è chiuso un ciclo politico ed i partiti non sono riusciti a rinnovarsi ed a produrre una decente classe politica.
Manca però uno sguardo all'estero, almeno quello europeo.
Concentrare le elezioni in una sola tornata, un 'election day' (ormai l'inglese impazza), sarebbe un buon inizio, anche se non bastevole da solo a risollevare la fiducia degli elettori nella politica.
Ma deve essere fatto con il consenso più ampio, con una maggioranza qualificata, magari facendone una norma costituzionale: servirebbe a togliere ad ogni tornata lettorale l'illusione della 'spallata' e manderebbe a casa definitivamente gli amministratori di condominio politico.
ci sono argomenti che non vi garbano proprio, vero ?
Affluenza elezioni:
Reg. 2000 73%
Eur 2004 74,6%
Amm. 2005 76,5%
Amm 2006 75,8%
Saltando a piè pari le elezioni politiche a me non sembra proprio che ci sia stata una scarsa affluenza alle urne, al di la del risultato globale che riporta sempre percentuali altissime rispetto alle media Euro-Americana lo scarto rispetto alla scorsa tornata è meno dell'1%.
Dov'è quindi questa scarsa affluenza alle urne? Per quale cavolo di motivo ogni volta che un giornalista/politico dice qualcosa gli altri lo seguono a ruota nelle affermazioni?
Sul parallelismo stato democratico= bassa affluenza ci sarebbe da discutere parecchio.
"ci sono argomenti che non vi garbano proprio, vero ?"
chi? cosa? quali?
??????
dai, tonii, non fare lo str.**o.
facci conoscere il tuo pensiero.
salvatore, il giornalista ha posto una questione serissima.
la scarsa affluenza alle urne va vista in relazione alle politiche del 9-10 aprile di quest'anno.
dice Bidussa:
" ... più che una critica di solito le elezioni che avvengono nel corso della legislatura hanno la funzione di evidenziare crepe, scontentezze, dissensi, manovre. Tanto nell'area di governo come in quella dell'opposizione.
Questo aspetto dunque non rinvia una crisi politica.
Ed ancora:
"L'alta percentuale di votanti ... riguarda i sistemi politici non democratici abituati a percepire il voto come un momento di censimento sulla soddisfazione del “regime” o come una rivendicazione di diritto riconquistato nelle democrazie appena ristabilite o costituite. La bassa percentuale, invece, viene riconosciuta come propria dei sistemi politici democratici di lunga tradizione (gli Stati Uniti, per tutti)."
Ed infine:
" Quindici anni fa è nato un ciclo politico, ha espresso una legge elettorale e soprattutto ha dato vita a una nuova classe politica della “società civile”. Questo ciclo si è spento in questi quindici anni: la partecipazione allea decisione delle sorti ha perso il suo fascino; gli esponenti della società civile non si sono dimostrati più attraenti degli uomini di partito. Quindici anni dopo ci troviamo con poche risorse nella società civile; con partiti politici che sono macchine inceppate o che hanno rinunciato “a priori” a produrre classe politica e con luoghi di eccellenza che per un certo periodo sono stati pensati come serbatoi a cui ricorrere per una classe dirigente super partes, oggi decisamente appannati.
Contemporaneamente ci siamo trovati ad assistere a confronti politici più mediocri, in cui le buone ragioni si sono presentate come ragioni banali, e le candidature sono state talora il risultato di un'improvvisazione.
Mi sto addentrando in un campo minato, spero di non saltare in aria su una ca**ata.
Il ciclo elettorale nato tre lustri addietro si può considerare concluso.
Conclude Bidussa:
"E' un bene. In epoca di globalizzazione, di scelte spesso strutturali da compiere, di tutto abbiamo bisogno fuorché di qualche amministratore condominiale o di qualche improvvisato Masaniello che ci dia dei buoni consigli su come dormire sonni tranquilli. La politica, soprattutto quella locale, è fatta di scelte ordinarie, di buona amministrazione e di progetti, non di campagne agitatorie. Questo, invece, è stato spesso il volto di un confronto elettorale che pensava di motivare gli elettori incerti infondendo passione. Il risultato è che ha trasmesso tifo, ma non partecipazione. Così come nel calcio anche in politica il tifo da stadio è diventato più prudente e guardingo. Perciò molti devono aver pensato che non ne valeva la pena e ritenuto che quelle di domenica e lunedì erano le elezioni del Monopoli."
