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Alberto Biraghi
American Dreamz
«Non ricordo bene perché ho deciso di fare politica da ragazzo. Credo sia stato perché mamma voleva dimostrare a papà che anche un perfetto imbecille può farcela». Sono le parole - ferocissime - con cui il presidente degli Stati Uniti (un
Dennis Quaid che migliora invecchiando, come il barolo) dichiara la propria essenza di surrogato. E' una bella sorpresa questo
film, sia perché non ti aspetti dagli Stati Uniti un film così ironico, feroce, politically incorrect, sia perché mette alla berlina le debolezze della società dell'apparire che da ormai dilagano anche nel vecchio continente, corrompendolo.
Tutto nasce attorno a una trasmissione trash, American Dreamz, 92% di share, condotta da Martin Tweed (
Hugh Grant al meglio della forma), presentatore televisivo che successo e ricchezza hanno trasformato in un pupazzo volubile e viziato, totalmente sconnesso dalla realtà. Il gioco comincia con un gruppone di concorrenti smaniosi di diventare famosi ballando o cantando. Puntata dopo puntata i concorrenti vengono selezionati dal feroce conduttore e dagli spettatori, che votano via telefono, fino alla finale, per una volta arbitrata eccezionalmente dal presidente degli Stati Uniti (appena rieletto, perso nei suoi mondi di buoni e cattivi, che non legge giornali e si informa solo coi brief settimanali - a fumetti - forniti da un segretario di stato che ricorda molto Runsfeld, magistralmente interpretato da
Wilelm Dafoe).
Si ride molto, le battute sono eccellenti nonostante il doppiaggio, ma si esce con la voglia di riflettere su una società che ogni giorno perde un pezzetto di buon senso per scivolare in un profondo Truman Show. Da vedere.
13.06.06 09:50 - sezione
cinema