Insomma, mi pare rivolga l'auspicio che la politica torni ad essere una cosa seria, non più affidata alla società civile, alla improvvisazione.
Ti pare poco ?
Si accettano critiche.
Il punto è: queste elezioni regionali hanno avuto una scarsa affluenza?
La risposta che mi sono dato è: no, perché l'affluenza è in media con le altre elezioni "amministrative".
Le elezioni politiche hanno sempre un'affluenza più alta, probabilmente i cittadini ritengono che l'elezione degli amministratori locali e dei parlamentari Europei siano meno importanti dell'elezione di chi rappresenterà il parlamento dello Stato.
In più l'eco mediatica delle elezioni nazionali è molto più alta.
Mentre, come ho già detto, ritengo l'assunto secondo cui il numero di elettori diminuisce in base alla "quantità e qualità" di democrazia presente in uno Stato sostanzialmente errato o quantomeno frutto di un'analisi troppo superficiale.
Infine non credo che queste elezioni abbiano sancito la fine di un ciclo, per cui in buona sostanza non concordo quasi per niente con le osservazioni di Bidussa...:-)
O.K., Salvatore, guardiamo solo nel nostro orticello (l'Italia) e non fuori dai confini nazionali (una volta si diceva oltr'Alpe).
:-)
DATO CHE SOLO A MILANO IL CENTROSINISTRA HA PERSO 72 MILA VOTI TRA POLITICHE E AMMINISTRATIVE mentre nelle altre grandi città no, c'è qualcuno che può fare o finanziare una RICERCA su questi 72 mila che io chiamo crumiri?
perchè non la fa onmeorblog?
si parla senza conoscere...
Paolo Hutter: fare inchiesta e ricerca è in diretto contrasto col poter esprimere le nostre interpretazioni a capocchia. Ecco perché nessuno lo farà.
Comunque mi sembra che dopo queste elezioni voi che siete un po' più addentro e informati su come si è svolta la campagna siate tutti stranamente abbottonati.
Ok, ma i 72.000 voti in meno solo a Milano non c'entrano con l'articolo di Bidussa, o sbaglio?
I motivi li possono conoscere solo i milanesi che sono dentro la politica.
Il ciclo che descrive Bidussa c'è, è in atto da tempo. I partiti è le vecchie forme di adesione sono andate in crisi di rappresentatività e sono entrate in un travaglio di trasformazione che vediamo ancora oggi. Allo stesso tempo dalla società è venuta una spinta di mobilitazione fuori dalla militanza classica, insomma un reclamare degli spazi autonomi.
E a ragione Bidussa sul fatto che sarebbe anche ora di tirare qualche bilancio disincantato. Per capire in questo processo di ridefinizione dei ruoli e del fare politica cosa è riuscito è cosa si incastrato. Anche perché sembrano tutti concentrati come al solito in uno sforzo di volontarietà in avanti ('il partito democratico subito'!), mentre il fatto di aver vinto le ultime 3 elezioni e soprattutto le politiche dovrebbe consentire finalmente di fare qualche riflessione libera e serena.
La cosa discutibile è cercare un segnale particolare di queste tendenze nelle ultime amministrative. Il calo dei votanti e soprattutto il calo degli iscritti è costante da tempo, non è una novità. Caso di Milano a parte, che andrebbe considerato separatamente.
Sui confronti mediocri e lo scadimento dei dibattiti: è tutto il paese che si sta mediocrizzando, la politica riflette questo stato delle cose, anche se ne è a sua volta responsabile. Però a parte i giudizi generali e il non fare sconti ai nostri, mi sembra difficile ignorare il fatto, che su tutto questo pesa tantissimo, che la controparte è inesistente. Come personale, come idee, come livello culturale, come capacità di analisi, come capacità amministrativa in centrodestra non c'è. Allora se i nostri sono spesso mediocri ma i loro sono pessimi/nulli e impresentabili difficile aspettarsi che il confronto sia di spessore.
Concordo con buona parte dell'analisi di Antonio.